La posterità dell’opera

Del resto, il tempo che occorre a un individuo – come occorse a me con quella Sonata – per penetrare un’opera un po’ profonda, è il semplice compendio e come il simbolo degli anni, dei secoli a volte, che trascorrono prima che il pubblico possa amare un capolavoro veramente nuovo. E così, per risparmiarsi le incomprensioni della folla, l’uomo di genio si dice che forse, dal momento che i contemporanei mancano del necessario distacco, le opere scritte per la posterità dovrebbero essere lette solo da quest’ultima, come certi dipinti non si possono giudicare bene osservandoli troppo da vicino. Ma, in realtà, ogni vile precauzione per evitare i falsi giudizi è inutile, essi non sono evitabili. A far sì che difficilmente un’opera geniale sia ammirata con sollecitudine, è la circostanza che chi l’ha scritta è straordinario, che pochi gli assomigliano. Ed è proprio la sua opera che, fecondando i rari spiriti capaci di comprenderla, li farà crescere e moltiplicarsi. Sono stati i quartetti di Beethoven (i quartetti n° 12, 13, 14 e 15) a far nascere, a infoltire, in cinquant’anni, il pubblico dei quartetti di Beethoven, realizzando in tal modo, come ogni capolavoro, un progresso, se non nel valore degli artisti, almeno nella società degli spiriti, largamente composta oggi di qualcosa ch’era introvabile quando il capolavoro apparve, vale a dire di esseri capaci di amarlo. Quella che noi chiamiamo posterità, è la posterità dell’opera. Bisogna che l’opera (non tenendo conto, per semplificare, dei genî che nello stesso periodo, parallelamente, possono preparare per il futuro un pubblico migliore, di cui non loro ma altri genî godranno il beneficio) si crei da se stessa la propria posterità. Se, dunque, l’opera si tenesse in disparte, non si facesse conoscere che dalla posterità, quest’ultima non sarebbe, nei suoi confronti, la posterità, ma un’assemblea di contemporanei vissuti, semplicemente, cinquant’anni dopo. Bisogna insomma che l’artista – ed è quello che aveva fatto Vinteuil – lanci la propria opera, se vuole che possa percorrere la sua strada, là dove vi sia sufficiente profondità, in pieno e lontano futuro. E, tuttavia, se il non tenere conto di quel futuro, che è l’autentica prospettiva dei capolavori, rappresenta l’errore dei cattivi giudici, il tenerne conto costituisce a volte il pericoloso scrupolo dei buoni.

M. Proust, Intorno a Madame Swann

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Così Emanuele Trevi sulla durata di un’opera letteraria:

“Ci si mette anche 4 o 5 anni a scrivere un libro che si gioca il suo destino in libreria in poche settimane. È l’ippopotamo nel salotto: non riusciamo più a fare informazione culturale né un’editoria gratificante. Perché bruciamo tante novità al fuoco di una promozione immediata? Prima le cose duravano di più, il meccanismo delle rese era lo stesso ma c’erano strumenti mentali per garantire agli oggetti estetici, ai libri, una tenuta nel tempo”.

E sulla capacità dell’autore di incidere sulla durata, sostiene:

“Se io come scrittore comincio a occuparmi di questioni editoriali, metto un trojan nella mia testa, interiorizzo un problema non mio. (…) Uno dei grandi calunniati è l’editing, ah, l’editing rende Proust vendibile! No, è l’autocensura il problema: il politically correct e il commercio per un artista sono cose che è meglio far finta che non esistano”.

Marcel Proust al Club des Découvreurs con Freud, Duchamp, Joyce, Einstsein

La posterità dell’operaultima modifica: 2021-08-16T12:29:09+02:00da ellen_blue

7 pensieri riguardo “La posterità dell’opera”

  1. Ad ora questo pezzo di Proust è quello che più mi è piaciuto, forse perché non ci sono di mezzo amore o sentimenti, ma una logica stringente nella definizione del genio in relazione al tempo. E guarda caso ne parlavamo prima in quel commento senza fine. Coincidenze preoccupanti o meno come certi commenti? Non lo so. Notevole il viaggio tempo-spazio di Marcel quando afferma che un’opera geniale (cosa avvenuta ad esempio con Leonardo, ma anche con tanti altri) è più facile che venga compresa nel futuro che nel presente. Da un lato perché, il genio è quello che anticipa i tempi e, da un altro lato, ovviamente, perché i contemporanei non sono preparati a comprenderla perché se lo fossero sarebbero anch’essi dei quasi-geni. Quindi, Marcel, afferma che se l’opera di un genio venisse chiusa in una cassa ed aperta anni dopo, quell’opera non sarebbe più una posterità ed ha ragione perché equivalere a leggere un libro mai stampato prima ma, in ogni caso, scritto prima.

    Diversi ed interessanti anche i concetti di Trevi. Sulla durata delle cose, concordo e non concordo perché le grandi opere durano a prescindere. Malgrado sia vero quello che dice Trevi sull’usa e getta anche in campo letterario, è anche vero però, che l’arte, quella vera, è inossidabile.
    [Troppo serio vero Ellen? Alle volte neanch’io mi risconosco :))]

  2. Ti spiego, i pezzi sull’amore sono quelli che si estrapolano più facilmente, tutto qui; Proust non tralascia nessun argomento, neppure la politica, ma io devo fare una selezione e quindi…(non immagini che dolore mutilarlo, scegliere una pagina piuttosto che un’altra, come se quella “scartata” non valesse). Per quanto riguarda Trevi, credo che, ma forse è quello che hai già detto tu, intendesse dire che oggi un libro inteso come novità dura troppo poco, perché l’editoria spinge, propone troppi titoli ecc. Troppo serio? e se ti dicessi che mi piaci anche di più? 🙂

    1. “ma io devo fare una selezione e quindi…(non immagini che dolore mutilarlo)”
      Immagino, immagino, soprattutto per te che lo ami 🙂 In ogni caso, non intendevo dire che preferisco il Proust politico all’altro. Questo mi è piaciuto perché condividevo. Su Trevi ok.
      Ehm, allora sarò serissimo.

  3. Avevo capito perfettamente che avevi trovato particolarmente interessante l’argomento (ma che dirai domani, quando ti sciropperai una pagina sulle nuvole?). [Serio, non serissimo. E se proprio non sai trattenerti, ricorda che non mi dispiace ridere o sorridere] 🙂

  4. Certo che esserci in quella foto con quella gente. Volendosi impegnare se non si torna indietro di almeno cent’anni col cazzo che ne trovi 5 in contemporanea come loro, anzi, come l’oro.
    Quello che più mi diverte è Joyce mentre Freud secondo me stava guardando Walkiria.

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