Pur ripetendosi, le situazioni mutano

Stavo per attraversare uno di quei difficili frangenti in cui, generalmente, ci si imbatte a più riprese nella vita e ai quali, pur non avendo cambiato carattere o natura – la nostra natura che crea essa stessa i nostri amori e, quasi, le donne che amiamo, e persino i loro difetti -, non si fa fronte nello stesso modo tutte le volte, vale a dire a tutte le età. Sono momenti in cui la nostra vita è divisa e come distribuita senza residui fra i due opposti piatti di una bilancia. Sul primo c’è il nostro desiderio di non spiacere, di non dare di noi un’immagine troppo umile alla persona che amiamo e che non riusciamo a capire, ma che ci sembra comunque più prudente lasciare un po’ in disparte perché non si senta autorizzata a ritenersi indispensabile, sensazione che l’allontanerebbe da noi; sul secondo c’è una sofferenza localizzata e parziale – che, al contrario, potrebbe placarsi solo se, rinunciando a piacerle e a farle credere che possiamo stare senza di lei, corressimo da quella donna. Basta togliere dal piatto della fierezza una quantità minima di volontà che, per debolezza, si sia lasciata logorare dagli anni, e aggiungere al piatto del dolore una sofferenza fisica acquisita cui si sia concesso di aggravarsi, ed ecco che al posto della soluzione coraggiosa che sarebbe prevalsa a vent’anni è l’altra, fattasi troppo greve e senza sufficiente contrappeso, a umiliarci a cinquanta. Tanto più che, pur ripetendosi, le situazioni mutano, e può succedere che, nel mezzo o alla fine della vita, usiamo a noi stessi la funesta cortesia di complicare l’amore con una componente d’abitudine che l’adolescenza, assorbita da troppi altri doveri, meno libera di se stessa, ignora.

M. Proust, Intorno a Madame Swann

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Pur ripetendosi, le situazioni mutanoultima modifica: 2021-08-20T12:04:24+02:00da ellen_blue

5 pensieri riguardo “Pur ripetendosi, le situazioni mutano”

  1. Partirei da questa verità: “la nostra natura che crea essa stessa i nostri amori e, quasi, le donne che amiamo, e persino i loro difetti”. In realtà la nostra natura non crea quello che subisce. La nostra natura, da spugna qual è, da un lato assorbe e dall’altro respinge. Ovviamente quando assorbe filtra e trattiene quello che ci piace e sputa via quello che non ci piace. Quindi non “crea” i nostri amori, ma assorbe e trattiene degli altri quello che ci piace e più la parte che ci piace aumenta più la sua fonte toccando determinate corde, da intrigo, può diventare prima innamoramento fino a rischiare di diventare amore. Ed è proprio il passaggio da innamoramento ad amore, il passaggio tosto e non tosto perché faticoso, ma tosto perché non ci faccia confondere amore con qualcosa che gli somiglia ma non è.
    Il passaggio da innamoramento ad amore, a mio avviso, ha molto a che vedere con i nostri occhi, ma soprattutto col nostro udito. Più impariamo ad ascoltare e più l’innamoramento possiamo battezzarlo come amore. Gli occhi e l’udito, in questa fase, svolgono il lavoro maggiore ovvero soddisfare alla necessità di conoscere l’altro. Quando la guardi non solo per dirle “quanto cazzo sei bella”, ma per meglio comprenderla, perché vuoi comprenderla; quando l’ascolti non solo per dirle “quanto cazzo è bella la tua voce”, ma per ascoltarla, perché vuoi ascoltarla, solo allora puoi dire che l’innamoramento sta diplomandosi a pieni voti in amore. Vabbuò, basta così altrimenti questo post si riempie di formiche perché lo zucchero le attrae come il miele attrae gli orsi. Fra l’altro penso, che solo gli amori incompiuti siano una reciproca tortura, ma io parlo solo e sempre per sentito dire o da quello che ho capito guardando qualche film.

    1. “Me lo stai massacrando, ma non scalfirai l’amore che ho per lui.”
      Quando parlava così di lui, quella luce che aveva sempre negli occhi, pur perdendo forza, ma mai intensità, assumeva la dolcezza dei tramonti sul mare e potevi goderla fissandola. Una luce calda che, coinvolgendoli, addolciva tutti i suoi dintorni colorando con tutte le tonalità dei rossi il silenzio del cielo e i rumori del mare fino ad arrotondare ancor di più quelle bellissime vibrazioni che aveva già di suo in quella sua voce senza spigoli. Sapevo che, fra lui e me non c’era partita e se fosse stata obbligata, nel gioco della torre a buttare giù lui o me, sarebbe stato lui a sfracellarsi sulle rocce. E poco importa se lui, dicesse lo stesso. O, forse, il punto era proprio questo ovvero quel triangolo nella geometria dell’amore con il quale si erano misurati tutti gli euclidei dell’antica Grecia senza che nessuno di essi ne venisse a capo. Neanche Euclide stesso è mai riuscito a dare una soluzione al problema di quale dei due cateti ama di più l’ipotenusa. Lo stesso Pitagora provò a dare la risposta, affermando che Ipotenusa ama di più il cateto più lungo, ma non riuscì mai a dimostrarlo. Ipotenusa stessa, chiuse la faccenda dicendo: “non lungo che tocchi, non corto che sfugga, ma duro che duri”.
      “ma perché, cos’è lui?”, le chiesi facendo partire il cronometro senza che lei se ne accorgesse.
      “è un compendio della natura umana, non c’è sentimento che ci appartenga che non sia stato sviscerato da Proust”, mi rispose nel giro di 4 secondi. Non aveva nemmeno dovuto stare lì a pensarci o a incartarsi in giri di parole. Chiara come l’alba e poiché l’alba ha quel chiarore tenue, a volte impenetrabile con quella sua leggera foschia, decisi di rischiare di diventare io il prescelto a finire giù dalla torre.
      “Quindi, hai scelto?”
      “Hai mai visto un triangolo con l’ipotenusa ed un solo cateto?”, mi rispose.
      “Sto parlando d’amore, non di scopare.”
      “No, stai mettendo limiti alla provvidenza”, mi rispose mentre le arrivò un messaggio whatsapp. Lo lesse, mi guardò.
      “Chi era?”
      “La provvidenza.”

  2. E poi sorrise, pensando che in fondo non meritava di volare giù dalla torre. Ma non glielo disse. Se l’avesse fatto, l’incantesimo si sarebbe spezzato. Non avrebbe più visto, nei suoi occhi, “la dolcezza dei tramonti sul mare”.

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