Ora, i ricordi d’amore non fanno eccezione rispetto alle leggi generali della memoria, a loro volta regolate dalle più generali leggi dell’abitudine. Poiché questa affievolisce tutto, quel che più ci ricorda una persona è proprio ciò che avevamo dimenticato (parendoci insignificante, gli abbiamo lasciata intatta la sua forza). Ecco perché la parte migliore della nostra memoria è fuori di noi, in un soffio piovoso, nell’odore di chiuso d’una stanza o nell’odore d’una prima fiammata, ovunque ritroviamo quanto di noi stessi la nostra intelligenza, incapace di servirsene, aveva disprezzato, l’estrema riserva del passato, la migliore, quella che, quando tutte le nostre lacrime sembrano disseccate, sa farci piangere ancora. Fuori di noi? Per essere più precisi, dentro di noi, ma sottratta ai nostri stessi sguardi, immersa in un oblio più o meno prolungato. Solo grazie a questo oblio possiamo, di tanto in tanto, ritrovare l’essere che siamo stati, metterci di fronte alle cose nella stessa posizione in cui era quell’essere, soffrire di nuovo, perché non siamo più noi, ma lui, e lui amava quello che oggi ci è indifferente.
M. Proust, Nomi di paesi: il paese
Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori
Come restare indifferenti se ci viene offerto il ritratto di noi stessi?
Mi stava venendo voglia di rispondere alla tua domanda, ma non lo faccio altrimenti non mi saluterai nemmeno più 🙂 …
… però voglio rischiare lo stesso:
alla fine, la recherche è come l’enciclopedia medica, quando si finisce di leggerla si pensa di averle tutte quelle malattie :)))
Ma è così, perché è un compendio della natura umana, non c’è sentimento che ci appartenga che non sia stato sviscerato da Proust 🙂