Già scorgevamo l’albergo, le sue luci così ostili la prima sera, all’arrivo, adesso protettrici e dolci, nunzie del focolare. E quando la carrozza si fermava davanti all’ingresso, il portiere, i grooms, il lift, premurosi, ingenui, vagamente inquieti per il nostro ritardo, ammassati sui gradini in attesa di noi, appartenevano, ormai familiari, alla categoria di quegli esseri che mutano tante volte nel corso della nostra vita, così come noi stessi mutiamo, ma nei quali – durante il periodo in cui sono, momentaneamente, lo specchio delle nostre abitudini – ci è grato sentirci, con fedeltà, con amicizia, riflessi. Li preferiamo ad amici che non vediamo da molto tempo, perché contengono in maggior misura ciò che noi siamo adesso.
M. Proust, Nomi di paesi: il paese
Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori
“Già scorgevamo l’albergo, le sue luci così ostili la prima sera, all’arrivo, adesso protettrici e dolci, nunzie del focolare.”, ed ha già detto tutto ho pensato e sono andato immediatamente al treno quando sedendoti hai per un attimo quel senso di “ostilità” rispetto a quelli che siedono con te. Poi, magari, li ascolti, scambi parole e la frequentazione diventa comunicazione o comunque conoscenza con un determinato grado di “familiarità”. La stessa che succede con le cose, le case, i luoghi o gli alberghi. Due righe per dire tutto.
Io e te siamo esseri momentaneamente specchio delle nostre abitudini, non credi?
Sì, proprio come hai detto “esseri momentaneamente specchio delle nostre abitudini, vagamente inquieti per il nostro ritardo” 🙂
shhh, non dire più niente 😉 spiegami solo quel “vagamente inquieti per il nostro ritardo”
:)) Abituarsi alle abitudini o affezionarsi ad esse, comporta anche l’inquietitudine derivante da un ritardo o da un’assenza.
Purtroppo è vero (qualcuno dovrebbe spiegarci perché per ogni cosa, perfino per il più innocente o effimero dei piaceri, c’è sempre un prezzo da pagare, piccolo o grande che sia)