Pressapochismo invidia e felicità

Il signor Bloch padre, che conosceva Bergotte soltanto da lontano, e la sua vita dai pettegolezzi di platea, aveva un modo non meno indiretto di prendere conoscenza delle sue opere: si basava su giudizi di natura in apparenza letteraria. Viveva nel mondo dei press’a poco, in cui si saluta nel vuoto e si giudica nel falso. L’inesattezza, l’incompetenza, lungi dall’attenuare la sicurezza, la rinsaldano. Grazie al benefico miracolo dell’amor proprio, dal momento che pochi possono avere relazioni brillanti e solide conoscenze, quanti ne sono sprovvisti si credono ancor più privilegiati, giacché l’ottica della scala sociale fa sì che ogni gradino sembri il migliore a chi, occupandolo, vede meno favoriti di lui, malmessi, compassionevoli, i più grandi, ch’egli nomina e calunnia senza conoscerli, giudica e disprezza senza capirli. Persino nei casi in cui la moltiplicazione degli esigui vantaggi personali operata dall’amor proprio non basterebbe ad assicurare a ciascuno la dose di felicità – superiore a quella concessa agli altri – di cui ha bisogno, ecco, pronta a colmare il disavanzo, l’invidia. È vero che, quando l’invidia si esprime in frasi sprezzanti. “Non voglio conoscerlo” va tradotto con “Non posso conoscerlo”. Questo è il senso intellettuale. Ma il senso passionale è realmente: “Non voglio conoscerlo”. Si sa che non è vero, ma se lo si dice non è per semplice artificio, bensì (anche) perché lo si prova, e tanto basta alla soppressione della distanza, cioè alla felicità.

M. Proust, Nomi di paesi: il paese

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Pressapochismo invidia e felicitàultima modifica: 2021-09-14T12:15:15+02:00da ellen_blue

2 pensieri riguardo “Pressapochismo invidia e felicità”

  1. “È vero che, quando l’invidia si esprime in frasi sprezzanti. “Non voglio conoscerlo” va tradotto con “Non posso conoscerlo”. Questo è il senso intellettuale. Ma il senso passionale è realmente: “Non voglio conoscerlo”. Si sa che non è vero, ma se lo si dice non è per semplice artificio, bensì (anche) perché lo si prova, e tanto basta alla soppressione della distanza, cioè alla felicità.”

    Verissimo, le distanze però non sono solo in un verso, ma in entrambi i versi e non c’è solo l’invidia a dilatare le distanze. Il “non voglio conoscerlo” funziona così con il motivo-alibi dell’invidia laddove l’invidioso preferisce evitare l’avvicinamento con la persona che invidia ovvero il meno che invidia il più.
    C’è però anche la direzione opposta che funziona allo stesso modo, ma senza invidia. Quando il “non voglio nemmeno conoscerlo” non nasce dall’invidia ma dal disprezzo: il ceto o lo stato sociale o il colore della pelle o l’appartenenza sessuale o la nazionalità o un’altra diversità.
    In fondo la rivoluzione francese c’è cascata anche lei con l’uso indiscriminato della ghigliottina. Perché non c’è rivoluzione di pensiero che, pur partendo col piede giusto, poi non si arrotola su se stessa perdendo per strada le proprie radici. Succede così che le “aristocrazie” del passato diventano soltanto “nuove” aristocrazie. Hanno nomi diversi da conti e marchesi ma, nei contenuti restano uguali. Come la stessa borghesia. Come gli occhi di Marcel.

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