Ma Madame Durieux ti ha invitata, non ricordi, sbottava Albertine, come se l’intenzione di restare con me potesse spiegarsi, in Andrée, solo con l’ipotesi che ignorasse d’essere stata invitata. – Andiamo, piccola mia, non essere così idiota, replicava Andrée. Albertine non insisteva, temendo ch’io le proponessi di restare anche lei. (…) Se, in questa sete di divertimento, Albertine aveva qualcosa della Gilberte prima maniera, è perché una certa somiglianza esiste, pur evolvendosi, fra le donne che via via amiamo, e dipende dalla fissità del nostro temperamento il quale, assumendosi l’incarico di sceglierle, elimina tutte quelle che non siano per noi, ad un tempo, opposte e complementari, vale a dire atte a soddisfare i nostri sensi e a far soffrire il nostro cuore. Sono, queste donne, un prodotto del nostro temperamento, un’immagine, una proiezione rovesciata, un “negativo” della nostra sensibilità.
Conosciamo il carattere delle persone che ci sono indifferenti, ma come potremmo cogliere quello d’un essere che si confonde con la nostra vita, che ben presto non distinguiamo più da noi stessi, sulle cui motivazioni formuliamo di continuo ipotesi ansiose, eternamente rimaneggiate? Slanciandosi al di là dell’intelligenza, la nostra curiosità intorno alla donna che amiamo sorpassa, nella sua corsa, il carattere di lei. Anche se potessimo fermarci, certamente non lo vorremmo. L’oggetto della nostra inquieta investigazione è più essenziale di queste particolarità del carattere, simili alle minuscole losanghe d’epidermide le cui svariate combinazioni formano l’originalità fiorita della carne. La nostra radiazione intuitiva le attraversa, e le immagini che ci consegna non riproducono un volto particolare, ma rappresentano la cupa e dolorosa universalità d’uno scheletro.
M. Proust, Nomi di paesi: il paese
Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori