Sull’amicizia

Ho già detto – ed era stato, a Balbec, proprio Robert de Saint-Loup ad aiutarmi, assolutamente suo malgrado, a prenderne coscienza – quel che penso dell’amicizia: ch’essa è, invero, così poca cosa, da rendermi arduo capire come uomini di qualche ingegno, per esempio un Nietzsche, abbiano potuto commettere l’ingenuità di attribuirle un certo valore intellettuale e, conseguentemente, di rifiutarsi ad amicizie cui non fosse connessa la stima intellettuale. Sì, è sempre stato motivo di stupore, per me, vedere come un uomo che spingeva la sincerità con se stesso sino a staccarsi, per scrupolo di coscienza dalla musica di Wagner, si sia figurato che la verità potesse realizzarsi in quel modo d’espressione per sua natura confuso e inadeguato che sono, in generale, le azioni e, in particolare, le amicizie; e come si sia potuto attribuire un qualche significato al fatto di lasciare il proprio lavoro per incontrarsi con un amico e piangere con lui apprendendo la notizia, falsa, dell’incendio del Louvre. A Balbec, ero arrivato al punto di trovare il piacere d’intrattenermi in svaghi con fanciulle meno funesto alla vita intellettuale – cui, d’altronde, rimane estraneo – che non l’amicizia, il cui sforzo consiste esclusivamente nel farci sacrificare l’unica parte reale e incomunicabile (se non per mezzo dell’arte) di noi stessi a un io superficiale, che anziché trovare, come l’altro, gioia dentro di sé, prova una confusa commozione nel sentirsi sostenuto da puntelli esterni, ospitato in un’individualità estranea dove, felice della protezione accordatagli, fa rifulgere in approvazione il proprio benessere, e va in estasi di fronte a qualità che chiamerebbe difetti, e cercherebbe di correggere, in se stesso. D’altra parte, coloro che disprezzano l’amicizia possono essere, senza illusioni e non senza rimorsi, i migliori amici del mondo, così come un artista che porta in sé un capolavoro e sente che sarebbe suo dovere vivere per lavorare, ciononostante, per non apparire o rischiare d’essere egoista, dà la sua vita per una causa inutile, e con tanto maggiore ardimento quanto più disinteressate erano le ragioni per cui avrebbe preferito non darla. Ma, qualunque fosse la mia opinione sull’amicizia – per non parlare, poi, del piacere ch’essa mi procurava, d’una qualità così mediocre da somigliare a una via di mezzo fra la stanchezza e la noia -, non c’è beveraggio tanto funesto da non poter diventare, in certi momenti, prezioso e tonificante, dandoci la sferzata che ci era necessaria, il calore che non possiamo trovare in noi stessi.

M. Proust, La parte di Guermantes II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Sull’amiciziaultima modifica: 2021-12-21T12:35:03+01:00da ellen_blue

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