I grandi divagatori

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Normale che a un certo punto, in questa carrellata di grandi divagatori, faccia capolino lo spettro ingombrante di Marcel Proust. A suo tempo, scrivendo degli Scomparsi – il capolavoro di Mendelsohn -, avevo già avuto modo di valutare il debito filiale che lui vanta nei confronti della Recherche. Insomma, dato il tema doviziosamente trattato in Tre anelli, come eludere l’isteria digressiva del Narratore proustiano? La Recherche “suggerisce che una lunga serie di digressioni potrebbe di per sé formare il più grande anello immaginabile, un anello in grado di includere l’intera esperienza umana”.

In senso strutturale, prima di Proust, solo Dante ha saputo dare una dimostrazione altrettanto plastica di come un’opera artistica acquisti forza dalla circolarità. Proust ha scelto di aprire la Recherche con l’avverbio “Longtemps” e di chiuderla con il sostantivo “Temps” allo scopo di porre due bastioni gemelli a protezione della fluviale materia narrativa che aveva in cascina. Del resto, Mendelsohn ha buon gioco a ricordarci che l’intera rievocazione proustiana muove dalle due passeggiate preferite dal Narratore bambino durante le villeggiature a Combray: quella più breve che costeggia il giardino di Swann e quella un po’ più lunga verso Guermantes. Negli anni dell’infanzia, queste due strade sembrano al Narratore antitetiche. Impiegherà una vita intera a capire che una confluisce nell’altra fino a formare una circonferenza oltre la quale gli è impossibile spingersi.

Alessandro Piperno, Omero, il divagatore che conduce a Proust

I grandi divagatoriultima modifica: 2021-12-23T12:32:41+01:00da ellen_blue

2 pensieri riguardo “I grandi divagatori”

  1. La Recherche “suggerisce che una lunga serie di digressioni potrebbe di per sé formare il più grande anello immaginabile, un anello in grado di includere l’intera esperienza umana”.

    Giuro che quel “anello in grado di includere l’intera esperienza umana” è la cosa che pensai quando, leggendolo, cominciai a capire il senso di Cent’anni di solitudine e ne compresi anche il titolo. Stavolta, quell’inizio e fine (“longtemps” e “temps”), mi ha fatto pensare alla distorsione con la quale immaginiamo il tempo come ad una linea retta sulla quale tracciamo gli eventi. Una linea continua che però perde ogni significato se guardiamo l’orologio alla parete: una prigione circolare nella quale le lancette non camminano ma girano, così come fra albe e tramonti girano i giorni. Così come le settimane sono un circolo vizioso e circolare. Così come lo sono i mesi, le stagioni e gli anni. Certo, gli eventi cambiano, così come cambiano i pensieri o, almeno, così ci appare. In effetti immaginare il tempo come una linea continua è solo un’illusione ottica dovuta alla dimensione del tempo che è enorme rispetto alla nostra percezione. Un po’ come, considerato quanto siamo piccoli o insignificanti rispetto alla dimensione della Terra non riusciamo a percepirne la sua sfericità. Così distorciamo il tempo fino al punto da considerarlo una linea continua in cui tutto torna ovvero un presente che si ripete di continuo. Così come la storia , così come la natura, come l’erba che cresce o l’acqua che scorre, così come le leggi della fisica, così come il sereno o la pioggia. Il tempo così come lo vediamo noi è solo una distorsione ottica che percepiamo nel modo sbagliato perché ci siamo dentro. Come un effetto ottico che non percepiamo come tale perché apparteniamo ad esso. Se guardiamo la Terra da un altro pianeta, vedremmo solo un pianeta come un altro. Insignificante come gli altri. Distante da noi un certo numero di chilometri o un certo numero di ore. Quelle che ci servirebbero per arrivarci, quelle che chiamiamo “tempo”, ma nulla hanno a che vedere con il tempo di cui sto parlando. Così come quando parliamo di metri o chilometri con i quali misuriamo le distanze che, anch’essi, non hanno nulla a che vedere con le distanze che ci sono fra due persone in termini culturali o sentimentali, malgrado anch’esse avvicinino o allontanino.

    Auguri e un bacio.

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