Inseguendo Marcel tra salotti e bordelli

French writer Marcel Proust sat, with his friends Robert de Flers and... Photo d'actualité - Getty Images

Proust, che era un roturier, un borghese, di che campò in 51 anni di vita?

“Delle ricchezze della madre, facoltosa ereditiera ebrea, e dei guadagni del padre medico, epidemiologo di grande fama e successo. Oggi andrebbe in tutti i talk show”.

Marcel non lavorò mai.

“Per un breve periodo fu assunto in una biblioteca, ma brillando per assenteismo. Oltre a beneficiare della rendita familiare, speculava in Borsa. Diceva: “Si può giocare in Borsa, ma a condizione di perdere”.

Negli anni della Recherche com’era la sua giornata-tipo?

“Non si alzava prima delle 10 e 30. Suonando il campanello due volte, si faceva servire del caffè finissimo, accompagnato da un croissant che però sul finire si limitava a piluccare. Dalle 11 riceveva visite. Chi arrivava veniva annusato dalla governante. Non doveva essere profumato perché i profumi creavano all’asmatico Proust problemi di respirazione. Sempre per motivi di salute, gli ospiti si ritrovavano in una casa gelida, riscaldata appena. Negli ambienti aleggiava un odore di foglie secche incenerite: quello delle pasticche contro l’asma, che venivano bruciate. Per il resto della giornata Marcel scriveva, il romanzo o moltissime lettere. Scriveva con inchiostro o calamaio, nel buio. Unica luce un abat-jour verde che illuminava soltanto i fogli. Le persiane sempre sbarrate. Le pareti della stanza notoriamente ricoperte di sughero per attutire i rumori esterni.

Durante la stesura del romanzo mangia e dorme pochissimo.

“Via via sempre meno. A lungo andare diventa inappetente ai limiti dell’anoressia. Dal 1906-1907, nelle sue giornate il giorno e la notte si capovolgono, il confine tra l’una e l’altra si cancella. Quando non esce, Proust può rimanere a scrivere fino all’alba. Prende sonniferi per dormire e caffè per rimanere sveglio. E così si logora. Nell’insonnia, come nella malattia, riconosce insieme un’afflizione e un’opportunità benefica, salvatrice: qualcosa che impedisce all’artista di disperdersi in frivolezze.

L’incarcerazione di Wilde per omosessualità, e la sua triste fine da reietto lo impressionarono molto.

“Sì. Gli fecero capire che l’omosessualità non era ancora qualcosa da manifestare, da esporre pubblicamente, da esibire come provocazione. Meglio mantenerla clandestina, segreta. Ma la scelta di Proust gli verrà rinfacciata da André Gide, il quale aveva invece assunto la propria omosessualità pienamente, e con accenti da moralista. Gide rimprovera a Proust di non aver avuto lo stesso coraggio, di aver travestito nella Recherche i suoi amori sotto fattezze femminili”.

Marcel era totalmente a digiuno di esperienze etero.

“Ne aveva avute un paio. Ma davanti all’autorità di Gide si schermiva, diceva di essere stato esclusivamente con uomini”.

Nei salotti, invece, se qualcuno lo sfruculia sull’omosessualità, Proust lo sfida a duello. In lui l’omoerotismo convive con una visione tradizionale della virilità.

“Marcel Proust ha un lato “virile” molto pronunciato. Crede nella Francia. È un patriota. Fa il servizio militare ed è tra i pochi scrittori a conservarne un bel ricordo. È anche assai suscettibile: quando si sente oltraggiato sfida spesso la gente a duello. All’appuntamento con il critico Jean Lorrain, che aveva fatto insinuazioni sulla sua omosessualità, si presenta impassibile, perfettamente freddo, senza scomporsi”.

Benché ebreo da parte di madre, è anche antisemita.

“Sì, difende il capitano Dreyfus ma resta prigioniero di tutti i cliché dell’antisemitismo classico: gli ebrei “avidi”, “calcolatori” ecc.”.

Trascorre gli anni cupi della Grande guerra rimorchiando di brutto.

“È un predatore sessuale. Avendo avuto scarsa fortuna con gli aristocratici, ripiega su segretari e fattorini. Durante il conflitto aggancia soldatini smobilitati o in licenza che si prestano per tirar su qualche soldo”.

Sfidando l’asma, sgattaiola in case chiuse ma aperte a qualsiasi bizzarria della clientela.

“Si infila nel letto tutto vestito tirandosi su la coperta fino al naso. Poi entra un giovanotto che si spoglia e che lui contempla mentre quello si esibisce in performance erotiche”.

E la famosa storia dei topi? È vera?

“Sì. Se non si eccita, Proust fa portare una gabbietta con dentro due topi affamati che si divorano tra loro fino a che il giovanotto nudo non li uccide trafiggendoli a colpi di spillone”.

E tanti saluti agli animalisti.

“Nei bordelli Marcel portava anche foto della madre amatissima o delle sue amiche affinché i ragazzotti le insultassero”.

È il lato “dark” di un uomo che peraltro tutti ricordano come buono, generoso, d’una gentilezza leggendaria.

“Proust è un continente. Con i suoi aspetti tenebrosi. Specie in fatto di sessualità. Ma alla fine il sesso è per lui un’esperienza frustrante. È la metafora di una fusione tra due esseri che si rivela sempre illusoria”.

Si resta soli.

“E infatti lui diventa progressivamente un eremita metropolitano. Negli ultimi anni esce solo quando regge fisicamente. Lo fa solo per verificare in società qualche dettaglio da mettere nel libro. Era capriccioso, vulnerabile. Dopo la scomparsa dei genitori non riusciva a pronunciarne il nome senza che la voce gli si incrinasse dal pianto. Per rimettersi dalla morte della madre si rinchiude in una clinica. Proust adora le maldicenze dei salotti, ma non le pratica: le raccoglie, le annota per rifonderle nel romanzo. È amabile con chiunque, ma specialmente con i più umili. Non pensa che gli uomini siano tutti uguali, ma crede che siano tutti sullo stesso livello davanti al tempo, all’annientamento, alla morte”.

Ma la Recherche è un romanzo falsamente rassicurante.

“Negli ultimi anni, Proust approda a una sorta di saggezza nichilista. Diceva: perché aver paura della morte? Dopotutto la nostra vita non è che un susseguirsi di morti: se ne vanno i genitori, gli amici, gli amori. Noi stessi moriamo di continuo, diventiamo estranei a quello che siamo stati. Se uno incontrasse in treno il se stesso di trent’anni prima che cosa avrebbe da dirgli? Pochissimo. E forse lo troverebbe antipatico”.

da un articolo di Marco Cicala

foto: Marcel Proust con Robert de Flers e  Lucien Daudet

Inseguendo Marcel tra salotti e bordelliultima modifica: 2022-01-03T16:04:21+01:00da ellen_blue

3 pensieri riguardo “Inseguendo Marcel tra salotti e bordelli”

  1. Sicuramente, a leggere questo curriculum vitae, Marcel appare una figura molto complessa proprio com’è complessa, tanto nella lettura quanto nell’interpretazione, la sua Recherche. Nella mia superficialità, la cosa che più mi ha colpito, è “Marcel non lavorò mai.“, e su questo, l’unica cosa che mi viene da dire è che la ricchezza non è una colpa, ma nemmeno può considerarsi un alibi.
    Lo dico con molto rispetto, ma anche con tanta invidia.

  2. Ma se tu fossi stato ricco, tenendo conto della tua grande passione per la scrittura, e pure del fatto che te la cavi così bene (so già che mi contesterai quel “cavi”), non avresti fatto lo stesso? Io ad esempio se fossi nata ricca, avrei fatto tutto tranne che lavorare, avrei speso i miei soldi ad aprire librerie, e a perdermici dentro, felice di incontrare di tanto in tanto un lettore o una lettrice appassionati come me.

    1. A te non contesto nulla, primo perché non ne sono capace, secondo perché quando non fossi d’accordo, ti direi “parliamone” perché, consapevole della mia “estenuante” dialettica, tu mi risponderesti “no, ti prego… facciamo così… hai ragione e non parliamone più”.
      Certo che avrei fatto lo stesso, non a caso ho detto che la mia è tutta invidia. Poi, magari, pur di dare un senso al mio tempo, mi sarei messo a fare il rappresentante per qualche casa editrice andando in giro a vendere libri a qualche bella e, soprattutto, appassionata libraia.

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