Il lift irritante

Certe particolarità, in quel lift, erano estremamente fastidiose: qualsiasi cosa gli dicessi, m’interrompeva con una locuzione – “Ma si capisce!” o “Eh, si capisce!” – dalla quale si sarebbe potuto arguire o che la mia osservazione era d’una tale evidenza che chiunque ci avrebbe pensato, o che lui stesso se ne attribuiva tutto il merito col segnalarla alla mia attenzione. “Ma si capisce!” o “Eh, si capisce!”, esclamato con la massima energia, gli saliva ogni due minuti alle labbra per cose che non gli sarebbero mai venute in mente, il che m’irritava al punto da farmi dire subito il contrario per dimostrargli che non aveva capito niente. Ma alla mia seconda asserzione, sia pure affatto inconciliabile con la prima, lui non mancava di commentare: “Ma si capisce!”, “Eh, si capisce”, come se tali espressioni fossero qualcosa di inevitabile. Facevo fatica, anche, a perdonargli d’usare certi termini specifici del suo mestiere – che sarebbero stati dunque, perfettamente acconci in senso proprio – soltanto in senso figurato, caricandoli di un’intenzione spiritosa abbastanza cretina: per esempio, il verbo “pedalare”. Mai che ne facesse uso quando ritornava da una commissione in bicicletta. Se invece camminando, aveva accelerato il passo per giungere in tempo, volendo significare ch’era andato di gran carriera diceva: “Una bella pedalata, credetemi!”. Il lift era piuttosto mingherlino, malfatto e, nel complesso, alquanto brutto. Ciononostante, ogni volta che gli si parlava d’un giovanotto alto, slanciato e sottile, annuiva: “Ah sì, ho capito, uno della mia stessa statura”. Un giorno che, mentre aspettavo da lui una risposta, avevo sentito dei passi sulla scala e avevo aperto con un moto di impazienza la porta della mia camera, m’era apparso un fattorino bello come Endimione, dai lineamenti incredibilmente perfetti, venuto per una signora che non conoscevo. Quando poi era arrivato il lift, nel dirgli con quanta impazienza avessi atteso la sua risposta, gli avevo anche raccontato che m’era parso di sentirlo salire, mentre si trattava di un fattorino dell’Hôtel de Normandie. “Ah sì, lo so chi è, è lui senz’altro, un ragazzo della mia stessa corporatura. Anche di faccia m’assomiglia al punto che ci potrebbero confondere, lo si direbbe mio fratello”. Infine, voleva dare l’impressione di capire tutto al volo, e così non si era ancora finito di raccomandargli qualcosa, che già rispondeva: “Sì, sì, sì, sì, sì, capisco perfettamente” con una decisione e un tono d’intelligenza che, per qualche tempo, mi illusero; ma le persone, via via che le si conosce, sono come un metallo immerso in un composto alterante, e le si vede perdere a poco a poco le loro qualità (come pure, a volte, i loro difetti).

M. Proust, Sodoma e Gomorra II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Il lift irritanteultima modifica: 2022-04-08T16:16:14+02:00da ellen_blue

9 pensieri riguardo “Il lift irritante”

  1. Ahahah maledetto Marcel, finalmente sei riuscito a farmi ridere al punto da rileggerla due volte questa pagina. E la cosa che mi sorprende è che il lift non sia diventato uno stereotipo da utilizzare ogniqualvolta impattiamo in un personaggio del genere, perché, mio caro, esistono davvero tali tipologie di persone e sono proprio come l’hai raccontata tu. Quelli che, qualunque cosa tu dica, “eh, si capisce!” e, proprio, come hai detto, se gli giri la frittata, capovolgendo quello che appena prima avevi affermato, diranno “eh, si capisce”, e tu rinunci anche a mandarli a cagare perché loro continueranno a fare affermazioni candide in un inconsapevole gioco dell’assurdo dove, riavvolgendo il nastro e riascoltando tutto il dialogo non c’è nemmeno da incazzarsi, ma solo da scompisciarsi.
    Sai che ti dico? Da oggi, te lo prometto, quando mi capiterà di parlare di tale tipo di persone, le indicherò come i tipi lift e prenderò due piccioni con una fava, perché da un lato nel giro di una decina d’anni questo stereotipo entrerà nel gergo comune (in fondo te lo meriti); dall’altro lato, a quelli che mi chiederanno perché li chiamo “lift”, gli risponderò che così li chiamava Proust nella sua Recherche. Così li sorprenderò e quando mi chiederanno:
    “tu hai letto la Recherche?”
    “certo! Tu no?”, gli risponderò come se averlo fatto fosse qualcosa di normale.

  2. Non sai che soddisfazione che mi dai, io sono morta dal ridere ieri pomeriggio, avevo le lacrime agli occhi. Mi fa davvero piacere che abbia divertito anche te, ora capisci perché è sbagliato assimilare Proust a una banale madeleine? 🙂

  3. Assimilarlo ad una madeleine sarebbe sbagliato, ma con la madeleine ha molto a che fare…

    … Nel 1911, l’anno della madeleine appunto, gli scienziati non avevano ancora idea di come i nostri sensi comunicassero all’interno del cervello. Oggi le neuroscienze sanno che Proust aveva ragione. I sensi dell’olfatto e del gusto sono quelli più “sentimentali”, più soggettivi e meno trasmissibili. Non è facile, infatti, descrivere a qualcun altro il profumo di gelsomino o l’aroma del caffè, perché si tratta di percezioni intime e difficilmente condivisibili. Questo perché gusto e olfatto sono gli unici due sensi direttamente collegati all’ippocampo, che guarda caso, è il centro della memoria a lungo termine. Il loro marchio è perciò indelebile. Tutti gli altri sensi, invece, vengono elaborati dal talamo, che è la fonte del linguaggio, e le loro tracce sono più effimere e meno capaci di richiamare il passato.

    Proust intuì questa relazione tra sensi e cervello e sfruttò il sapore del dolce e il profumo del tè per ritornare alla sua infanzia. Guardare il pasticcino non era sufficiente, tanto che lo scrittore arrivò a maledire il senso della vista perché gli sembrava occultasse i ricordi. Per fortuna, dopo quarantotto pagine dedicate allo stato mentale del narratore, Proust decise di infilare il dolce in bocca, cominciando così il percorso rivelatore dentro di sé. In pratica, quando la madeleine si scioglie sulla lingua, accende dei neuroni che, sulla scia del gusto e dell’olfatto, comunicano attraverso la forza delle sinapsi con altri neuroni, quelli che codificano la città di Combray e il viso di zia Léonie.
    Ma Proust andò oltre nelle sue intuizioni profetiche, rendendosi conto che i ricordi non erano fotografie immutabili, bensì cambiavano e si trasformavano ogni volta che venivano richiamati alla memoria. Così tendeva a ricordare certi episodi in maniera più bella e colorata di quanto in realtà non fossero stati ma ne era consapevole ed è così che ha trasformato il suo passato in un’epica dell’amore, della gelosia e dei turbamenti del suo tempo.
    Oggi i neuroscienziati sanno perché i ricordi cambiano nel tempo. Lo sanno sulla base di esperimenti e studi minuziosi operati sulle cellule cerebrali delle rane e sui collegamenti sinaptici delle lumache di mare. Meno poetico, certamente, ma questa è la via scientifica verso la verità. Dalla madeleine imbevuta nel tè si è arrivati alla scoperta di un prione che renderebbe i nostri ricordi malleabili, plastici, anziché immobili, e il nostro passato sarebbe, di conseguenza, eterno ed effimero al tempo stesso. Ma anche la scienza, come l’arte, è affascinante perché, se pur con altri strumenti, è animata dalla stessa propensione ad essere creativa, a correggersi, osando affrontare ineluttabilmente nuove rotte. Lo scienziato con i suoi esperimenti fa esattamente come Proust, che riscriveva le sue pagine un’infinità di volte, annotando, cancellando, correggendo a seconda di come un ricordo gli sobbalzava nella mente, adeguandosi alla realtà che via via lo circondava. In fin dei conti, i ricordi non rappresentano direttamente la realtà ma sono piuttosto copie imperfette, fotocopie di fotocopie di fotografie originali. I nostri ricordi non sono come la fantasia, sono la fantasia!
    [Paola Cerana]
    🙂

  4. Comunque non intendevo sminuire la portata della madeleine, e di conseguenza “l’immenso edificio del ricordo”, ma solo ribadire quanto sia avvilente ascoltare frase del tipo: ah sì, Proust, quello della madeleine.
    Bello proprio l’articolo che hai riportato, merci 🙂
    [Per la cronaca, il tuo primo commento era stato imbrigliato dalla moderazione, il secondo, invece, ha pedalato di gran carriera :))]

    1. Mi fa piacere che ti sia piaciuto.
      Sull’edificio della memoria, sarà anche immenso, però è anche abbastanza precario e soggettivo nel suo funzionamento 🙂

Lascia un commento

Se possiedi già una registrazione clicca su entra, oppure lascia un commento come anonimo (Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato ma sarà visibile all'autore del blog).