Oggi le neuroscienze sanno che Proust aveva ragione

Nel 1911, l’anno della madeleine appunto, gli scienziati non avevano ancora idea di come i nostri sensi comunicassero all’interno del cervello. Oggi le neuroscienze sanno che Proust aveva ragione. I sensi dell’olfatto e del gusto sono quelli più “sentimentali”, più soggettivi e meno trasmissibili. Non è facile, infatti, descrivere a qualcun altro il profumo di gelsomino o l’aroma del caffè, perché si tratta di percezioni intime e difficilmente condivisibili. Questo perché gusto e olfatto sono gli unici due sensi direttamente collegati all’ippocampo, che guarda caso, è il centro della memoria a lungo termine. Il loro marchio è perciò indelebile. Tutti gli altri sensi, invece, vengono elaborati dal talamo, che è la fonte del linguaggio, e le loro tracce sono più effimere e meno capaci di richiamare il passato.

Proust intuì questa relazione tra sensi e cervello e sfruttò il sapore del dolce e il profumo del tè per ritornare alla sua infanzia. Guardare il pasticcino non era sufficiente, tanto che lo scrittore arrivò a maledire il senso della vista perché gli sembrava occultasse i ricordi. Per fortuna, dopo quarantotto pagine dedicate allo stato mentale del narratore, Proust decise di infilare il dolce in bocca, cominciando così il percorso rivelatore dentro di sé. In pratica, quando la madeleine si scioglie sulla lingua, accende dei neuroni che, sulla scia del gusto e dell’olfatto, comunicano attraverso la forza delle sinapsi con altri neuroni, quelli che codificano la città di Combray e il viso di zia Léonie.
Ma Proust andò oltre nelle sue intuizioni profetiche, rendendosi conto che i ricordi non erano fotografie immutabili, bensì cambiavano e si trasformavano ogni volta che venivano richiamati alla memoria. Così tendeva a ricordare certi episodi in maniera più bella e colorata di quanto in realtà non fossero stati ma ne era consapevole ed è così che ha trasformato il suo passato in un’epica dell’amore, della gelosia e dei turbamenti del suo tempo.
Oggi i neuroscienziati sanno perché i ricordi cambiano nel tempo. Lo sanno sulla base di esperimenti e studi minuziosi operati sulle cellule cerebrali delle rane e sui collegamenti sinaptici delle lumache di mare. Meno poetico, certamente, ma questa è la via scientifica verso la verità. Dalla madeleine imbevuta nel tè si è arrivati alla scoperta di un prione che renderebbe i nostri ricordi malleabili, plastici, anziché immobili, e il nostro passato sarebbe, di conseguenza, eterno ed effimero al tempo stesso. Ma anche la scienza, come l’arte, è affascinante perché, se pur con altri strumenti, è animata dalla stessa propensione ad essere creativa, a correggersi, osando affrontare ineluttabilmente nuove rotte. Lo scienziato con i suoi esperimenti fa esattamente come Proust, che riscriveva le sue pagine un’infinità di volte, annotando, cancellando, correggendo a seconda di come un ricordo gli sobbalzava nella mente, adeguandosi alla realtà che via via lo circondava. In fin dei conti, i ricordi non rappresentano direttamente la realtà ma sono piuttosto copie imperfette, fotocopie di fotocopie di fotografie originali. I nostri ricordi non sono come la fantasia, sono la fantasia!

Paola Cerana

Oggi le neuroscienze sanno che Proust aveva ragioneultima modifica: 2022-04-10T09:44:21+02:00da ellen_blue

4 pensieri riguardo “Oggi le neuroscienze sanno che Proust aveva ragione”

    1. Ben fatto, però il corsivo alla frase “dopo quarantotto pagine dedicate allo stato mentale del narratore”, l’ho messo io. Non vorrei che la Cerana se la prendesse, ma mi piaceva sottolinearlo perché mi ha fatto immaginare lo stress di un condannato a morte in attesa dell’esecuzione.
      Ben 48 pagine con quella madeleine in mano, prima di azzannarla. A quel punto, un altro (io, per esempio), l’avrebbe graziata!
      Ma, forse, la povera madeleine sarà morta di stanchezza già prima di essere azzannata.

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