Struggimenti d’amore

Aveva un’espressione così dolce, così tristemente docile, come se aspettasse da me la felicità, che facevo fatica a trattenermi dal baciare – dal baciare con lo stesso tipo di piacere, quasi, che avrei provato baciando mia madre – quel volto nuovo, che non somigliava più al musetto sveglio e colorito d’una gatta ribelle e perversa dal roseo nasino all’insù, ma sembrava, nella pienezza della sua malinconica prostrazione, fuso nella bontà a larghe colate appiattite e cadenti. Staccandomi dal mio amore come da una follia cronica priva di rapporti con lei, mettendomi al suo posto, mi commuovevo davanti a quella brava fanciulla abituata ad essere trattata con maniere gentili e leali e che un buon amico, quale aveva creduto che io fossi per lei, ossessionava da settimane con persecuzioni arrivate adesso, infine, al loro culmine. Assumendo un punto di vista puramente umano, esterno a noi due, nel quale non trovava posto il mio amore geloso, provavo per Albertine una pietà profonda che, tuttavia, lo sarebbe stata di meno se non l’avessi amata. Del resto, nell’oscillazione ritmata che va dalla dichiarazione al litigio (il mezzo più sicuro, il più efficacemente funesto per formare, con movimenti opposti e successivi, un nodo destinato a non disfarsi più, a legarci indissolubilmente a qualcuno), a cosa serve distinguere ancora, dentro il movimento all’indietro che costituisce uno dei due movimenti del ritmo, i riflussi della pietà umana che – opposti all’amore, ma derivanti forse, inconsciamente, dalla stessa causa – producono in ogni caso gli stessi effetti? E più tardi, ricordando l’insieme di tutto ciò che si è fatto per una donna, spesso ci si rende conto che gli atti ispirati dal desiderio di mostrare che si ama, di farsi amare, di conquistare dei favori, non occupano molto più spazio di quelli dovuti al bisogno umano di riparare i propri torti verso l’essere amato, per semplice dovere morale, come se non lo si amasse.

M. Proust, Sodoma e Gomorra II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Struggimenti d’amoreultima modifica: 2022-04-20T12:42:23+02:00da ellen_blue

10 pensieri riguardo “Struggimenti d’amore”

  1. Mi spiace Marcel, avrei detto “pena” non “pietà”.
    La “pena” non offende, ma comprende, partecipa e riesce anche ad essere carezzevole. La “pietà” offende, liquida e non ha nulla di carezzevole. A mio avviso, of course.

  2. pietà: sentimento di affettuoso dolore, di commossa e intensa partecipazione e di solidarietà che si prova nei confronti di chi soffre (Treccani).
    pena: Compassione, pietà nei confronti delle sofferenze altrui (la Repubblica).
    Comunque, quando io dico a una persona: “mi fai pena”, non le sto dicendo nulla di buono; se invece dico: “provo pietà per te”, di certo non sto dicendo che quasi quasi l’accarezzerei, ma è come se dicessi: “ti riempirei di botte, però ti commisero al punto tale che astenermi dal dartele mi sembra l’unica opzione sensata”.

  3. Poiché è come se mi avessi invitata a nozze, ho trovato anche questo esempio:

    La pietà è quasi sempre un sentimento “positivo”. Nasce da un sentimento di compassione, di sensibilità. Provare pietà per qualcuno significa provare una specie di clemenza e commozione per un determinato soggetto o situazione.

    Provare pena per qualcuno invece, non sempre significa provare bontà nel cuore ma in molti casi è un sentimento che si traveste da disprezzo. Quante volte abbiamo detto “Mi fai pena!” e di certo non era un complimento, ma la traduzione di parole come “mi fai schifo!”.

  4. Questo invece apre a ulteriori implicazioni morali:
    “Allora, o si commiserano gli sfortunati per un bizzarro senso di amore paterno o materno o filiale, o di devozione verso gli dèi (quindi per «pietas» nel vero senso che ha la parola in latino, e che genera l’aggettivo «pio»), oppure è inutile scomodare Cicerone e Seneca: si parli direttamente di pietà. Il fatto è che «pietà» pare brutto, mentre «pietas» pare nobile.

    Pietà, misericordia, compassione sono passioni che solo il Papa può ancora evocare in senso proprio; per tutti gli altri si caricano di una connotazione di superiorità tale da parere esagerata persino a chi superiore si senta davvero. «Mi fa compassione, ho pietà di lui, mi fa pena» si può dire al massimo di un gattino che si è messo nei guai, di un cane che ha perso una o due zampe: verso una persona umana «mi fa pietà» è un modo obliquo per esprimere disprezzo morale. Così nel caso si voglia davvero commiserare una disgrazia umana si preferisce parlare di «pietas», e ammantarsi di una superiorità più onorevole, quella della nobiltà. L’inconfondibile sentore dell’ipocrisia si diffonde. E del resto, il richiamo irresistibile fra pietà ed empatia è quello dell’empietà”.
    https://www.repubblica.it/rubriche/massima/2016/12/12/news/e_c_e_pure_chi_si_nasconde_dietro_la_pietas-153649241/

  5. “La “pena” non offende, ma comprende, partecipa e riesce anche ad essere carezzevole. La “pietà” offende, liquida e non ha nulla di carezzevole. A mio avviso, of course.”

    Infatti, immaginando, ho chiuso apposta con quel “A mio avviso, of course”.
    Immaginando cosa? Immaginando che la prima cosa che ti sarebbe venuta in mente, sarebbe stata quel raffronto fra “mi fai pena e mi fai pietà” che sono entrambi dispregiativi, anche se la “pietà”, ipocritamente, appare più dolce anche se usata solo come disprezzo. Proprio come hai scritto “verso una persona umana «mi fa pietà» è un modo obliquo per esprimere disprezzo morale. Così nel caso si voglia davvero commiserare una disgrazia umana si preferisce parlare di «pietas», e ammantarsi di una superiorità più onorevole, quella della nobiltà. L’inconfondibile sentore dell’ipocrisia si diffonde.”.
    Limitandomi però alla pagina di Marcel, mi ha dato subito fastidio quel termine “pietà” usato ben due-volte-due come sentimento in una classica situazione di amore non ricambiato. Io non proverei mai “pietà” verso chi mi ama e non è ricambiato. Io proverei pena ma, attenzione, non le direi mai “mi fai pena”, le direi provo pena (ovvero dolore) per te perché immagino il tuo dolore ed il tuo dolore è anche il mio. Dolore sincero e carezzevole. Non c’è commiserazione in questo. Quella commiserazione che invece c’è sempre nella “pietà” e c’è anche nella pena quando si confonde il “mi fai pena”.
    Sempre a mio avviso, la pietà rimane un sentimento definitivo e senza ritorno. La pena, invece no. La pena ha una sua provvisorietà e soprattutto una magìa tutta sua perché, sempre limitandomi alla pagina di Marcel, la persona che ama senza essere riamata, quando troverà il suo amore avrà un sorriso lungo quanto quello di chi non riusciva ad amarla e si abbracceranno e, stavolta, l’abbraccio di chi non era amata sarà altrettanto carezzevole quanto quello che aveva per chi, amato, non riusciva ad amarla. E sarà altrettanto carezzevole proprio per ripagare quella pena (dolore) il non amante provava per lei.
    p.s.: Ringraziandoti per l’attenzione che mi hai dedicato con citazioni, commenti e link, vado a docciarmi perché non pensavo di uscire così distrutto fra amori non ricambiati e sensi di pena. :))

  6. hahahahah
    per la serie, ma chi me l’ha fatto fare a scrivere “Mi spiace Marcel, avrei detto “pena” non “pietà””. Sai cosa provo per te? riconoscenza, perché mi fai morire dal ridere. Ovviamente mi riferisco al finale del tuo ultimo intervento, mentre apprezzo tutto ciò che lo precede.
    p.s. ma sull’argomento pena/pietà ci ritornerò (tra l’altro questa è una di quelle pagine proustiane in grado di allontanare anche il lettore più accanito. Non me, of course)

  7. In parole povere, “il narratore” prova pietà per Albertine perché è conscio che sono mesi che la massacra per via della sua folle gelosia, e poiché ha paura dell’eventuale lesbismo di lei, preferisce continuare a farle credere di provare solo amicizia, piuttosto che confessare di amarla. Secondo me, questa è pietà nell’accezione del dizionario Treccani. Se invece lei avesse amato lui senza essere ricambiata, allora sì che si sarebbe potuto parlare di pena. Comunque adesso basta, anche perché mi hai sferrato uno di quei tuoi attacchi dialettici da cui raramente esco indenne 🙂

    1. “a questo punto sarebbe il caso che provassi pietà per me”

      Ecco, questo è l’unico caso in cui accetto il termine “pietà” ovvero il classico “abbi pietà di me” al quale la mia logorrea si arrende e ti concede briciole di umanità :))

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