Céleste Albaret

Io, al contrario, salivo nella camera di due sorelle che erano venute a Balbec come cameriere di una vecchia signora straniera. Erano, nel gergo degli alberghi, due courrières, e in quello di Françoise  – la quale si figurava che un corriere o una courrière non facessero altro che andare avanti e indietro di corsa – due coursières. Gli alberghi sono rimasti, più nobilmente, al tempo in cui si cantava: “È un corriere diplomatico!”.

Benché fosse difficile, per un cliente, andare nella camera di una courrière, e viceversa, avevo stretto ben presto un’amicizia assai viva, sebbene altrettanto pura, con quelle due giovani, Mademoiselle Marie Gineste e Madame Céleste Albaret. Nate ai piedi delle alte montagne della Francia centrale, in riva a ruscelli e torrenti (l’acqua scorreva proprio sotto la loro casa di famiglia, facendo girare un mulino, e l’aveva più volte devastata con l’inondazione), sembravano averne serbato la natura. Marie Gineste più molle e languida, calma come un lago, ma con improvvisi, terribili ribollimenti durante i quali il suo furore ricordava la pericolosità delle piene e dei vortici liquidi che tutto trascinano e sconvolgono. Venivano spesso, di mattina, a trovarmi mentre ero ancora a letto. Non ho mai conosciuto persone più volontariamente ignoranti, che non avessero imparato assolutamente nulla a scuola e il cui linguaggio, tuttavia, avesse in sé qualcosa di così letterario da far credere – non fosse stata la naturalezza quasi selvaggia del tono – a una sorta d’affettazione. Con una familiarità che non ritocco, nonostante gli elogi (riportati qui non a mia lode, ma a lode del bizzarro genio di Céleste) e le critiche, parimenti false ma del tutto sincere, che questi discorsi sembrano comportare nei miei confronti, Céleste, mentre io inzuppavo dei croissants nella mia tazza di latte, mi diceva: “Oh diavoletto nero dai capelli di ghiandaia, o profonda malizia! chissà a cosa pensava vostra madre quando vi ha fatto, perché assomigliate in tutto e per tutto a un uccello. Guarda, Marie, non si direbbe che si lisci le piume? E con che eleganza gira il collo, è così leggero, sembra che stia imparando a volare! Ah! avete avuto una bella fortuna che chi vi ha creato vi abbia fatto nascere fra i ricchi; come ve la sareste cavata, se no, sprecone come siete? Ecco, butta via il croissant perché ha toccato il letto. E adesso, guardalo, sta rovesciando il latte, aspettate, vi metto un tovagliolo, voi non sapreste certo come fare, non ho mai visto uno sciocco maldestro come voi”.

*

Céleste non credeva mai alla sincerità della mia modestia e, interrompendomi: “Ah, furbacchione! dolcezza, perfidia mia! cuoricino di volpe! razza di brigante! ah, Molière!”. (Era il solo nome di scrittore che conoscesse e lo applicava a me intendendo, con questo, una persona capace sia di scrivere delle commedie, sia di recitarle) “Céleste” gridava imperiosamente Marie, la quale, ignorando il nome di Molière, temeva che si trattasse di una nuova ingiuria. Céleste si rimetteva a sorridere: “Ma non l’hai mai vista, nel cassetto, la sua fotografia di quand’era bambino? Ci aveva fatto credere che lo vestissero semplice semplice. E invece è tutto pellicce e merletti, e ha anche un bastoncino in mano, che neanche un principe! Ma è ancora niente in confronto alla sua immensa maestà, e alla sua bontà ancora più profonda. – Brava, brontolava il torrente Marie, ti sei messa anche a frugargli tra i cassetti”.

M. Proust, Sodoma e Gomorra II

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Proust, ses personnages - Sa biographieProust, ses personnages

Céleste Gineste e il marito Odilon Albaret

Céleste Albaret fu al servizio di Proust negli ultimi nove anni di vita, gli anni pieni della malattia e della creazione, dal 1913 al ’22. A ventun anni Céleste Gineste non s’era mai mossa dal suo paese, Auxillac, nel cuore montuoso dell’Auvergne, come la sorella minore Marie Gineste, ma sposò un tassista di Parigi, Odilon Albaret, e si trasferì nella capitale. Intimidita, viveva chiusa in casa, ma a Proust bastò un brevissimo incontro per capire la sua solitudine, e per porvi rimedio le propose di distribuire le copie omaggio di Swann. Colpita dalla sensibilità dello scrittore, Céleste, con semplice, toccante e talora burbera dedizione, si consacrò al suo servizio, assistendolo ininterrottamente fino alla morte. Intelligentissima e ignorantissima, fu lei a suggerire a Proust di usare il sistema di attaccare progressivamente a fisarmonica, sulle pagine su cui scriveva, nuovi foglietti, i béquets e le paperoles necessari allo scrittore per fissare le continue aggiunte al testo. La storia di questa abnegazione, e l’emozionante ritratto di Proust negli anni in cui organizzò la sua vita intorno al problema di finire il romanzo in lotta contro il tempo e la morte, sono nel libro di memorie rilasciate da Céleste, dopo mezzo secolo di silenzio, a ottantadue anni: Monsieur Proust. Céleste ha prestato molti tratti del suo carattere e alcuni episodi al personaggio di Françoise; qui Proust, come atto di omaggio, riporta nella Recherche il suo vero nome, e sicuramente un pastiche della sua conversazione, perché quando, molti anni dopo la morte dello scrittore, lessero a Céleste per la prima volta questo brano, lei si stupì moltissimo: “Dissi queste cose a Monsieur non una, ma mille volte”. Anche la fotografia a cui Céleste fa accenno fu realmente regalata da Proust alla sua domestica: era stata scattata intorno al 1884, e ritrae lo scrittore bambino, elegantissimo e graziosissimo, in polpe, velluto, calze di seta e frangetta, la canna in mano.

Marcel e Robert Proust (1870)

Céleste Albaretultima modifica: 2022-04-28T07:54:58+02:00da ellen_blue

4 pensieri riguardo “Céleste Albaret”

  1. “quando, molti anni dopo la morte dello scrittore, lessero a Céleste per la prima volta questo brano, lei si stupì moltissimo: “Dissi queste cose a Monsieur non una, ma mille volte”

    ahahah, grandissima Céleste, ti amo!!!!

  2. Come mi hai già detto, in Sodoma, Marcel riesce ad essere ironico (anche con se stesso) davvero spesso.

    p.s.: non perché importi, solo curiosità, ma Libero uno o due commenti me li ha cestinati?

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