Per una schiavitù eterna

Dal marciapiede vedevo la finestra della camera di Albertine, finestra sempre buia di sera quando, un tempo, lei non abitava da me, e che la luce elettrica dell’interno, segmentata dai pieni delle imposte, striava dall’alto in basso di sbarre d’oro parallele. (…) Se albertine non fosse stata lassù, anzi se io non avessi voluto altro che il piacere, sarei andato a chiederlo a delle donne sconosciute, nella cui vita mi sarei sforzato di penetrare, a Venezia, forse, o almeno in qualche angolo della Parigi notturna. Ma adesso, quando arrivava per me l’ora delle carezze, quel che dovevo fare non era mettermi in viaggio, non era nemmeno uscire di casa, era farvi ritorno. E tornare non già per ritrovarmi solo e, lasciati gli altri che ci forniscono dal di fuori l’alimento del nostro pensiero, essere almeno costretto a cercarlo in me stesso, bensì, al contrario, meno solo di quand’ero dai Verdurin, accolto come stavo per essere dalla persona nella quale abdicavo, alla quale consegnavo nel più completo dei modi la mia persona, senza avere per un solo istante l’agio di pensare a me e nemmeno fare lo sforzo, visto che mi sarebbe stata accanto, di pensare a lei. E così, alzando un’ultima volta gli occhi dall’esterno verso la finestra della camera in cui mi sarei ben presto trovato, mi parve di vedere richiudersi su di me la grata luminosa di cui io stesso avevo forgiato, per una schiavitù eterna, le inflessibili sbarre d’oro.

Marcel Proust, La Prigioniera

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Per una schiavitù eternaultima modifica: 2022-10-26T12:23:33+02:00da ellen_blue

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