Certo, come un tempo avevo detto ad Albertine: “Non vi amo” perché lei mi amasse, “Dimentico quando non vedo” perché mi vedesse molto spesso, “Ho deciso di lasciarvi” per prevenire qualsiasi idea di separazione, così adesso era perché volevo assolutamente il suo ritorno che le dicevo: “Addio per sempre”; perché volevo rivederla che le dicevo: “Riterrei pericoloso vedervi”; perché vivere separato da lei mi sembrava peggio della morte che le scrivevo: Avete avuto ragione, insieme saremmo infelici. Ahimè! quella lettera finta avrei dovuto prevedere subito – mentre la scrivevo per mostrare che non tenevo a lei (unica fierezza rimasta, nell’amore per Albertine, del vecchio amore per Gilberte) e anche per la dolcezza di dire certe cose capaci di commuovere me solo, non lei – che avrebbe potuto avere per effetto una risposta negativa, tale cioè da consacrare quel che dicevo; che questo era addirittura probabile, visto che Albertine, fosse anche stata meno intelligente di com’era, non avrebbe dubitato un solo istante della falsità di quel che dicevo. Senza nemmeno soffermarsi sulle intenzioni da me enunciate nella lettera, il solo fatto che io le scrivessi sarebbe bastato – anche nel caso che non ci fosse stata, prima, la missione di Saint-Loup – a provarle che desideravo il suo ritorno e a suggerirle di lasciare che m’infilzassi sempre più crudelmente nell’amo. Dopo aver previsto la possibilità d’una risposta negativa, avrei poi dovuto prevedere che tale risposta mi avrebbe restituito di colpo in tutta la sua vivezza il mio amore per Albertine. E, sempre prima d’inviare la mia lettera, avrei dovuto chiedermi se nel caso che Albertine mi avesse risposto nello stesso tono e non fosse voluta tornare, io sarei stato tanto padrone del mio dolore da costringermi al silenzio, da non telegrafarle: TORNATE o mandarle qualche altro emissario, il che, dopo averle scritto che non ci saremmo più visti, equivaleva a dimostrarle con assoluta evidenza che non potevo fare a meno di lei e avrebbe fatto sì che lei rifiutasse ancora più energicamente, che io, non potendo più sopportare la mia angoscia, corressi da lei, chissà, senza esser forse neanche ricevuto. E questo sarebbe certo stato, dopo tre enormi sbagli, il peggiore di tutti, dopo il quale non mi restava che uccidermi davanti a casa sua. Ma il modo disastroso in cui è costruito l’universo psicopatologico vuole l’atto maldestro, l’atto che bisognerebbe evitare più d’ogni altro, sia precisamente l’atto calmante, l’atto che schiudendo per noi, sinché non ne conosciamo il risultato, nuove prospettive di speranza, ci libera momentaneamente dall’intollerabile dolore che il rifiuto ha fatto nascere in noi. E così, quando il dolore è troppo forte, precipitiamo nello sbaglio che consiste nello scrivere, nel supplicare tramite qualcuno, nell’andare di persona, nel rivelare che non si può più fare a meno di colei che si ama.
Ma io di tutto questo non previdi nulla. Mi pareva, al contrario, che quella lettera avrebbe ottenuto il risultato di far tornare Albertine al più presto.
Marcel Proust, Albertine scomparsa I
Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori