L’inesistenza dell’ideale in cui avevo creduto

La nuova casa di cura in cui mi ricoverai non mi guarì più della prima; e passarono parecchi anni prima che la lasciassi. Durante il tragitto in ferrovia che feci per tornare finalmente a Parigi, il pensiero dell’assenza, in me, di qualsiasi dono letterario, assenza che avevo creduto di scoprire un tempo dalla parte di Guermantes, che avevo riconosciuta, con più tristezza ancora, durante le passeggiate quotidiane con Gilberte prima di tornare, già molto tardi, a casa per pranzo, a Tansonville, e che prima di lasciare quella casa avevo più o meno identificata, leggendo qualche pagina del Journal dei Goncourt, con la vanità, con la menzogna della letteratura, questo pensiero, forse meno doloroso ma ancora più tetro se gli davo come oggetto non un’infermità soltanto mia, ma l’inesistenza dell’ideale in cui avevo creduto, questo pensiero che da molto tempo non m’era più tornato alla mente mi colpì di nuovo e con una forza più che mai penosa. Fu, me lo ricordo, durante una sosta del treno in aperta campagna. Il sole illuminava fino a metà del tronco una fila d’alberi che fiancheggiava i binari. “Alberi, pensai, non avete più niente da dirmi, il mio cuore raggelato non vi sente più. Eppure sono qui in piena natura; ebbene, è con freddezza, è con noia che i miei occhi prendono atto della linea che separa la vostra fronte luminosa dall’ombra del vostro tronco. Se mai ho potuto credermi poeta, adesso so di non esserlo. Forse nella nuova parte della mia vita, così disseccata, che sta per cominciare, gli uomini potrebbero ispirarmi ciò che la natura non mi dice più. Ma gli anni in cui forse sarei stato capace di cantarla non torneranno mai”. Ma consolandomi così, con l’idea che un’osservazione umana avrebbe potuto prendere il posto di un’ispirazione impossibile, sapevo che stavo solo cercando una consolazione, ed ero il primo a sapere che era senza valore. Se avessi avuto veramente un’anima d’artista, che piacere avrei provato davanti a quella cortina d’alberi illuminata dal sole al tramonto, davanti a quei fiori che dalla scarpata arrivavano fin quasi al predellino del vagone e di cui avrei potuto contare i petali, ma il cui colore mi sarei ben guardato dal descrivere, come avrebbero fatto tanti bravi letterati, perché non si può certo sperare di trasmettere al lettore un piacere che non si è provato…

Marcel Proust, Il Tempo ritrovato

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

L’inesistenza dell’ideale in cui avevo credutoultima modifica: 2023-04-24T08:23:06+02:00da ellen_blue

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