Maestà fatale

Certi volti avevano già, sotto il loro cappuccio di capelli bianchi, la rigidità, le palpebre sigillate di chi sta per morire, e le loro labbra, agitate da un tremito perpetuo, sembravano biascicare la preghiera degli agonizzanti. A un viso le cui linee erano rimaste le stesse bastavano, perché sembrasse un altro, dei capelli bianchi al posto di capelli neri o biondi. I costumisti teatrali sanno che basta una parrucca incipriata per camuffare a sufficienza qualcuno e renderlo irriconoscibile. Il giovane conte di *** che avevo visto, allora sottotenente, nel palco di Madame de Cambremer il giorno che Madame de Guermantes era nella barcaccia di sua cugina, aveva sempre i suoi tratti, perfettamente regolari come prima e anzi di più, perché la rigidità fisiologica dell’arteriosclerosi esaltava ulteriormente l’impassibile fissità della sua fisionomia da dandy e conferiva a quei lineamenti la nitidezza intensa, e quasi ghignante a furia di immobilità, di uno studio di Mantegna o di Michelangelo. Il suo colorito, un tempo d’un rosso acceso, era adesso d’un solenne pallore; peli argentati, una lieve pinguedine, una nobiltà da doge, una stanchezza che si spingeva sino alla voglia di dormire, tutto concorreva in lui a dare un’impressione nuova e profetica di maestà fatale. Il rettangolo della barba bianca, che aveva sostituito un identico rettangolo di barba bionda, lo trasformava in modo così perfetto che, notando come il sottotenente che avevo conosciuto avesse ora cinque galloni, il mio pensiero fu di fargli le mie felicitazioni non per la promozione a colonnello, ma perché s’era travestito così bene da colonnello, prendendo in prestito – questa era l’impressione – l’uniforme e l’espressione grave e triste dell’ufficiale superiore che era stato suo padre.

Marcel Proust, Il Tempo ritrovato

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Maestà fataleultima modifica: 2023-06-02T12:17:33+02:00da ellen_blue

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