Le stanze di zia Léonie

La cugina del nonno – la mia prozia – in casa della quale abitavamo, era la madre di quella zia Léonie che dopo la morte di suo marito, lo zio Octave, non aveva più voluto lasciare, dapprima Combray, poi la sua casa di Combray, poi la sua camera, infine il suo letto, e non “scendeva” più, sempre coricata in un vago stato di afflizione, di abbattimento fisico, di malattia, di idea fissa e di devozione. Le sue stanze si affacciavano sulla rue Saint-Jacques che sfociava, molto più in là, nel Prato grande (così chiamato in contrapposizione al Prato piccolo che verdeggiava nel centro della città, all’incrocio di tre strade) e che uniforme, grigiastra, con i tre alti scalini di arenaria davanti a quasi tutte le porte, faceva pensare a un camminamento scavato da un intagliatore di immagini gotiche direttamente nella pietra dalla quale avesse tratto le sculture di un presepio o di un calvario. Mia zia non occupava più, in realtà, che due stanze contigue, in una delle quali si intratteneva mentre cambiavano aria all’altra. Erano di quelle stanze di provincia che – così come in certi paesi intere porzioni dell’aria o del mare sono illuminate o profumate da miriadi di protozoi che non possiamo vedere – ci affascinano con i mille odori in esse depositati dalle virtù, dalla saggezza, dalle abitudini, da tutta una vita segreta, invisibile, sovrabbondante e morale tenuta in sospensione dall’atmosfera; odori ancora naturali, certo, e color del tempo come quelli della vicina campagna, ma già casalinghi, umani e claustrali, gelatina squisita, industriosa e limpida di tutta la frutta dell’anno che ha lasciato l’orto per la dispensa; stagionali, ma mobili e domestici, capaci di correggere il piccante della brina con la dolcezza del pane caldo, pigri e puntuali come un orologio di villaggio, bighelloni e costumati, incuranti e previdenti, lingeristi, mattinieri, devoti, felici d’una pace dalla quale non può provenire che un po’ più di ansia e d’una prosaicità che funge da inesauribile serbatoio di poesia per chi la attraversa senza averci vissuto. L’aria, lì, era satura della quintessenza di un silenzio così sostanzioso, così succulento, che non m’addentravo in esso senza una sorta di golosità, soprattutto in quei primi mattini ancora freddi della settimana di Pasqua in cui lo gustavo di più perché ero appena arrivato a Combray: prima di lasciarmi entrare ad augurare il buongiorno alla zia, mi facevano attendere un istante nella prima stanza dove il sole, ancora invernale, era venuto a scaldarsi davanti al fuoco che, già acceso tra i due mattoni, avvolgeva tutta la camera in un odore di fuliggine, facendone qualcosa come uno di quei grandi “antiforni” di campagna o una di quelle cappe di camino dei castelli sotto le quali ci si augura che fuori rompano gli indugi la pioggia, la neve, magari qualche catastrofe diluviesca per aggiungere al confort del riparo la poesia della reclusione invernale; muovevo qualche passo dall’inginocchiatoio alle poltrone di velluto arabescato, sempre ricoperte con un poggiatesta all’uncinetto; e il fuoco, che cuoceva come una pasta gli odori appetitosi di cui l’aria della camera era tutta grumosa e già “lavorati” e fatti lievitare dalla freschezza umida e soleggiata del mattino, li tirava a sfoglia, li dorava, li gonfiava, li faceva bombare, trasformandoli in un’invisibile e palpabile leccornia provinciale, un immenso “calzone” nel quale, assaggiati appena gli aromi più stuzzicanti, più fini, più pregiati, ma anche più secchi, dell’armadio a muro, del cassettone, della tappezzeria a ramages, tornavo sempre con inconfessata ingordigia a invischiarmi nell’odore medio, appiccicoso, scipito, indigesto e fruttato del copriletto a fiori.

[Marcel Proust, Alla Ricerca del tempo perdutoDalla parte di Swann, traduzione di Giovanni Raboni, I Meridiani Mondadori ] pp. 60-61-62

Le stanze di zia Léonieultima modifica: 2023-08-18T08:29:22+02:00da ellen_blue

3 pensieri riguardo “Le stanze di zia Léonie”

    1. Che l’amore ottunda la mente ci può stare ma, non lo dico per invidia, nel marasma di umanità che affolla la Recherche, ci può stare che ci si confonda.

Lascia un commento

Se possiedi già una registrazione clicca su entra, oppure lascia un commento come anonimo (Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato ma sarà visibile all'autore del blog).