“Léonie, disse mio nonno quando fummo di ritorno a casa, avrei voluto che fossi con noi questo pomeriggio. Non riconosceresti Tansonville. Se avessi avuto coraggio, t’avrei colto un ramo di quegli spini rosa che ti piacevano tanto”. Il nonno raccontava così la nostra passeggiata a zia Léonie, un po’ per distrarla, un po’ perché non avevamo perso tutte le speranze di convincerla a uscire. E quella proprietà, un tempo, le era stata molto cara, senza contare che le visite di Swann erano state le ultime che lei avesse ricevute, quando già aveva chiuso la porta a tutti quanti. E così come, quando adesso veniva a prendere sue notizie (lei era la sola persona di casa nostra ch’egli chiedesse ancora di vedere), gli faceva rispondere che era stanca, ma che l’avrebbe ricevuto la prossima volta, allo stesso modo quella sera disse: “Sì, un giorno che farà bel tempo andrò in carrozza fino all’ingresso del parco”. Lo diceva con sincerità. Le sarebbe piaciuto rivedere Swann e Tansonville; ma il desiderio che ne aveva era già abbastanza per le forze che le restavano; realizzarlo sarebbe stato troppo. Qualche volta il bel tempo le restituiva un po’ di vigore, si alzava, si vestiva; la stanchezza la coglieva prima che fosse passata nell’altra stanza, e invocava il suo letto. Quel che per lei era cominciato – semplicemente più presto di quanto non succeda di solito – era la grande rinuncia della vecchiaia che si prepara alla morte, avviluppandosi nella propria crisalide, e che è possibile osservare, alla fine delle vite molto lunghe, anche fra i vecchi amanti che si sono più amati, fra gli amici uniti dai vincoli più puri, i quali, da un certo anno in poi, smettono di affrontare il viaggio o l’uscita di casa necessari per vedersi, smettono di scriversi, e sanno che in questo modo non comunicheranno mai più. Mia zia doveva sapere benissimo che non avrebbe più rivisto Swann, che non sarebbe più uscita di casa, ma a renderle abbastanza sopportabile quella reclusione definitiva doveva essere proprio la ragione che, secondo noi, avrebbe dovuto rendergliela più dolorosa: e cioè che essa le era imposta dalla diminuzione che poteva constatare ogni giorno nelle proprie forze e che facendo di ogni azione, di ogni movimento una fatica, se non una sofferenza, dava per lei all’inazione, all’isolamento, al silenzio la dolcezza riparatrice e benedetta del riposo.
[Marcel Proust, Alla Ricerca del tempo perduto, Dalla parte di Swann, traduzione di Giovanni Raboni, I Meridiani Mondadori ] pp. 174-175
La casa di zia Léonie