[…] infatti, se si stenta a credere che un morto sia stato vivo o che chi era vivo sia oggi morto, è quasi altrettanto difficile, e d’una difficoltà dello stesso genere (perché l’annientamento della giovinezza, la distruzione d’una persona piena di forze e di lievità è già un primo nulla), concepire che colei che è stata giovane sia vecchia, dal momento che l’aspetto di questa vecchia, giustapposto a quello della giovane, sembra escluderlo a tal punto che è a volta a volta la vecchia, poi la giovane, poi ancora la vecchia ad apparirci come un sogno e non si riesce a credere che questa possa essere stata quella, che la medesima materia di quella possa, senza rifugiarsi altrove, grazie alle sapienti manipolazioni del tempo, essere diventata questa, che si tratti della stessa materia rimasta senza abbandonarlo nello stesso corpo – se non si disponesse dell’indizio del nome uguale e della testimonianza affermativa degli amici, cui dà una parvenza di verosimiglianza solo quella rosa, stretta un tempo fra l’oro delle spighe, in risalto ora sotto la neve.
Marcel Proust, Il Tempo ritrovato
Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori