E pensavo anche a tutti quelli che non c’erano perché non potevano esserci, per i quali un segretario, cercando di dare l’illusione della loro sopravvivenza, aveva mandato una di quelle lettere di scuse che arrivavano di tanto in tanto alla principessa, a quei malati che stanno morendo da anni, che non si alzano, non si muovono più, e che anche in mezzo alla frivola assiduità di visitatori attratti da una curiosità da turisti o da una fiducia da pellegrini sono simili – gli occhi chiusi, il rosario in mano, il già funebre lenzuolo respinto a metà – a figure scolpite sino allo scheletro dal male in una carne rigida e bianca come il marmo, e giacenti sul loro sepolcro.
Marcel Proust, Il Tempo ritrovato
Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori