Chi soffre per amore è il medico di se stesso

D’altronde, chi soffre per amore è, come si dice di certi malati, il medico di se stesso. Poiché nessuna consolazione gli può venire se non dall’essere che causa il suo dolore, e questo dolore è un’emanazione di quello, è proprio in esso che, alla fine, troverà un rimedio. Glielo farà scoprire, a un certo punto, il dolore stesso, mostrandogli, man mano ch’egli lo rigira dentro di sé, nuovi aspetti della persona rimpianta, a volte così odiosi che non si desidera nemmeno più di rivederla, dato che prima di goderne la vicinanza bisognerebbe farla soffrire, a volte così dolci che della dolcezza che le si attribuisce si fa un merito per lei e per sé una ragione di speranza. Ma anche dopo che la rinnovata sofferenza mi si fu acquietata, non ebbi più voglia, se non raramente, di tornare da Madame Swann. La ragione principale era che, in coloro che amano e vengono abbandonati, il sentimento d’attesa – magari inconfessato – nel quale vivono subisce una trasformazione autonoma e, pur restando in apparenza identico, a un primo stadio ne fa succedere un secondo esattamente opposto. Il primo era la conseguenza, il riverbero degli incidenti dolorosi che ci avevano sconvolti. L’attesa di quel che potrebbe accadere si vena di paura, tanto più che, in quel momento, se da parte di colei che amiamo non viene nulla di nuovo, subentra il desiderio di agire noi stessi, pur senza saper bene quale sarà l’esito di un’iniziativa dopo la quale, forse, ci riuscirà impossibile intraprenderne altre. Ma presto, senza che ce ne rendiamo conto, la nostra attesa che continua è determinata, come abbiamo visto, non più dal ricordo del passato che abbiamo subìto, ma dalla speranza di un futuro immaginario. A partire da quel momento diventa quasi piacevole. E poi la prima fase, finché è durata, ci ha abituati a vivere nell’aspettativa. La sofferenza provata nel corso degli ultimi incontri sopravvive ancora in noi, ma già assopita. E non abbiamo troppa fretta di rinnovarla, tanto più che, adesso, non sapremmo bene cosa chiedere. Estendere di poco il possesso della donna amata significherebbe solo renderci più necessario quel che non possediamo, e che malgrado tutto, poiché il bisogno nasce dalla soddisfazione, rimarrebbe qualcosa d’irriducibile.

M. Proust, Intorno a Madame Swann

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Chi soffre per amore è il medico di se stessoultima modifica: 2021-08-22T12:04:57+02:00da ellen_blue

8 pensieri riguardo “Chi soffre per amore è il medico di se stesso”

  1. “Estendere di poco il possesso della donna amata significherebbe solo renderci più necessario quel che non possediamo”, perfetto Marcel. Se avessi voluto definire quello che è l’opposto dell’amore non avrei saputo farlo meglio. Ora io non so se tu parli così trasformandoti in Swann e quindi hai voluto evidenziare qualcosa che biasimi in Swann o quello che hai detto è quello che pensi. A prescindere da Swann o da Marcel quella frase è la sintesi della necessità di possesso/proprietà verso una donna ovvero quella che genera gelosia e, in ogni caso, nasce dalla paura. Io ho poca dimestichezza con l’amore, ma di paura me ne intendo proprio… questa però è un’altra storia. Completando la tua affermazione dici: “malgrado tutto, poiché il bisogno nasce dalla soddisfazione”, immagino parli del cibo o dell’acqua perché, per quanto riguarda quell’amore che io conosco ben poco, credo che il bisogno nasca dalla sete o dalla fame che hai di lei. Due cose che, quando si ama, non riescono a saziarti.

    1. Si vede che non conosci l’amore (anche se secondo me fingi, perché ti diverte proporti in queste vesti). In questo passo a parlare è il narratore in relazione a Gilberte Swann che non vuol più saperne di lui (l’ha pure vista mentre s’accompagnava a un giovanotto). A questo punto, al narratore non resta che la speranza di poter costruire qualcosa in futuro (per ora è spacciato); ma poi pensa: “Estendere di poco il possesso della donna amata significherebbe solo renderci più necessario quel che non possediamo”, ovvero non mi conviene. Già languo indicibilmente, e se “il bisogno nasce dalla soddisfazione”, che già so di non poter conseguire, a che pro proiettarsi nel futuro? Meglio chiuderla qui.

      1. Questa tua replica me l’ero riservata per ultima, perché avrei molto da dire ed ora sarei anche troppo contorto perché farei un casino fra la trama (quello che dice Marcel e come lo interpreti tu), e l’ordito ovvero come la vedo io sulla mia esperienza.

  2. Per nostra fortuna, questo è un blog negletto per cui possiamo giocare tranquillamente a fare gli esegeti di Proust 🙂 sai perché ti dico questo? perché qualche ora fa ho scoperto un post in un blog (non su Libero) che faceva a pezzi i commenti trovati in rete a proposito della Recherche. Era divertente, perché l’autore del post aveva ragione da vendere, in quanto pescando tra i gruppi di lettura, aveva trovato delle perle tipo questa: leggere Alla ricerca del tempo perduto ti cambia la vita. :))

    1. Parlo per me, perché sicuramente io posso considerarlo un gioco che, fra l’altro, lo gioco conscio di farlo solo da dilettante (e se mi stimi, sai che non sto facendo l’umile perché sarei anche ridicolo).
      Così come so che a giocare con te, non solo su Proust, ma su argomenti letterari, per me è sia un onore che avere culo e per te è avere tanta pazienza :))

  3. No, se non ti ritenessi alla mia altezza, nel senso che se non ritenessi che tu sia in grado di darmi soddisfazione, non ci giocherei con te. Quindi non è questione di pazienza, ma di tornaconto.

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