Riattraversammo avenue Gabriel, tra la folla della gente che stava passeggiando. Feci sedere la nonna su una panchina e andai a cercare un fiacre. Lei, di cui m’ero sempre sforzato di cogliere i sentimenti per giudicare anche la più insignificante delle persone, mi era divenuta adesso inaccessibile, era ormai parte del mondo esterno, e mi vedevo costretto a tacerle quel che pensavo delle sue condizioni, a tacerle la mia inquietudine, più che a un qualsiasi passante. Non avrei potuto parlargliene se non con la minima confidenza ispiratami da un’estranea. Mi aveva restituito i pensieri, i dispiaceri che, sin dall’infanzia, le avevo consegnati una volta per tutte. Non era ancora morta. Ero già solo. E persino quelle sue allusioni ai Guermantes, a Molière, ai nostri discorsi sul piccolo clan, sembravano prive di fondamento, immotivate, fantastiche, perché giungevano dal niente di quella stessa creatura che domani, forse, non sarebbe più esistita, per la quale non avrebbero avuto più alcun senso: da quel niente – incapace di concepirle – che la nonna, ben presto, sarebbe stata.
M. Proust, La parte di Guermantes II
Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori
Wesley Merritt, Marcel Proust