Sugli omosessuali

Senza onore se non precario, senza libertà se non provvisoria, in attesa della scoperta del crimine, senza posizione se non instabile, come il poeta festeggiato un giorno in tutti i salotti, applaudito in tutti i teatri di Londra, e il giorno dopo scacciato da tutte le locande e privo d’un guanciale cui posare la testa; costretti come Sansone, a girare la macina, dicendo come lui:

I due sessi morranno ciascuno dal suo lato;

esclusi persino – salvo che nei giorni di grande calamità, quando la maggioranza si raduna attorno alla vittima, come gli ebrei attorno a Dreyfus – dalla simpatia, e a volte dalla compagnia, dei loro simili, cui procurano disgusto di vedersi quali sono, ritratti in uno specchio che, non lusingandoli più, denuncia tutte le tare che s’erano rifiutati di constatare in loro stessi e li costringe a capire che ciò che chiamavano il loro amore (e che, giocando sulla parola, avevano corredato, per senso sociale, di tutto quanto la poesia, la pittura, la musica, la tradizione cavalleresca, l’ascetismo possono aver aggiunto all’amore) non deriva da un ideale di bellezza liberamente prescelto, ma da una malattia inguaribile; come gli ebrei, di nuovo (tranne i pochi che si ostinano a frequentare solo gente della loro razza e hanno sempre sulle labbra le frasi rituali e le battute consacrate) spinti a fuggirsi l’un l’altro, a cercare coloro che meno gli somigliano e meno li accettano, a sopportare i loro sgarbi, a inebriarsi della loro condiscendenza; ma riuniti pur sempre ai loro simili dall’ostracismo che li colpisce dall’obbrobrio in cui sono caduti, sì che han finito con l’assumere, in conseguenza di una persecuzione non diversa da quella di Israele, le caratteristiche fisiche e morali d’una razza, a volte attraenti, spesso ripugnanti, trovando (malgrado tutte le beffe con cui quelli che, più mischiati, meglio assimilati alla razza avversa, sono relativamente, in apparenza, meno invertiti, subissano quelli che lo sono rimasti di più) un po’ di distensione nella compagnia dei loro simili, e persino qualche conforto nella loro esistenza, al punto che, pur negando che formino una razza (il cui nome costituisce la peggiore ingiuria), coloro che riescono a nascondere d’esserlo smascherano volentieri chi lo è, meno per danneggiarlo – cose da cui per altro rifuggono – che per scusare se stessi, e vanno a cercare, come un medico l’appendicite, l’inversione sin nella storia, ricordando con piacere che Socrate era uno di loro, così come gli israeliti dicono che Gesù era ebreo, senza pensare che non c’erano anormali quando l’omosessualità era la norma, né anticristiani prima di Cristo, e che solo l’obbrobrio fa sì che un crimine sia tale, giacché ha lasciato sussistere solo coloro che erano refrattari a ogni predicazione, a ogni esempio, a ogni castigo, in virtù d’una disposizione innata talmente particolare da offendere gli altri uomini (sebbene possa accompagnarsi ad elevate qualità morali) più di certi vizi inconciliabili con esse come il furto, la crudeltà, la malafede, che però l’uomo comune, comprendendoli meglio, è più propenso a scusare; membri d’una massoneria assai più estesa, più efficace e meno sospettata di quella delle logge, perché si fonda su un’identità di gusti, di bisogni, di abitudini, di rischi, d’apprendimento di conoscenza, di relazioni, di glossario, e nella quale anche coloro che sperano di non conoscersi ben presto si riconoscono, per via di segni naturali o convenzionali, involontari o voluti, che additano un suo simile al mendicante nel gran signore cui sta chiudendo la portiera della carrozza, al padre nel fidanzato della figlia, a chi voleva guarire, confessarsi, a chi aveva bisogno d’esser  difeso, nel medico, nel prete, nell’avvocato ai quali si è rivolto; costretti, tutti, a proteggere il loro segreto, ma essendo a parte d’un segreto degli altri che il resto dell’umanità non sospetta, tanto che, ai loro occhi, i più inverosimili romanzi d’avventura appaiono veri, giacché, nel romanzesco anacronismo di quella vita, l’ambasciatore è amico  del forzato, e il principe, con una certa scioltezza che gli viene dalla sua educazione aristocratica, e che un tremante piccolo borghese non potrà mai avere, uscendo dalla casa della duchessa va ad incontrare il teppista; parte reietta della collettività umana, e tuttavia parte importante, sospettata dove non esiste, ostentata, insolente, impunita dove nessuno ne supporterebbe la presenza; con aderenti ovunque, nel popolo, nell’esercito, al tempio, in galera, sul trono; capaci, insomma, almeno nella maggior parte dei casi, di vivere in affettuosa, pericolosa intimità con gli uomini dell’altra razza, di provocarli, giocando a parlare del loro vizio come se non fosse il loro, gioco facilitato dalla cecità o dalla falsità degli altri, gioco che può protrarsi per anni sino al giorno dello scandalo, quando i domatori vengono sbranati; costretti, sino a quel momento, a nascondere la propria vita, a distogliere gli occhi da ciò che gli occhi vorrebbero fissare, a posarli su ciò da cui vorrebbero distoglierli, a mutare il genere di tanti aggettivi nel loro vocabolario, costrizione sociale alquanto lieve se paragonata alla costrizione interiore che il loro vizio, o ciò che impropriamente viene così chiamato, impone loro non più nei confronti degli altri, ma di loro stessi, e in modo ch’esso non appaia un vizio ai loro propri occhi.

M. Proust, Sodoma e Gomorra I

Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori

Sugli omosessualiultima modifica: 2022-01-10T12:59:04+01:00da ellen_blue

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