Prima che Albertine m’obbedisse e si togliesse le babbucce, io già schiudevo la sua camicia. I suoi due piccoli seni volti all’insù erano così rotondi che, più che far parte integrante del suo corpo, sembrava vi fossero maturati come due frutti; e il suo ventre (dissimulando la parte che nell’uomo è imbruttita come da una zanca rimasta infissa in una statua smurata) si richiudeva, al congiungersi delle cosce, con due valve la cui curva era così lene, così riposante, così claustrale come quella dell’orizzonte quando il sole è sparito. Albertine si sfilava le babbucce, si coricava accanto a me. (…) Annodava le braccia dietro i capelli neri, il fianco arcuato, la gamba spiovente nell’inflessione d’un collo di cigno che s’allunga e s’inflette per ritornare su se stesso.
M. Proust, La Prigioniera
Traduzione di G. Raboni per i Meridiani Mondadori