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Ascari: I Leoni d' Eritrea. Coraggio, Fedeltà, Onore. Tributo al Valore degli Ascari Eritrei.

 

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L'Ascaro del cimitero d'Asmara.

Sessant’anni fa gli avevano dato una divisa kaki, il moschetto ‘91, un tarbush rosso fiammante calcato in testa, tanto poco marziale da sembrare uscito dal magazzino di un trovarobe.
Ha giurato in nome di un’Italia che non esiste più, per un re che è ormai da un pezzo sui libri di storia. Ma non importa: perché la fedeltà è un nodo strano, contorto, indecifrabile. Adesso il vecchio Ghelssechidam è curvato dalla mano del tempo......

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Messaggi del 11/09/2008

Cronologia del colonialismo italiano

Post n°157 pubblicato il 11 Settembre 2008 da wrnzla

Cronologia del colonialismo italiano

Fonte Testi: it.wikipedia.org

1869
* 2 ottobre, Il governo guidato da Luigi Federico Menabrea stipula un trattato segreto per comprare un terreno o una baia o una rada sulle coste dell'Africa o dell'Asia per far nascere il colonialismo italiano.
* 15 novembre, Acquisto della Baia di Assab in Eritrea da parte della società Rubattino di Genova.
1870
* febbraio, Giuseppe Sapeto diventa agente commerciale della società genovese Rubattino ad Assab.
* 13 marzo, la bandiera italiana viene issata per la prima volta ad Assab dopo tre salve di cannone della nave Africa e vengono fissati con dei pali in legno i confini del possedimento.
1879
* dicembre, il governo guidato da Agostino Depretis insedia un comandante nella Baia di Assab.
1881
* Schiaffo di Tunisi, la Tunisia diventa protettorato francese.
1882
* Il governo guidato da Agostino Depretis compra la Baia di Assab dalla Rubattino per 104.100 lire.
1884
* Occupazione di Massaua in Eritrea.
1885
* Viene stipulato il primo accordo tra il sultano di Zanzibar e l'Italia per ottenere il protettorato sulla Somalia.
* agosto, occupazione di Saati a 30 km da Massaua.
1886
* novembre, occupazione di Uaà a 40 km. a sud di Massaua, proteste del negus Giovanni IV d'Etiopia.
1887
* 25 gennaio, il ras Alula attacca il presidio italiano di Saati
* 26 gennaio, Battaglia di Dogali, 548 soldati italiani guidati colonnello Tommaso De Cristoforis, inviati in soccorso al presidio di Saati, sono sterminati dalle truppe irregolari del ras etiopico Alula, generale del negus Giovanni IV d'Etiopia a Dogali, 20 km a ovest di Massaua.
1888
* 1 febbraio, rioccupazione del presidio del Saati.
1889
* Occupazione di Asmara
* 2 maggio, Italia e Etiopia stipulano il Trattato di Uccialli, viene riconosciuta dall'Etiopia l'Eritrea come colonia italiana e l'Etiopia "consente di servirsi" dell'Italia in politica estera.
* 26 luglio, le truppe del "barambaras" Kafil, fedeli all'Italia occupano Cheren.
1890
* Nasce la colonia dell'Eritrea con capoluogo Massaua.
1892
* 12 agosto, accordo tra il sultano di Zanzibar e l'Italia, l'Italia riceve in affitto di Uarscec, Mogadiscio, Merca, Brava e territori circostanti per 25 anni. Scaduti i 25 anni l'Italia poteva rinnovare la convenzione per altri 25. Il canone annuo da corrispondere al sultano era di 160.000 rupie, ridotte poi a 120.000.
1893
* dicembre, occupazione di Cassala in Sudan che passa alla colonia dell'Eritrea.
1895
* 1° dicembre, inizio della Campagna d'Africa orientale contro l'Etiopia
* 7 dicembre, Battaglia dell'Amba Alagi sull'Amba Alagi, il presidio italiano comandato dal Maggiore Pietro Toselli, composto da 19 ufficiali e 2.300 soldati, venne assalito da circa 30.000 abissini; nello scontro, le forze italiane vennero completamente annientate.
1896
* 22 gennaio, Occupazione di Adigrat in Eritrea.
* 1° marzo 1896, Battaglia di Adua ad Adua tra le forze italiane, comandate dal tenente generale Oreste Baratieri, e l'esercito del negus Menelik II.
* ottobre, Con il Trattato di Addis Abeba si conclude la Campagna d'Africa orientale, viene fissato parte del confine tra Eritrea e Etiopia su Setit, ma non viene fissato il confine nella Dancalia.
1897
* Il capoluogo dell'Governo dell'Eritrea viene trasferito da Massaua a L'Asmara.
* 25 dicembre, Cassala in Sudan passa agli inglesi con un trattato.
1902
* Dopo la Rivolta dei Boxer in Cina all'Italia viene garantita la concessione di Tientsin.
1905
* Nasce la Somalia Italiana con capoluogo Mogadiscio
* 13 gennaio, accordo tra Italia e Regno Unito che rappresenta il sultano del Zanzibar, vengono riscattati quattro porti della Somalia e viene preso un affitto un terreno nella baia di Chisimaio.
1906
* l’Italia ottiene dal sultano di Zanzibar la costa meridionale della Somalia, con i protettorati di Obbia e Migiurtinia.
* 24 agosto, vittoria italiana a Gilib contro i ribelli somali.
1908
* 2 marzo, il capitano Vitali alla testa di 500 ascari batte a Dongab in Somalia i ribelli Bimal.
* 12 luglio, Il maggiore Di Giorgio occupa Merca, scontro a Merere con i ribelli e il villaggio viene incenditato dagli italiani.
1911
* 28 settembre, inizia la Guerra italo-turca contro l'Impero Ottomano
* 5 ottobre, sbarcano a Tripoli in Libia 1.732 uomini comandati dal Capitano di Vascello Umberto Cagni.
* 17 ottobre, sbarco a Homs.
* 18 ottobre, sbarco Bengasi.
* 25 ottobre, sbarco a Derna guidato dal comandante Vittorio Italico Zupelli.
* 4 dicembre, occupazione di Ain Zara a 10 km da Tripoli.

1912
* gennaio occupazione di Gargaresch a 6 km da Tripoli.
* 26 aprile viene occupata l'isola di Stampalia nel Dodecaneso.
* 1° maggio, occupazione delle rovine di Leptis Magna.
* 2 maggio vengono occupate le isole di Scarpanto, Caso, Piscopi, Nisiro, Calimno, Lero, Patmos, Coo, Simi e Calchi nel Dodecaneso.
* 1°agosto 1912, occupazione di Uanle Uen in Somalia.
* 18 ottobre, Col Trattato di Ouchy viene riconosciuta l'occupazione italiana del Dodecaneso e della Libia.
1913
* 19 luglio, occupazione di Bur Acaba e di Iscia Baidoa in Somalia. Tutta la Somalia Italiana è occupata.
1914
* Nasce la Colonia del Dodecaneso con capoluogo Rodi.
* 30 ottobre 1914, occupazione dell'isola di Saseno in Albania
* 2 dicembre, parte la colonna Giannini da Ghat per occupare Ghadames
1915
* 15 gennaio, uno dei figli di Ser-en-Nassen, fiduciario dell'Italia nella Sirtica, unitosi ad altri capi della regione, atttacca il presidio italiano di Raddum in Libia.
* 8 febbraio, un migliaio di ribelli presso Bungen in Libia attacca una colonna italiana di cammelli scortata da 300 armati, ma viene respinta.
* 11 febbraio, ritiro da Bangen a Beni Ulid della colonna Gianninazzi.
* 11 febbraio, tentativo di conquista senussita di Taorga in Libia.
* 18 febbraio, rioccupazione di Ghadames della colonna Giannini partita da Ghat
* aprile, la colonna Gianninazzi ripiega su Misda, la colonna Miani marcia verso Casr-Bu-Hadi dove si concentravano i ribelli.
* 26 aprile la colonna Miani raggiunge Sirte.
* 28 aprile Battaglia di Casr-Bu-Hadi, vittoria dei ribelli, il presidio di Beni Ulid rimane isolato.
* 12 maggio una colonna che si spostava da Misurata a Misurata Marina è costretta a rientrare in città.
* 23 maggio il presidio di Taorga rimane bloccato.
* giugno, il governatore Tassoni propone di tenere le città di Misurata Marina, Homs, Zuara e Tripoli. Il ministro delle Colonie propone di tenere anche Gharian e Jefren.
* 4 luglio, tutti i presidi in Libia sono sulla costa, l'interno è nelle mani dei Senussi
* 6 luglio la colonna Nigra dal presidio di Jefren ripiega su Zuara.
* 8 luglio, il presidio di Gharian si ritira ad Azizia.
* agosto, in Tripolitania e Fezzan rimangono all'Italia solo Tripoli e Homs.
1919
* 18 gennaio, Conferenza di pace di Parigi la zona di Adalia passa all'Italia
* 29 luglio, Trattato tra Italia e Grecia in cui l'Italia rinunciava alla zona di Adalia e alle isole del Dodecanneso salvo Rodi. Ma tranne per la zona di Adalia il Dodecaneso rimane in mano all'Italia.
1920
* 2 agosto, accordo tra Italia e Albania per le pretese italiane su Valona.
* 10 agosto, Trattato di Sèvres tra potenze alleate e Turchia, l'isola di Castelrosso passa dalla Francia all'Italia integrata nel Dodecaneso. la concessione austroungarica a Tientsin in Cina viene unita alla concessione italiana di Tientsin.
* 18 settembre, accordo di Tirana con l'Albania, Saseno diventa italiana.
1922
* Rettifica del confine in Libia tra Italia e Francia intorno a Gadames, Ghat e Tummo e una piccola parte di Sudan al confine con la Libia e il Ciad passa all'Italia promessi dal Patto di Londra.
* 10 aprile riconquista di Gadames.
1923
* 29 agosto, Crisi di Corfù, occupazione dell'isola di Corfù
* 27 settembre, Crisi di Corfù, su pressione della Società delle Nazioni l'Italia si ririra dall'isola di Corfù
1924
* 15 luglio, Protoccollo italo-inglese, l'Oltregiuba passa dal Kenya inglese all'Italia.
* 23 novembre, rioccupazione di Sirte. Tutta la Tripolitania e la Cirenaica sono occupate con il Fezzan.
1926
* 30 giugno, l'Oltregiuba entra a far parte della Somalia Italiana.
1928
* Trattato di pace di Addis Abeba tra Italia e Etiopia riguardante il confine tra Etiopia e Somalia Italiana.
* 6 gennaio vengono usati per la prima volta gas tossici in Libia usando bombe al fosgene contro la tribù ribelle di Mogarba.
1930
* 31 luglio vengono lanciati bombe all'iprite sull'oasi di Tazerbo in Libia.
1931
* 11 settembre, il capo della rivolta antititaliana in Cirenaica, Omar al-Mukhtar è avvistato nella piana di Got-Illfù all'aviazione italiana e viene catturato.
* 15 settembre, Omar al-Mukhtar viene condannato a morte nel Palazzo Littorio di Bengasi
* 16 settembre, Viene eseguita la condanna a morte a Omar al-Mukhtar a Soluch, 56 km da Bengasi.
1934
* Incidente di Ual Ual al confine tra Somalia Italiana e Etiopia.
1935
* 2 ottobre, Comincia la Guerra d'Etiopia.
* 6 ottobre, Occupazione di Adua.
* 18 ottobre, Sanzioni della Società delle Nazioni contro l'Italia.
1936
* gennaio Occupazione di Macallè.
* 29 marzo, Bombardamento di Harar.
* 31 marzo, Battaglia di Maychew, le forze etipi sono sconfitte.
* 2 maggio, Haile Selassie abbandona la capitale Addis Abeba.
* 5 maggio, Il Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio occupa Addis Abeba, tutta l'Etiopia è occupata.
* 7 maggio, L'Italia si annette ufficialmente l'Etiopia.
* 9 maggio, Fine della Guerra d'Etiopia, il Re d'Italia Vittorio Emanuele III diventa anche Imperatore d'Etiopia, nasce l'Africa Orientale Italiana divisa in 6 governi di cui 4 parte del Impero italiano d'Etiopia.
1937
* Apertura della Via Balbia in Libia che collega dal confine con la Tunisia al confine con l'Egitto.
* 19 febbraio, durante una cerimonia per festeggiare la nascita del principe di Napoli Vittorio Emanuele di Savoia nel palazzo del viceré ad Addis Abeba alla quale erano stati invitati i notabili locali. Forte repressione da parte di Rodolfo Graziani e sono uccisi tra i 5.000 e i 30.000 etiopi come rappresaglia.
* 11 dicembre, L'Italia esce dalla Società delle Nazioni.
1938
* 11 novembre Il Governatorato di Addis Abeba viene abolito e si trasforma in Governo dello Scioà.
1939
* 7 aprile, Occupazione del Regno d'Albania e fuga dire Zog I da Tirana.
* 12 aprile, Vittorio Emanuele III Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia diventa anche Re d'Albania.
1940
* 10 giugno Mussolini dichiara guerra alla Gran Bretagna e alla Francia, inizia la guerra per l'Italia anche nelle colonie con la Campagna Alleata in Africa Orientale nell'Africa Orientale Italiana e in Libia.
* 28 giugno, Italo Balbo, governatore della Libia e comandante superiore italiano in Nordafrica, viene abbattuto per errore dalla contraerea di Tobruch.
* 16 luglio Truppe italiane penetrano nel Kenya britannico.
* 3 agosto Truppe italiane invadono il Somaliland britannico dall'Etiopia. *19 agosto Conquista di Berbera, capoluogo del Somaliland britannico.
* 28 ottobre L'Italia invade la Grecia partendo dall'Albania e dal Dodecaneso.
1941
* 19 gennaio Truppe britanniche attaccano gli italiani in Eritrea.
* 21 gennaio Truppe britanniche e australiane attaccono Tobruch.
* 22 gennaio Tobruch in Libia cade in mano britannica, per la prima volta l'Italia perde nelle colonie.
* 21 aprile, Rese della Grecia all'Italia, alla Burgaria e alla Germania, l'Italia ottiene il controllo di 3/4 della Grecia.
* 6 febbraio Truppe britanniche entrano a Bengasi.
* 11 febbraio La Cirenaica è perduta, a sostegno degli italiani, arrivano in Libia Erwin Rommel e due divisioni dell'Afrikakorps.
* 26 febbraio Truppe britanniche entrano a Mogadiscio, nell'Africa Orientale Italiana.
* 27 marzo Cade Cheren in Eritrea.
* 3 aprile Le truppe italiane riconquistano Bengasi.
* 6 aprile Truppe tedesche, italiane, ungheresi e romene attaccano la Jugoslavia e la Grecia in soccorso degli italiani.
* 12 aprile Le truppe italiane riconquistano Sollum.
* 17 aprile La Jugoslavia firma la resa e viene suddivisa tra i vincitori. All'Italia vengono dati tutti i terriori di etnia albanese parte della Grande Albania compreso il Kosovo e il Montenegro con il Sagiaccato.
* 5 maggio L'Imperatore d'Etiopia Haile Selassie entra ad Addis Abeba, da dove gli Italiani sono stati cacciati.
* 19 maggio, dopo un tentativo di resistenza sull'Amba Alagi, il viceré Amedeo d'Aosta, si arrese con l'onore delle armi.
* 13 luglio In Montenegro prima rivolta popolare in Europa contro l'occupazione italiana.
* 21 novembre Si spegne l'ultima resistenza del caposaldo di Culquaber.
* 28 novembre Si arrende il generale Gugliemo Nasi a Gondar in Etiopia. Tranne le truppe indigene al seguito di Amedeo Guillet l'Africa Orientale Italiana e i terriori limitrofi già occupati è persa.
* 11 dicembre La Germania e l'Italia dichiarano guerra agli Stati Uniti.
1942
* inizio 1942 La Guerriglia italiana in Africa Orientale fa sollevare le popolazioni indigene Azebò Galla residenti nella regione della Galla Sidama.
* 1 luglio-31 luglio - Prima battaglia a El Alamein in Egitto tra le forze italo-tedesche e quelle britanniche.
* 23 ottobre Inizio della Seconda battaglia di El Alamein.
* 3 novembre Seconda battaglia di El Alamein. Rommel ordina il ripiegamento delle truppe superstiti verso il confine egiziano-libico, poi lo attraversa e si stabilisce in Cirenaica.
* 6 novembre Seconda battaglia di El Alamein, i resti della Divisione Folgore, in ritirata da El Alamein, si arrendono agli inglesi dopo aver distrutto le proprie armi rese inutili dall'esaurimento delle munizioni.
* 8 novembre L'operazione degli alleati Torch truppe americane sbarcano in Marocco e Algeria. In risposta, truppe italo-tedesche occupano la Tunisia francese.
1943
* 23 gennaio Tripoli è occupata dai britannici. Tutta la Libia è persa. Rimane solo la Tunisia ex francese.
* 11 maggio Cade Capo Bon in Tunisia, l'Italia ha preso tutte le ex colonie africane.
* 13 maggio L'Afrikakorps tedesco e le truppe italiane si arrendono in Tunisia.
* 8 settembre Si arrendono tutte le forze italiane che combattono in Europa e passano ai partigiani come in Jugoslavia o in Grecia. Rimane solo il governatore delle Isole Italiane dell'Egeo senza alcun potere effettivo.
1947
* 10 febbraio Con il Trattato di Parigi l'Italia perde tutte le colonie, tranne la Somalia Italiana che si decide di far diventarla sotto amministrazione fiduciaria italiana dal 1950 al 1960.
1950
* 1 gennaio La Somalia Italiana tramite l'Nazioni Unite diventa sotto amministrazione fiduaciaria italiana.
1960
* 1 luglio Viene ammainata la bandiera italiana a Mogadiscio, la Somalia Italiana diventa indipendente e si unisce al Somaliland per formare la Somalia indipendente, finisce dopo quasi cent'anni il colonialismo italiano.

 
 
 

III° Battaglione Indigeni dell'Eritrea

Post n°156 pubblicato il 11 Settembre 2008 da wrnzla

3° Battaglione Indigeni dell'Eritrea


Tags: Ascari Eritrea. Ascari Eritrei.

 
 
 

Storia. RIASSUNTO ANNI 1935-36

Post n°155 pubblicato il 11 Settembre 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it


RIASSUNTO ANNI 1935-36

(Oggi diremmo che sono di parte; ma questo leggevano gli italiani; non dimentichiamolo)
(Noi qui cerchiamo solo di capire)

* LA POLITICA COLONIALE DAL 1878
FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (giugno 1935)
(una lunghissima storia)
(PRIMA PARTE)

* NAZIONE-GOVERNO - POLITICA COLONIALE dal 1878 FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (agosto 1935)
(seconda parte)
* RAPPORTO DEI "13" DEL 6 OTT. 1935 della S. d. N.: L'ITALIA "HA AGGREDITO!" - SANZIONI! !
(gli articoli sopra in neretto seguono nelle successive pagine)

Ma erano le antiche ideologie, era il vecchio giuoco di voler essere furbi, era la solita mentalità del fare e del non fare, e, soprattutto, era lo sperare non si sa mai da chi felici combinazioni che continuavano beatamente a inficiare e a invalidare tutta la nostra politica e tutta la nostra azione di guerra: alla vigilia di attacchi nemici in forze, si elargivano le più tranquillanti informazioni, limitandosi a prospettare la convenienza di avere poche centinaia di soldati in più per fronteggiare ogni evento ; alternative di avanzate e di ritirate, di occupazioni e di sgombri, di patteggiamenti amichevoli e di rotture improvvise, dalle quali unici ad approfittare erano gli elementi malfidi usi a sfruttare la nostra dabbenaggine e la nostra ingenuità, e, pessima sopra le altre, la abitudine di dar credito al primo imbroglione che ci si prosternasse davanti, di accoglierlo, di ospitarlo, di trattarlo da pari a pari, e, in ultimo, di armarlo... contro di noi, ecco le caratteristiche del primo periodo attivo della nostra azione africana che, fatalmente, doveva sfociare in altri lutti e in altri errori.

Il Ministero amò alimentare l'illusione che con l'occupazione di Assab in seguito ad accordi misteriosi, l'Italia si preparasse a grandi imprese capaci di assicurarle una parte preminente nel bacino Mediterraneo : amò diffondere la fiducia che la presa di possesso di due teste di ponte nel Mar Rosso fosse il principio di ben più vasto disegno, fosse anzi - come il Minghetti, nell'ultimo discorso sulla politica estera pronunciato alla Camera, denunziò - il mezzo per giungere a conseguenze più rilevanti di quelle che apparivano : la pacificazione dell'Egitto e la possibilità di esercitare una influenza maggiore e non lontana nei mari europei !
Insieme con siffatta fiducia, vaga ma largamente divisa, incerta ma ammessa e accarezzata, rimase in armi e non affievolita la mentalità, a base di presupposti ideologici, di premesse liberaloidi, di aforismi contraddittori quali il Brunialti -tra tanti altri - ora proclamando la santità del rispetto alla indipendenza di tutti i popoli, e ora, in aperto contrasto con sé stesso, concedendo che in certi momenti i popoli, abbandonati i metodi blandi, debbano far uso dei metodi forti a tutela del loro prestigio e della loro dignità, concorse a espandere e a rinsaldare.

Alla suggestione delle frasi sonore e alla retorica accademica non poté naturalmente sottrarsi l'eloquente assertore del principio di nazionalità, il Mancini, il quale credette di combattere gli estremisti apologeti della libertà e della indipendenza altrui ad ogni costo, sottilizzando su l'uso e l'abuso, su popoli civili e su popoli incivili « quando - obiettò -- alcuni esprimono il timore che le imprese coloniali violino la libertà delle popolazioni indigene, si confonde l'abuso con la legittima azione dei popoli civili.
Certamente il penetrare anche in paesi non aperti alla civiltà, per offendervi la libertà delle credenze religiose, delle tradizioni di famiglia, delle costumanze che non siano offensive ai grandi principi di umanità e della giustizia, sarebbe, a mio avviso, non solamente un errore, ma un delitto. Ma i popoli che così procedono non sono colonizzatori, non sono mai riusciti nelle loro imprese di colonizzazione.
Vi ha, invece, un sistema di colonizzazione il quale sa limitare l'azione e l'influenza del popolo civile che viene a contatto con quello che ancora non fruisce dei benefici della civiltà e non ha ancora aperto gli occhi alla luce di questo sole dell'umana vita. E il merito di un popolo colonizzatore é riposto precisamente nel sapersi arrestare a questo limite ed é merito e dovere del Governo l'imporre ai suoi agenti, ai suoi soldati, quando anche sia mestieri adoperare la forza, di rispettare tutto ciò che merita rispetto nella umana personalità».

E non si accorse che, a furia di sottigliezze, si finiva con l'apparecchiare le interpretazioni più comode e i destreggiamenti più capziosi.

Di una larga e adeguata consapevolezza delle necessità improrogabili alle quali lo sbarco africano avrebbe dovuto assai presto far fronte, governo e popolo non mostrarono dovizia, neppure quando gli avvenimenti ormai incalzarono e situazioni politiche gravi si profilarono imminenti : il pubblico, sia per il suo temperamento portato all'entusiasmo e sia per la credenza maturata attraverso la condotta ambigua dei Gabinetti che qualche cosa di grandioso si preparasse e che la impresa africana segnasse i prodromi della realizzazione. di un piano pazientemente elaborato, salutò con plausi, con acclamazioni i soldati che partivano e dei quali reputava facile e non lontano il glorioso ritorno, mentre dai banchi del Governo, alla Camera e al Senato, fioccarono le dichiarazioni ottimistiche di aver tutto preveduto e di aver tutto approntato.
Il 24 gennaio dell'87, due giorni prima di Dogali, il conte di Robilant, che aveva preso il posto del Mancini nel dicastero degli Esteri, rispondendo al De Renzis e al Di Rudini che chiedevano notizie sulle possibilità di un attacco abissino e sullo stato difensivo della colonia, disse che le faccende africane andavano egregiamente, e che a proposito delle dicerie allarmistiche di cui gli interroganti si erano resi portavoci non gli pareva convenisse "attaccare tanta importanza a quattro predoni" che avrebbero potuto capitarci tra i piedi.
E il giorno stesso di Dogali, mentre cinquecento valorosi immolavano la loro vita alla insipienza dei reggitori e alla faciloneria dei pubblico, da un lato, il Di Rudini parlava con aria sprezzante di Ras Alula, e, dall'altro lato, il Di Robilant si vantava di poter dare, là per là, una severa lezione a quei "quattro predoni", già spregiati nella settimana precedente.

In un sole istante, Parlamento e Paese porsero prova di alto sentire : quando si diffuse la nuova della distruzione della colonna De Cristoforis ; comunicato il disastro nel pomeriggio dei 1° febbraio, la Camera, tolte pochissime frasi inopportune di due o tre oratori, votò in silenzio l'urgenza di un disegno di legge presentato dal Depretis e che autorizzava una spesa-straordinaria di cinque milioni per spedire dei rinforzi in Africa ; e, votata l'urgenza, riprese dignitosa e disciplinata la discussione del Bilancio dei lavori pubblici, temporaneamente interrotta.

La Nazione, dal suo canto, più sdegnata per la evidente insipienza governativa che preoccupata per i futuri pericoli, si astenne, di regola, da ogni dimostrazione incomposta.
Fu nei giorni successivi, quando venne in discussione il disegno di legge per i cinque milioni che a Montecitorio le rampogne dilagarono, sintetizzate nel grido : « via dall'Africa ! » e nel ritornello : « né un soldato, né un soldo ! » : la sfiducia verso i reggitori giunse al punto da far apparire non illegittimo il dubbio espresso da Andrea Costa, il quale, accennato alla asserzione formulata dagli organi ministeriali di non voler abbandonare la colonia prima di aver vendicato e riscattato l'onore d'Italia, si chiese quale garanzia fossero in grado di dare gli uomini che erano al governo, per una azione militare accorta e vittoriosa : « Io vi domando - disse - o signori che sedete al banco dei Ministri, a voi, o onorevole Genala, che sbagliate di un miliardo (il Costa alludeva ad un abbaglio preso dal Genala Ministro dei lavori pubblici), a voi, onorevole di Robilant, che confondete « quattro predoni » con un esercito agguerrito ; potete darci, voi, questa sicurezza che, quando avremo votato i cinque milioni, saprete rivendicare l'onore d'Italia ? No, o signori ; voi non mi potete dare questa sicurezza, ed io, alla mia volta, non vi darò un centesimo ».
E per le strade, la gazzarra antiafricanista fece la sua comparsa. Unico, o quasi, un'altra volta, il Crispi trovò la nota giusta avvertendo che, quali si fossero gli addebiti da compiere e le riserve da formulare, dacché soldati italiani erano andati in Africa, bisognava trarre profitto anche dagli errori : « dove é la bandierà tricolore, ivi é l'Italia ».

FERRUCCIO E. BOFFI.

segue la seconda parte

 
 
 

Storia. RIASSUNTO ANNI 1935-36

Post n°154 pubblicato il 11 Settembre 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

RIASSUNTO ANNI 1935-36

(Oggi diremmo che sono di parte; ma questo leggevano gli italiani; non dimentichiamolo)
(Noi qui cerchiamo solo di capire)

* LA POLITICA COLONIALE DAL 1878
FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (giugno 1935)
(una lunghissima storia)
(PRIMA PARTE)

* NAZIONE-GOVERNO - POLITICA COLONIALE dal 1878 FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (agosto 1935)
(seconda parte)
* RAPPORTO DEI "13" DEL 6 OTT. 1935 della S. d. N.: L'ITALIA "HA AGGREDITO!" - SANZIONI! !
(gli articoli sopra in neretto seguono nelle successive pagine)
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« L'Italia riassume tutta la sua arte di Stato nel motto inertia, sapientia ; proclama ai quattro venti grandi e virili propositi, e si ritrae per pochezza d'animo quando altri la prende sul serio e le stende la mano invitandola a tradurre le parole in azioni ; protesta, ingrossa la voce, ma senza volontà di operare, e compendia, in ultimo, la sua politica nel ripetere a sazietà, come spiegazione della sua eterna rassegnazione, che essa é e vuole essere un elemento di pace e d'ordine ; costretta, per tutto conforto ai suoi insuccessi, di compiacersi delle parole complimentose dirette all'On. Mancini, per cortesia tecnica, dalla diplomazia ufficiale o dai giornali esteri ufficiosi. Ma il nostro amor proprio nazionale - avvertì - patisce di tutto questo ; e siamo scontenti e abbiamo ragione di esserlo e tutti sanno che saremmo stolti a non esserlo ; sanno che quelle frasi di eterno disinteresse sono retorica e nulla più, retorica che mira a nascondere la inettitudine nostra sotto una parvenza di generosità di sentimento e a trovare acerba l'uva cui non abbiamo potuto stendere la mano. E poiché, non meno che gli individui, le Nazioni scontente di sé ed offese nel loro amor proprio sono pericolose per i vicini, ciascuno di questi diffida di noi e delle nostre intenzioni, e, non riuscendo a scorgere nettamente quale sia la méta che abbiamo prefissa ai nostri desideri, alle nostre ambizioni, e, quindi, alla nostra politica, sospetta che cospiriamo a danno di lui, che aspettiamo i momenti difficili per fargli il ricatto col ferro alla gola, e non crede alla nostra amicizia e fa voti per il nostro sempre maggiore indebolimento come garanzia di sicurezza per sé".
« È tempo - proclamò - é tempo di por fine a questa assurda maniera della politica dei Regno d'Italia : a questa politica inavveduta, e, soprattutto, inconseguente perché vanagloriosa e pusillanime ; che non é politica di raccoglimento ma di verbosa impotenza, che si crede operosa perché é faccendiera, che ha per solo ideale di fare la parte di mezzano tra i terzi, non accorgendosi che le mediazioni, per essere efficaci ed utili e dignitose, debbono essere condotte da un mediatore di forza almeno eguale a quella delle parti che si vogliono accordare».

L'on. Mancini, che al Senato l'anno prima si era rallegrato dell'esistenza di un patto, dovuto alla sua iniziativa, intercorso tra le varie Potenze e per il quale ciascuno Stato interessato si impegnava a non intraprendere in Egitto alcuna azione militare isolata senza il consenso e l'adesione degli altri ; il Mancini, dunque, che pur si era compiaciuto di codesto accordo sebbene l'Inghilterra l'avesse fin da principio svalutato accettandolo con riserve che lo distruggevano nella sua intima essenza, nei vari discorsi coi quali rispose al fuoco di fila dei critici che erano, in ultima analisi, gli ingegni più colti della assemblea nazionale, dichiarò che il rifiuto provvisorio - e insistette su questo aggettivo - alle offerte dell'Inghilterra si era inspirato non, come aveva lasciato supporre il Marselli, a difficoltà di indole militare ma a un insieme di ragioni radunabili in quattro gruppi : d'ordine politico, di eventualità internazionali, di ordine finanziario e di calcoli sul tornaconto degli sperabili compensi. E, agitando segnatamente lo spettro di un ripristino della tassa sul macinato e del ritorno del corso forzoso ai quali, a suo parere, sarebbe stato indispensabile fare appello per fronteggiare le spese dell'intervento, delineò la inanità di tanti sacrifici, visto che l'Italia, intervenuta, non avrebbe potuto mai - senza venir meno alle premesse ideali della sua risurrezione - chiedere annessioni, protettorati, occupazioni in terra egiziana.

Il Minghetti, in due discorsi pronunciati, l'uno prima del discorso del Mancini, e l'altro in replica ed a rettifica del discorso di quegli, confutò specificatamente gli argomenti addotti come capaci di sconsigliare un intervento italiano nella questione egiziana e, pur non negando, egli pure, la opportunità di subordinare sempre la politica della Nazione ai concetti che erano stati basilari per il Risorgimento, seppe porre a nudo la corrispondenza di consimili premesse con il caso specifico, osservando che nessuna comparazione era possibile fra la rivolta del 1881 in Egitto e la rivendicazione nazionale di altri popoli : una cosa - notò - é il popolo egiziano e altra cosa sono gli arabi e i turchi : arabi e turchi sono dei conquistatori che si sono sovrapposti alle razze dei vinti ; non v'ha luogo a questioni di natura nazionale : non si tratta che « di rivalità e di fanatismo ».
E precisò : «...l'aver invocato una così nobile idea come quella della nazionalità in sussidio di una cattiva causa, prova che, purtroppo, sentiamo ancora nel pensiero una parte di quelle idee astratte e generali che il secolo passato vagheggò sì ardentemente e ci tramandò in legato : idee astratte e generali che non sono ali a salire ma pesi che ci legano e che sono un impedimento allo svolgimento del programma liberale. Tali sono quelle dell'uomo naturale e perfetto, dell'onnipotenza delle istituzioni, dell'autonomia di ogni tribù, dei diritti politici ed imprescindibili di ogni uomo, e via dicendo. La scienza moderna é sperimentale, e, nella politica, l'esperienza é lo studio della storia ».

« Non é meraviglia - disse il Bonghi parlando della crisi di Oriente - che essendo così vuota la mente del Governo, sia parsa così confusa la coscienza del Paese ; é reciproco il legame tra la debolezza dei reggitori e il disinteressamento incurante del pubblico: l'una cosa é causa dell'altra e viceversa : se un Paese non pensa, é difficile che nel governo si trovino uomini capaci di pensare in sua vece ; e, se, dall'altra parte, in un paese intellettualmente vivace non arrivino al governo uomini capaci di scegliere una delle direzioni nelle quali lo spirito di quello suol essere diviso e darle un efficacia rapida, é impossibile che si crei una opinione pubblica davvero potente ed atta a reggere la politica di uno Stato in una via diretta »
(RUGGERO BONGHI : Il Congresso di Berlino e la crisi d'Oriente.. Milano Treves, 1878, pag. 183)

La stampa quotidiana fu di analogo parere e, se pur concesse più di quanto sarebbe stato desiderabile alle mire ed alle esigenze di Partito, scorse, tuttavia, distintamente gli errori compiuti e i pericoli da evitare.
La Perseveranza, che interpretava notoriamente il pensiero dell'On. Visconti Venosta, in un articolo nel quale venivano parafrasati i concetti svolti dall'On. Sonnino e riportati qui sopra, fece una diagnosi degli abbagli che, per più di tre lustri, avevano distratto gli occhi dei vari Gabinetti di Sinistra dalla contemplazione serena degli interessi della Patria ; « Noi - rilevò - ci siamo atteggiati a malcontenti e abbiamo detto che uscivamo umiliati dopo il Congresso di Berlino. Veramente non si sapeva da che dovesse originare codesta nostra umiliazione, poiché avrebbero dovuto esserlo altrettanto, e più di noi, la Germania e la Francia, le quali uscivano, esse pure, a mani vuote dal Congresso. Ma tant'é ; s'é voluto ad ogni costo vedere una umiliazione là dove non c'era che una conseguenza naturale della nostra condotta. Più tardi, é venuta la questione egiziana: in essa il Depretis s'é mostrato inabile, imprevidente, contraddittorio non meno del Cairoli nella questione di Tunisi. Certo che ne siamo usciti con una discreta mortificazione ma se si voleva anche qui gridare all'umiliazione, per essere nel vero bisognava aggiungere che l'umiliazione non veniva dagli altri, ma da noi... Certo che dobbiamo essere umiliati ; ma di chi é la colpa? Codesto vago sentimento che continuiamo a suscitare e a tener vivo in noi, non é atto che a tenerci in una inquieta impotenza. Ci desta nell'animo il desiderio indistinto di una condizione migliore di cose, mentre, dall'altro canto, accasciati sotto il falso sentimento di umiliazioni che non sono che nella nostra fantasia o sono opera nostra, ci togliamo il nerbo per conseguire qualsiasi intento anche legittimo. E così oscilliamo tra uno scoraggiamento punto giustificato, e una presunzione, una aspirazione a delle mete che non sono in ragione delle nostre forze.

« La molta fortuna ci ha, per questo riguardo, grandemente nociuto. Poiché gli effetti ottenuti sono stati straordinariamente maggiori degli sforzi che abbiamo fatto per conseguirli, noi abbiamo perduto ogni sano criterio della relazione tra il volere e il potere ; noi non sappiamo commisurare ai nostri mezzi le nostre ambizioni ; abbiamo gli ardori impazienti ma fugaci, non abbiamo la costanza dei propositi. Sicché ormai ci siamo fatta nel mondo una delle peggiori reputazioni che un popolo possa avere; la reputazione di un popolo tormentato da una grande e irrequieta ambizione accoppiata a una non meno grande impotenza. E per poco che perduriamo in questa via, noi diverremo agli occhi altrui un popolo di fanciulli » (La Perseveranza, 12 aprile '81).

E L'Opinione, deplorato l'isolamento pieno di deficienze in cui l'Italia si era venuta a trovare, « a chi risale - domandò - la responsabilità di questa situazione ? » E rispose : « Segnatamente ai Ministri che prepararono e condussero a fine le pratiche del Congresso di Berlino. Vi sono state parecchie occasioni propizie che non si seppero acciuffare. Qualunque grande Stato avrebbe desiderato la nostra cooperazione cordiale e ci avrebbe dato in cambio la sua ; noi, per non conprometterci con nessuno, abbiamo raffreddato tutti. E assistemmo inutili al Congresso di Berlino, dove le altre Potenze già avevano ordito i disegn del trattato memorando. Ma perché gli uomini di Stato della Sinistra commisero questo errore ? Per la loro inesperienza e per le preoccupazioni della politica interna. Turbati continuamente dal pensiero delle crisi provocate dai loro stessi partigiani, il Governo debole, vacillante, perdette il senso delle lontane previsioni e delle forti combinazioni » (L'Opinione, 17 marzo '80).

Il popolo, cioè una parte del popolo, una via la prese e la batté risoluta, e si affannò nelle piazze a vociferare guardandosi bene, però, dal domandarsi - e i reggitori, dal canto loro si guardarono bene dall'insegnarglielo - come e quanto quelle vociferazioni conferissero ad accreditare all'estero la Nazione.
Quale meraviglia che, tra i Governi incerti, abulici, legati ai partiti e alla politica interna e le frazioni demagogizzanti che presumevano di gridar contro l'Austria mentre i Ministri rompevano ogni cordialità di rapporto con la Francia e l'Inghilterra, il grosso del pubblico se ne stesse sconfortato e avvilito, disinteressandosi di tutti e sazio di tutto ?

Lasciamo stare i cabalisti che speculavano sui se e sui ma e che attendevano da un ritorno di tramontati regimi a Londra o a Parigi un trattamento un po' meno sfavorevole dei nostri interessi.
La verità attestava che non era stata sconfitta la nostra forza ma che era stata sanzionata la nostra debolezza : Congresso di Parigi, Tunisi ed Egitto non erano episodi isolati, momenti distinti, ma anelli indissoluti e indissolubili di una identica catena, effetti logici e inevitabili di una politica che raggiunse l'assurdo perché sull'assurdo pretese di edificare.
Che il conte di Cavour già nel '55, in un discorso nel quale indicò il compito mediterraneo che i governanti d'Italia avrebbero potuto attuare con un lavoro di decenni, avesse denunziato il pericolo dell'isolamento all'estero e avesse dimostrato la indispensabilità di una politica seria e coerente all'interno, per molti egregi uomini contò meno che nulla.

Fummo giocati perché credemmo di saper impunemente giocare : e cullammo, da prima, l'illusione di metter le mani, sol che lo avessimo voluto, sulla Tunisia, sulla Albania, sulla Tripolitania; sperammo, poi, di ottenere dei provvidenziali compensi per chi sa quali meriti oscuri, e, in fine, quasi sbigottiti di aver osato sogni così grandi, trepidi di farci perdonare le innocue ambizioni, ci demmo a reclamare la immobilità, lo statum quo nella Balcania, nell'Adriatico, nell'Africa e nell'Egeo, e ci avvolgemmo nei paludamenti delle frasi fatte e delle verbosità inconcludenti per rifarci una verginità che avevamo ormai irreparabilmente perduto.
Gli altri, al di là delle frontiere, ci guardavano stupiti, trovando una gioia pazza a turlupinare noi che essi giudicavano machiavellicamente disposti al tradimento, e sorridevano ammiccando fra di loro quando ci sentivano ripetere con melodrammatica insistenza gli appelli alla libertà, alla giustizia, al rispetto della indipendenza dei popoli.

I nostri reggitori, che in quel lasso di tempo si successero al potere, generalmente ingenui nell'intimo della loro anima, rimasero paralizzati nel turbinoso seguirsi delle vicende internazionali, e stimarono, spesso in buona fede, di governare la nuova Italia a loro modo, con metodi personali contraddittori.
Fu, forse, politica fatale, politica di buoni uomini che, nel diffondersi in Europa di una mentalità mercantile ed affaristica, continuarono a rimanere attaccati alle ideologie antiche nelle quali essi medesimi avevano fervidamente creduto e dalle quali era pur disceso il successo della azione italiana negli anni trascorsi ; fu, magari, politica necessaria, ma fu, in ogni maniera, politica estremamente misera nella sua fatale necessità : impotente, specie nei riguardi militari, la giudicò il Bismarck e impotente fu nelle altre attività sue dentro e fuori dei confini della Patria ; fu impotente non perché le facessero molto spesso difetto i mezzi materiali per la lotta, non perché la viziassero disorientamenti non illogici nell'irrompere della cruda e pratica politica d'oltrealpe, ma, e più, perché rappresentò il portato legittimo della impotenza morale della Nazione, della impotenza che la stampa e gli statisti della Destra deploravano ma che non davano affidamento alcuno di sapere, neppur essi, all'occorrenza, diminuire e ancor meno eliminare ; fu l'impotenza che deriva dalla dissennata sproporzione dei desideri e delle abnegazioni, della volontà di agire e della volontà di soffrire, dalla inconciliabilità della grandezza del fine e della pochezza dello sforzo, da una tendenza malsana a concepire piani arditi e smisurati escludendo rischi e pericoli.

Le preoccupazioni finanziarie prospettate dal Mancini per spiegare il rifiuto all'intervento italiano in Egitto e le riserve opposte dal Minghetti in proposito, sebbene in quantità diversa e con diversi spiriti, discoprono una affinità di timori che sono altamente pregiudizievoli quando si trovano in ballo i più gravi interessi della Patria.


L'occupazione di Massaua si intreccia con tutti gli episodi politici di questo periodo movimentato della nostra vita nazionale.
In tre mesi, sbarcati tre scaglioni di truppe, il colonnello Saletta occupa - oltre Massaua - Moncullo, Otumlo, Assab, Beilul, Arafali, non ostante le proteste egiziane e le opposizioni russe e francesi.
Estesa presto la occupazione ai territori limitrofi, il generale Gené, succeduto al Saletta nel settembre dello stesso anno, proclama sui territori la sovranità italiana.
Lasciato in vendicato il massacro della spedizione Porro nell'Harrar e occupate altre zone a sud di Massaua per impedire le razzie e i saccheggi, si hanno i primi contatti ostili con i luogotenenti del Negus che, respinti dal maggiore Boretti a Saati, distruggono il 16 gennaio dell'87, la colonna comandata dal tenente colonnello De Cristoforis a Dogali.
Leggiamo, con commosso animo, la relazione del Capitano Tanturri il quale, in quella giornata dolorosa, ricevuti due biglietti del De Cristoforis che prospettavano la gravità della situazione, presa con sé la sua compagnia con una mitragliatrice, corse in aiuto degli assaliti.
"...Poco dopo le tombe di Dogali vidi una cassa di mitraglia senza polvere e spolette, e quasi nel medesimo tempo i basci-buzuc che erano in esplorazione, segnalavano la presenza del nemico. L'interprete, interrogati due indigeni, mi disse che tutti i nostri erano stati massacrati, e che gli abissini erano ancora numerosissimi ed in posizione.
« Ciò mi sembrò esagerato, come di fatto (essendo l'interprete poco dopo fuggito pieno di paura), e proseguii la marcia. Giunto là dove la valle si allarga di un poco, gli esploratori tornarono di corsa avvisandomi che si avanzavano cavalieri abissini. Presi immediatamente posizione facendo staccare la mitragliera e formando la compagnia in quadrato. Nello stesso tempo mandai tre soldati nella direzione ove era stato segnalato il nemico. In questo mentre l'interprete e parte dei basci-buzuc scomparvero, i soldati tornarono presto dicendomi che non avevano visto altro che tre o quattro cavalieri abissini correre velocemente verso Saati.
«Per essere più sicuro, mandai il tenente Sartoro con una piccola pattuglia sulla mia destra, e questi ritornò riferendomi che non vi erano nemici, ma che aveva visto basti da cammello, un cammello morto, casse di cartucce vuote, scatolette di carne, ecc. Nello stesso tempo, feci arrestare un pastore Saortino che si trovava ivi presso nascosto.
« Questi, interrogato, alla meglio mi fece capire che gli abissini avevano attaccato i nostri, indicandomi anche la posizione da questi occupata. Immediatamente feci riattaccare la mitragliera e mi diressi a quella volta. Nessun segno, lungo il cammino, oltre quelli citati, di uno scontro ; solo cinque o sei tombe scavate di fresco indicatemi dal Saortino come quelle di abissini morti poche ore innanzi. Sul primo monticello, prima posizione occupata dai nostri, vidi un soldato ferito che mi disse trovarsi i nostri poco più su e tutti morti. Non credei alla funesta notizia e corsi con la compagnia sul sito indicatomi. Dietro la cresta del monticello superiore vidi l'immensa catastrofe. Tutti giacevano in ordine come fossero allineati ! » (A. ORIANI, Fino a Dogali. Bologna, Cappelli, 1927, pag. 353.).

Il soldato, ferito nella battaglia, attestò che il De Cristoforis, prima di morire, aveva ordinato ai pochi superstiti di presentare le armi ai caduti... Vittime o eroi ? L'uno e l'altro insieme (Cfr. F. MARTINI, Nell'Africa italiana, Milano, Treves, 1891, pag. 47).
Dopo Dogali, il Gené é richiamato e sostituito dal Saletta, promosso generale, il quale, avuti circa cinquemila uomini reclutati tra volontari - il Corpo speciale di Africa - e un paio di migliaia di irregolari, fortifica il porto e la città e costruisce una ferrovia a scartamento ridotto ad allacciare Saati e Massaua.
Verso la fine dell'87, il tenente generale San Marzano, giunto dall'Italia con una nuova spedizione, riusciti di dubbia garanzia i patti conclusi dall'Antonelli e l'intervento di Sir Portal per conto dell'Inghilterra, procedendo con prudenza e con cautela, rimasto per alcuni giorni in vana attesa di un attacco del Negus sceso a fronteggiarlo, estende il raggio dell'influenza italiana all'orlo dell'altipiano.

Ritiratosi il Negus senza combattere, di San Marzano rimpatria insieme con buona parte del corpo di spedizione, lasciando in Africa il generale Antonio Baldissera che, distratto nell'opera di riordinamento della colonia da due incidenti -- l'opposizione del viceConsole francese alla applicazione dei tributi locali, più tardi sconfessata dal Ministro On. Globet, e l'accerchiamento della colonna del capitano Cornacchia a Saganeiti per opera dell'infido capobanda Debeo - mentre a Re Giovanni, morto combattendo contro i Madhisti, succede Menelich, occupa Kerer, Ghinda e l'Asmara.

Menelich, incoronato imperatore a Gondar, sottoscrive il due maggio '89 il famoso trattato di Uccialli che, con l'articolo 17, pone l'Etiopia sotto il protettorato dell'Italia e con l'art. 3 riconosce ai nostri possedimenti i confini di Arafali, Halai, Saganeiti, Adi Nefas, Adi Johannes, con prolungamenti verso ovest di questa località ; nell'ottobre poi, per una addizionale, messa al trattato, sono ratificate a favore dell'Italia, le nuove conquiste fatte nel frattempo dal Baldissera, ma, nel dicembre dello stesso anno, a dispetto del trattato e del codicillo relativo, Menelich - senza ricorrere al tramite dell'Italia - comunica direttamente alla Francia e alla Germania la sua assunzione al trono.
Il primo gennaio successivo un regio decreto riunisce tutti i possedimenti del Mar Rosso sotto una sola amministrazione, col nome di « Colonia Eritrea».
È stato asserito che la impresa africana non fu, alle origini, se non una pedina nel giuoco iniziato da tempo per una espansione italiana al di là dei mari, ma é evidente - dopo lo sguardo dato ai casi del Congresso di Berlino, di Tunisi e dell'Egitto - che la opinione peccava, almeno, di una eccessiva benevolenza.
Non é illecito ritenere, al contrario, che, come per le azioni precedenti, anche alla nostra andata in Africa mancò una adeguata preparazione materiale e morale tanto in alto che in basso, tanto nei dirigenti che nel pubblico.

Lascio da parte la «ricognizione su Khartum » (Cfr. F. MARTINI, Op. Cit., loc. cit.) che ai capi della spedizione il Governo suggerì di tentare appena sbarcate le truppe sulla sponda eritrea : la crassa ignoranza di allora può fare benissimo il paio con la ancor più crassa ignoranza di un Presidente del Consiglio all'indomani della rotta di Caporetto, il quale, sul treno che portava gli Stati Maggiori alleati al convegno di Peschiera, al Foch che, tenendo spiegata davanti una carta topografica della regione veneta, chiedeva dove fosse il Montello su cui si era già affermata con successo la resistenza italiana, non seppe che cosa rispondere : la geografia non é stata la scienza preferita da parecchi dei più loquaci governatori d'Italia.

 
 
 

Storia. RIASSUNTO ANNI 1935-36

Post n°153 pubblicato il 11 Settembre 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

RIASSUNTO ANNI 1935-36

(Oggi diremmo che sono di parte; ma questo leggevano gli italiani; non dimentichiamolo)
(Noi qui cerchiamo solo di capire)

* LA POLITICA COLONIALE DAL 1878
FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (giugno 1935)
(una lunghissima storia)
(PRIMA PARTE)

* NAZIONE-GOVERNO - POLITICA COLONIALE dal 1878 FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (agosto 1935)
(seconda parte)
* RAPPORTO DEI "13" DEL 6 OTT. 1935 della S. d. N.: L'ITALIA "HA AGGREDITO!" - SANZIONI! !
(gli articoli sopra in neretto seguono nelle successive pagine)
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L'Italia, che era uscita con le « mani nette» dal Congresso di Berlino del 1878, che era rimasta impassibile di fronte alla occupazione francese di Tunisi nell'81, che aveva opposto un rifiuto all'invito inglese di collaborazione in Egitto nell'82, ai primi di febbraio dell'85 occupò Massaua.

I precedenti dell'occupazione sono abbastanza noti : preso inizio dalla proposta avanzata nel '59 da Monsignore Massaia di acquistare un punto sul litorale del Mar Rosso per fondarvi una colonia penale, attraverso le iniziative delle Associazioni per l'esplorazione dell'Africa in virtù delle quali all'idea originaria di avere una colonia penale era andato sostituendosi il proposito di organizzare una stazione marittima commerciale, la opportunità di possedere un po' di terra fuori dei confini della Patria aveva avuto finalmente una concretizzazione nell'acquisto fatto a varie riprese dall'armatore Raffaele Rubattino di una zona sul mar Rosso intorno ad Assab dove, nel 1880, si era insediato un governatore civile ; a due anni di distanza, tutta la zona, per un'estensione di 630 chilometri quadrati, era stata dichiarata « Colonia italiana ».

Dall'80 all'85 intercorre un periodo vivace di ricerche e di esplorazioni nelle quali il Giulietti e il Bianchi trovano la morte: l'eccidio, anzi, della spedizione Bianchi è il pretesto corrente che determina la occupazione di Massaua.
Così, grosso modo, sono cominciate le vicende coloniali della Italia costituita a Nazione.

Al Congresso di Berlino del giugno '78, le Potenze europee, impressionate dei vantaggi derivati alla Russia dalle sue vittorie e dal trattato di Santo Stefano, stipularono una limitazione degli acquisti russi nell'Asia, proclamarono l'indipendenza della Serbia e del Montenegro, dichiararono la costituzione della Bulgaria in principato tributario del Sultano, stabilirono la cessione di Cipro all'Inghilterra e la sottomissione della Bosnia e dell'Erzegovina all'Austria, concessero libertà di azione alla Francia per Tunisi e... si compiacquero, nell'intimo del loro cuore, che da tutto codesto pasticcio l'Italia del buon Cairoli se ne uscisse monda e linda con la coscienza evangelicamente pulita e con le saccocce squallidamente vuote : semplicità di francescani !

A Montecitorio il trattato di Santo Stefano fece fiorire una serie di rilievi, consigli, suggerimenti, pronostici : l'On. Miceli opinò che, in omaggio ai principi del Risorgimento, unica soluzione conveniente all'Italia per il conflitto orientale fosse che « le popolazioni (dovessero) essere le sole eredi della successione ottomana aperta in Europa » ; l'on. Musolino, spesso e da più parti interrotto, fece voto :
1°, che il Governo, messosi d'accordo con i Gabinetti inglese e austro-ungarico, propugnasse, in un eventuale Congresso, una politica comune,
2°, che fossero mantenuti vivi il trattato di Parigi del 1856 e la convenzione di Londra del '71,
3°, che le province europee e asiatiche dell'Impero ottomano venissero riconosciute e garantite neutrali da tutte le Potenze.
Visconti Venosta, accettato il concetto che l'Italia in Oriente non avesse ambizioni di sorta, visto e considerato che se le avesse avute si sarebbe posta in contrasto con i santi dogmi in nome dei quali aveva acquistato l'indipendenza, non si dispiacque di insistere sulla teoria del piede di casa anche perché non gli sembrava utile destinare forze e denari a scopo che non fosse lo svolgimento del « benessere sul suolo stesso della Patria » - e non mancarono i bravo e i benissimo alla paciosa dichiarazione - ; proclamò, tuttavia, la giustezza delle aspirazioni morali e commerciali italiane in Oriente le quali, a suo giudizio, solo con un savio equilibrio mediterraneo avrebbero avuto difesa e tutela.

L'On. Depretis, Presidente del Consiglio, impegnatosi a difendere l'opera propria e a tentar di mettere nell'imbarazzo il Visconti Venosta che, uomo di Destra, aveva pur maneggiato la politica estera fino a due o tre anni prima nei gabinetti Ricasoli, Lanza e Minghetti, esaltò retoricamente l'indirizzo seguìto dal suo governo nelle contigenze recenti : « politica di neutralità e di pace, - egli disse - d'umanità e di giustizia, giacché nei limiti del possibile abbiamo difeso e cercato di far prevalere sempre gli interessi della giustizia e della umanità, pur mantenendoci liberi per poter portare la nostra legittima influenza sia a ridonare all'Europa i benefici della pace, sia a difendere gli interessi morali e materiali che l'Italia ha e deve conservare illesi nella grande questione d'Oriente ».

Come fosse sperabile di conciliare tanti umanitarismi con la tutela degli interessi « morali e materiali » dell'Italia non apparve né appare chiaro, a patto che la soluzione non la si voglia vedere nella bella accademia che ebbe luogo nel gennaio dell'anno seguente quando l'On. Cairoli intervenne nella discussione sul Bilancio degli affari esteri per rispondere ai parecchi oratori che avevano criticato la sua opera di ministro.
Dire che tutti quelli oratori mostrassero di possedere una chiara visione della condotta che al Congresso di Berlino sarebbe stato doveroso seguire é un pochino azzardato : il Petruccelli della Gattina, ad esempio - oratore fecondo e ingegno brillante - pur riconoscendo che la Destra, cadendo nel '76 dal potere, aveva lasciato il Paese in buone condizioni internazionali, divagò nel muovere appunti, lui, Sinistro, al Visconti Venosta, non sufficientemente adatto, secondo il suo parere, a comprendere la convenienza per l'Italia di non vagheggiare eccessive velleità antirusse ; il De Renzis deplorò l'incertezza della politica estera governativa, e l'Alvisi chiese una maggiore lucidità nell'azione della nostra diplomazia ; suppergiù si espressero il Maurigi, il Pierantoni, il Musolino ; ottimista fu il Visconti Venosta che dichiarò : « il trattato di Berlino non ha offeso alcun interesse diretto e positivo dell'Italia ; noi non abbiamo avuto che un danno morale : il danno di assistere passivamente, di rimanere all'infuori degli accordi e delle intelligenze fra le grandi Potenze» (un'inezia !), e l'On. Crispi preferì - ahimé ! - di fare il processo alla politica estera della Destra fino al 1876....

Il Cairoli, asserito che l'insuccesso era dovuto più che alle deficienze degli uomini alla ineluttabilità delle circostanze, ricordate le dimostrazioni antiaustriache avvenute in quel tempo e riconosciuto il nesso della politica estera con la politica interna la quale « per essere buona, deve, col rispetto delle leggi, mantenere quello delle fondamentali libertà », si vantò di aver lasciato l'Italia, alla sua uscita dal Ministero, in cordiali rapporti con tutte le Potenze europee.
Il Depretis, poi, fece un lungo discorso in cui sarebbe assai disagevole rintracciare una documentazione storica qualunque della pur interessante situazione politica d'allora.
Né più sottili furono, in genere, gli oratori al Senato i quali, concedendo che l'Italia non fosse uscita menomata dal famigerato Congresso, porsero l'occasione al Depretis di prendere atto di simile facile accontentabilità e di sbrigarsela in cinque minuti con poche parole : « Mi pare che sia unanime il giudizio dei Senato, o almeno che sia l'opinione di molti oratori, che i nostri rappresentanti hanno fatto tutto quello che si poteva fare al Congresso. È stato anche ammesso - soggiunse - che dal trattato di Berlino un danno vero e reale non é fatto all'Italia. Mi pare che anche su questo molti oratori siano d'accordo ; anzi, parmi credano che questo trattato sia un miglioramento notevole che possa facilitare la soluzione definitiva della gran questione d'Oriente ».

Il Chiala informa che « le dichiarazioni dell'On. Depretis tornarono assai gradite a Vienna » e che il conte Andrassy ne trasse motivo per manifestare al generale Robilant - nostro rappresentante nella capitale austriaca - i suoi sentimenti di viva sodisfazione ( LUIGI CHIALA, Pagine di storia contemporanea, fasc. 2° Torino, Roux Frassati & C., 1895, pag. 30.), ma non ci informa se proprio quella sodisfazione non fosse la riprova- migliore della sconfitta della nostra politica internazionale.
La questione tunisina o, per essere più esatti, le macchinazioni della Francia per stabilirsi definitivamente e risolutamente in Tunisia e che avevano già formato tema di dibattito e offerto motivo di non infondate apprensioni, furono denunziate a viso aperto nel luglio del '79 dall'On. Damiani il quale elencò una bella filza di atti di imperio arbitrari dei quali uno solo avrebbe dovuto essere più che sufficiente a convincere dei veri intendimenti che animavano il Governo di Parigi e i suoi esecutori : sostituzione di uomini e di funzionari non abbastanza docili ai rappresentanti francesi, sviluppo di reti ferroviarie interne utili agli interessi della Repubblica, impianti telegrafici del pari richiesti da mire conquistatrici, servizi postali e di navigazione non tanto d'indole commerciale quanto d'indole strategica e militare, fondazione di istituti e costruzione di opere di non dubbia natura guerresca....

Alla denunzia, cui fecero corona rilievi svariati e richiami molteplici, non vennero opposte obiezioni di saldo valore : tra le riserve tacite e le riserve palesi, né il Depretis né il Cairoli seppero dimostrare la bontà dei loro propositi e la consistenza dei loro programmi : solite premesse e solita retorica : « conservare rettitudine nei rapporti con le Potenze estere », « adoperarsi affinché i patti corrispondano agli intendimenti », « avere una politica conciliante ma nello stesso tempo ferma, onorevole, degna dell'Italia » : contraddizioni e vuotaggini.
Le discussioni dell'anno dopo confermarono il senso di disagio e di malcontento che, a dispetto delle parole tranquillanti, era in fondo all'animo di ognuno : la stessa irrequietezza che portò nel marzo dell'80 Destri e Sinistri a rinfacciarsi crudamente i reciproci errori - veri o supposti che fossero -ne fu dimostrazione eloquente : il Cairoli accusò il Lanza di aver falcidiato nel '66 le spese per l'esercito quando più minaccioso si faceva l'orizzonte politico in Europa ; il Lanza ribatté dicendo di ignorare se il Cairoli, qualora si fosse trovato nel '66 al potere, avrebbe piuttosto seguito la politica di Aspromonte e di Mentana ; il Sella, tirato in ballo dal Cairoli, aggiunse che era molto comodo per il Gabinetto cercare dei punti di critica sulla politica della Destra anziché difendere con argomenti sostanziali la politica propria ; il Cairoli replicò richiamando la Convenzione di settembre e parlò di decoro nazionale non interamente rispettato, e il Visconti Venosta protestò esprimendo il sospetto che se il Cairoli fosse stato al Ministero degli Esteri dieci anni prima, l'Italia, il giorno in cui si fosse preparata ad andare a Roma, avrebbe avuto « il crudele imbarazzo di trovarvi i soldati e la bandiera francese ».

La discussione dei supremi interessi della Nazione degenerava, così, in un accusarsi e in un diffamarsi a vicenda : le beghe di partito e le acidità personali si sovrapponevano allo studio e alle indagini serene, ma sotto l'irrompere dei rimbrotti e sotto il rinfaccio degli insuccessi, c'era, a fondo comune, la sensazione dolorosa della sconfitta, la insoddisfazione generale per l'umiliazione subita che invano le chiacchiere tentavano di nascondere e gli sfoghi non decorosi cercavano di attenuare.
Era un malessere largamente diffuso di cui ciascuno era, un po', la causa e la vittima : causa e vittima del presupposto ridicolo di tutelare gli interessi dell'Italia e di fare, nel contempo, una politica a base di umanitarismi e di appelli continui alla giustizia, alla pace, alla libertà.

Solo il Crispi ebbe, la Dio mercé, il coraggio di indicare quale fosse la condotta per un Governo che si prefiggesse di difendere sul serio gl'interessi materiali e morali del Paese: essere forti per imporre all'Estero la propria volontà : « Per essere rispettati - e le sue parole a mezzo secolo di distanza hanno ancora il valore di un ammonimento - per essere rispettati all'estero bisogna essere forti, e non si può essere forti senza un potente esercito e senza avere una coscienza della propria forza. Non si ha la coscienza della propria forza quando si é troppo prosaici, cioé a dire quando, come l'usuraio, andiamo dietro al centesimo invece che occuparci dei grandi interessi, dallo sviluppo dei quali la Nazione può trarre inesauribili tesori... L'Italia con prodigiosa rapidità ed in tempo così breve che le Nazioni avvenire avranno motivo da meravigliarsene, giunse a unità di Stato... Ma all'Italia é mancato un uomo di genio il quale abbia saputo darle un saldo ordinamento politico. Da venti anni ci dibattiamo Destra e Sinistra e discutiamo questioni secondarie e trascuriamo le questioni importanti le quali, risolute, dovrebbero dare alla nostra Nazione non solo la potenza ma l'impronta della potenza, perché per essere rispettati non basta l'essere ma ci vuole anche il parere ».

Ma Montecitorio non cessò di restare sordo a simili voci.
Nel novembre dello stesso anno l'On. Savini rivolse al Ministro degli esteri, on. Cairoli, delle domande tassative : « Le nuove concessioni volute dalla Francia in Tunisia hanno paralizzato le concessioni italiane ? La concessione del porto di Tunisi é una utopia o una realtà ? Insomma, a Tunisi siamo o non siamo stati vinti ? » E il Damiani, anche se un po' ampollosamente, ribadì : « l'Italia non ha il solo interesse di impedire che l'Austria si avanzi nell'Adriatico ; l'Italia ha il grande interesse di impedire che la Francia si avanzi nel Mediterraneo. Mi stringe il cuore - spiegò - il pensare che l'Italia dai 28 milioni possa non tener viva dinanzi agli occhi la storia che scende dai più antichi padri nostri a quelli meno grandi e forse meno fortunati ; possa non scorgere la più terribile delle minacce, il più grande pericolo per la sua esistenza in una Cartagine che risollevi la testa dalle macerie in cui fu ridotta » ; ma il Ministro degli Esteri, dichiarata utopia la costruzione di un porto a Tunisi, si sbizzarrì in « distinguo » fra concessioni fatte alla Francia e concessioni fatte a Società francesi, ed ebbe la faccia fresca di dire che sotto le sue personali direttive la influenza italiana in Tunisia era rinata a nuova vita e a nuova prosperità.

Nell'incalzare degli avvenimenti, nell'aprile dell'81, il Di Rudini tornò a domandare:
« È vero che l'Inghilterra ha consentito alla Francia l'occupazione permanente della Reggenza di Tunisi ? È vero che Germania, Austria Ungheria e Russia conoscevano codesto accordo e lo hanno approvato ? È vero che il nuovo Gabinetto inglese - liberali contro conservatori - é solidale con gli impegni presi dal Gabinetto precedente ? È vero che le truppe francesi hanno già varcato i confini della Reggenza ? È vero che il Governo italiano ha permesso l'occupazione anche parziale della Tunisia ? »

E analoghe interrogazioni formulò il Damiani ; fatica sprecata : il Cairoli, dopo essersi lasciato sfuggire la imprudente confessione: «siamo davanti a un avvenimento improvviso e impreveduto», e dopo aver ricapitolato a modo suo la storia delle ultime vicende tunisine affermando candidamente che, rebus sic stantibus, non si poteva « negare alla Francia il diritto di difendersi alla frontiera » purché si fosse tenuta « nei limiti prefissi da questo scopo », di fronte all'ingrossar della tempesta tentò di salvarsi facendo chiedere dal Depretis, ministro dell'interno, il rinvio con lo specioso pretesto che una discussione su Tunisi, oltreché delicata e difficile, era anche prematura ! Ma la Camera non fu del suo avviso e il Gabinetto rassegnò allora le dimissioni che non furono, peraltro, accettate.

Nel maggio dell'81 scoppiò la bomba : la Francia aveva occupato Biserta.
Il concetto che ispirò il Mancini, ministro degli esteri, nella questione egiziana, fu chiaramente intravisto dall'On. Marselli in un discorso pronunziato alla Camera nel marzo del 1883 : « rispetto allo statu quo e conservazione dell'autorità Kedivale ; offerta di una cooperazione morale per aiutare simile autorità ; se un intervento fosse necessario, preferire quello delle forze ottomane che non potrebbe qualificarsi vero intervento ; coordinare siffatto intervento con la direzione suprema che al concerto europeo avrebbe dovuto essere riservata ».
E sopra una serie di presupposti di tal genere fu impostato il rifiuto all'invito dell'Inghilterra per un intervento a due nelle faccende egiziane.
Neppure dopo il bombardamento di Alessandria, il Mancini si ricredette sulla possibilità di un intervento turco, e proseguì in una politica incerta ed ambigua che, mentre a tratti era politica di raccoglimento e a tratti politica di intervento, rivelava un sostrato caratteristicamente assurdo : la speranza di difendere gli interessi italiani senza pericoli e senza spese con la illusione che gli altri avrebbero rischiato e avrebbero speso per noi.
Il Sonnino completò le non difficili induzioni del Marselli elencando le fasi della politica manciniana in Egitto: tentativo di cooperazione con la Francia e con l'Inghilterra che l'Italia avrebbe voluto riconciliare aggiungendosi ad esse per organizzare lo Stato ; sollecitazione ai tre Imperi per un'azione collettiva in virtù della quale una ipotetica quadruplice alleanza avrebbe ostacolato l'intervento isolato inglese; e, infine, rifiuto a un passo decisivo. E, prospettato l'avanzare inesorabile di tutte le Potenze europee verso obiettivi chiaramente fissati: la Russia verso il Bosforo, l'Austria verso l'Egeo, l'Inghilterra in Egitto e la Francia a Tunisi, si chiese angosciosamente che cosa facesse, che cosa pensasse di fare, in mezzo a tanti appetiti, l'Italia : l'Italia ?

 
 
 

Asmara. Teatro. Immagini

Post n°152 pubblicato il 11 Settembre 2008 da wrnzla

Asmara. Teatro.

Tags: Ascari Eritrea. Ascari Eritrei.

 
 
 

Storia. Anni 1935-36. Parte Quarta.

Post n°151 pubblicato il 11 Settembre 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

Storia. Anni 1935-36. Parte Quarta. (Nota1)

- LA SITUAZIONE POLITICA IN INGHILTERRA (Apr. 1935)

.............. Con tutte queste riunioni, congressi, conferenze, facciamo notare che si è parlato di tutto, meno che della questione italiana in Etiopia, salvo qualche colloquio informale. Mentre Mussolini ha già inviato - fin dal 27 febbraio- i primi reparti in Africa, sta procedendo al richiamo di ampi contingenti di truppa e organizzando nuove divisioni.
Il Negus ha sollecitato la discussione sulla questione, ma è intervenuto Mussolini che non ha chiesto alle altre due Potenze se può invadere l'Etiopia, ma ha tuttavia rassicurato di due alleati affermando che "l'Italia non vuole mettere in pericolo la pace,... dell'Europa".
Ma la virgola e la pausa è come voler dire "ma dell'Africa sì, quindi non interferite".
Del resto a Roma, tre mesi prima, il 7 gennaio 1935, in una serie di accordi riguardanti le questioni coloniali, Pierre Laval - con una dichiarazione segreta - ha riconosciuto "mano libera" all'azione di Mussolini in Etiopia.
Laval in seguito smentirà questo accordo, ma se Mussolini, quando riceverà a Roma Eden -il 24 maggio- afferma l' "estrema determinazione" dell'Italia a proseguire la sua azione in AFrica e minaccia il ritiro dalla S.d.N., significa che si sente forte; e forse la Francia ha cercato di farsi un alleato.
Mussolini ha insomma "camminato diritto" con "tranquillità".;
il 2 ottobre 1935 annuncerà l'inizio delle ostilità con l'Etiopia per giorno seguente.
Solo a quel punto si ribalta tutta la politica delle due Potenze, che indignate chiamano l'azione di Mussolini un'aggressione.
Tacito invece il sostegno di Hitler, che poco dopo -il 7 marzo 1936, Mussolini ricambia quando Hitler - prende possesso della Renania, violando il trattato di pace di Wersailles, e i (vaghi e unilaterali) principi della S.d.N. Ambiguità che semmai hanno favorito i due colpi di mano; due manifestazioni identiche con una vocazione bellicista di Mussolini prima e Hitler poi.
Insieme i due continuano subito dopo in Spagna, e, terminata questa, nel 1938 la potenza militare tedesca si erge sull'Europa dei contrasti e delle debolezze per rivendicare il suo "..lo spazio vitale" . Ma come abbiamo visto in queste pagine, ogni cosa era già palese.
Prima ancora dei due colpi di mano la situazione era molto surriscaldata.
in un libro-inchiesta pubblicato a fine 1934 in America dal famoso giornalista-saggista KNICKERBOCKER dopo aver fatto delle accuratissime inchieste, interrogando tutti i capi responsabili della politica europea, concludeva: "Ci sarà la guerra in Europa? Sottotitolo Ci sono 6.000.000 di uomini in uniforme. "Il vecchio continente, nei suoi cinque "accampamenti" aspetta con la baionetta in canna. Che cosa aspetta? Danzica, la Saar, l'Anschluss, i Francesi.
A Knickerbocker non era sfuggito nulla. Il volume era il seguito di un altro titolo molto significativo: Può l'Europa tornare indietro? Rimettersi in piedi?. Di particolare importanza molte pagine che riguardavano anche l'Italia. Rileggendoli entrambi, lo scenario è quello che poi vedremo dal 1940 al 1945. Ma siamo nel 1935, e Knickerbocker non era per nulla uno sprovveduto, era famosissimo per le sue inchieste (premio Pulitzer del giornalismo) conosceva ed era ricevuto da Sovrani, da Primi Ministri, dai Ministri degli Esteri e dalle più eminenti personalità politiche di tutto il pianeta. Non era quindi un romanziere, né un veggente. Ma un acuto osservatore con una documentazione ineccepibile ottenuta nelle grandi cancellerie di ogni Paese. Concludeva che la guerra era certa, che avrebbe segnato la fine dell'Europa nella forma attuale; affermava, perfino matematicamente nelle ultime due pagina (292-293) che Stati Uniti, Inghilterra, Francia e.... l'Unione Sovietica (e quest'ultima sembrò proprio una irreale bizzarria dell'autore - l'URSS con gli USA !!!) insieme avrebbero vinto, per un motivo solo "che hanno tutto quanto desiderano per fare una guerra. Le nazioni che non hanno quanto desiderano sono la Germania, il Giappone, l'Italia, e perderanno". (fu profeta!) ....................

Noi ora qui seguiamo le vicende italo-etiopiche, riprendendole dall'inizio
con due articoli usciti a distanza di due mesi:

- NAZIONE-GOVERNO - POLITICA COLONIALE DAL 1878 FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (giugno 1935) Vedi Parte Quinta >>>
segue
- NAZIONE-GOVERNO - POLITICA COLONIALE dal 1878 FINO ALLA CONQUISTA DI ADUA (agosto 1935) Vedi Parte Quinta >>>
RAPPORTO DEI "13" DEL 6 OTT. 1935 della S. d. N.: L'ITALIA "HA AGGREDITO!" - SANZIONI! !

NOTE:
1)Per motivi di pertinenza con l'argomento trattato, dalla cronaca dell'anno in oggetto, sono state estrapolate le sole notizie concernenti l' Eritrea e gli Ascari d'Eritrea e Guerra di Etiopia. Per l'articolo completo riferirsi al sito: cronologia.leonardo.it/storia/tabello/tabe1640.htm

 
 
 

Storia. Anni 1935-36. Parte Terza.

Post n°150 pubblicato il 11 Settembre 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

Storia. Anni 1935-36. Parte Terza. (Nota1)

- GLI ACCORDI ITALO FRANCESI (Antitedeschi) (1935)

..............A titolo di compensi coloniali, da noi richiesti, sulla base dell'articolo 13 del Patto di Londra, la frontiera fra la Libia e l'Africa Equatoriale francese viene spostata fino a raggiungere una linea che, partendo da Tummo, raggiunge la frontiera ovest del Sudan all'intersezione del 24° meridiano est dì Greenvich con il 18°45 di latitudine nord.
La frontiera fra l'Eritrea e la Costa francese dei Somali viene rettificata secondo una linea che da Der Eloua va fino a Daadato. In più viene riconosciuta all'Italia la sovranità sull'isola di Dumerrah.
Queste concessioni, naturalmente, non rappresentano la cessione di un impero coloniale : del resto, l'Italia non aveva mai richiesto qualcosa del genere. Quello che l'Italia domandava era il riconoscimento concreto, da parte della Francia, come lo aveva fatto l'Inghilterra, del suo buon diritto ad avere dei compensi coloniali. E questo é stato fatto..............

NOTE:
1)Per motivi di pertinenza con l'argomento trattato, dalla cronaca dell'anno in oggetto, sono state estrapolate le sole notizie concernenti l' Eritrea e gli Ascari d'Eritrea. Per l'articolo completo riferirsi al sito: cronologia.leonardo.it/storia/tabello/tabe1638.htm

 
 
 

Storia. Anni 1935-36. Parte Seconda.

Post n°149 pubblicato il 11 Settembre 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

Storia. Anni 1935-36. Parte Seconda.

- IL CONFLITTO ITALO-ETIOPICO E LA SOCIETA' DELLE NAZIONI (1935)
- GLI ACCORDI ITALO FRANCESI (1935)

IL CONFLITTO ITALO-ETIOPICO E LA SOCIETA' DELLE NAZIONI
(giugno 1935 - da Civiltà Fascista n. 6)

E ora torniamo a Ginevra:
Il 24 maggio la Società delle Nazioni si é riunita per discutere della attuale fase del conflitto italo etiopico.
Poco prima della ultima riunione del Consiglio della S. d. N, il 16 aprile, il Governo etiopico aveva, di sua iniziativa unilaterale dichiarata esaurita la fase della trattative diplomatiche, reclamando quindi l'intervento del Consiglio della S. d. N. Da parte nostra, per spirito di conciliazione, non si era voluto sollevare questioni sul fatto, se le trattative diplomatiche avessero effettivamente esaurite tutte le loro possibilità, ci si era limitati a ricordare che, ai termini del sempre citato articolo 5, si doveva ora passare alla procedura di conciliazione. Questo principio era stato accettato senza difficoltà dal Consiglio ed il Governo italiano aveva proceduto alla nomina dei suo rappresentanti nella Commissione di conciliazione.

Sebbene questa non sia stabilito da nessuna precisa disposizione internazionale pure é uso, generalmente adottato, che i due arbitri scelti dalle due parti siano dei nazionali : solo per il superarbitro si sceglie generalmente uno straniero : l'Etiopia invece cominciò subito col nominare un francese ed un americano, non solo, ma tentò anche con una sua nota di impugnare la validità degli arbitri italiani, sostenendo che essi, essendo funzionari, non potevano esplicare il loro mandati con la necessaria imparzialità. Messo alle strette, il Governo etiopico finì poi per dichiarare che era stato obbligato a ricorrere a degli arbitri stranieri, perché non vi erano degli abissini in grado di assumersi il compito.
Questa dichiarazione era di per se stessa una riprova di quanto andava sostenendo l'Italia, essere cioé impossibili voler trattare su di un piede di eguaglianza noi e gli abissini : in ogni modo, per dar ancora una prova della sua buona volontà, i Governo italiano fece conoscere che non avrebbe sollevate obiezioni alla nomina di due arbitri non etiopici.
Ciononostante il dibattito ginevrino, chiusosi in seduta notturna é stato abbastanza agitato. Il Governo abissino spalleggiato da quello britannico insisteva soprattutto su due punti : primo che la competenza degli arbitri dovesse estendersi anche alle questioni relative alla delimitazione della frontiera italo etiopica : secondo, che la questione non dovesse essere lasciata alla sola competenza degli arbitri, ma che se ne dovesse incaricare fin da questo momento il consiglio della società delle Nazioni, trattandosi di questione che poteva essere ricondotta nei casi previsti dall'art. 11 del Covenant.

A questa richiesta etiopica era stata data una più precisa formulazione dall'Inghilterra nel senso che essa richiedeva che venisse nominato dal Consiglio un apposito comitato per seguire le fasi della vertenza o, in mancanza di un comitato, si passasse senz'altro alla nomina di un relatore. A queste richieste etiopiche l'Inghilterra aggiungeva la pretesa che il Governo italiano si impegnasse a non fare ricorso alla forza o, comunque, facesse esplicito riferimento all'art. 5 del Trattato, che fa menzione appunto di tale obbligazione.
Da parte italiana si é sostenuta ancora una volta la incompetenza del consiglio. In suo intervento infatti avrebbe potuto giustificarsi sia in base all'art. 11 che in base all'art. 15. Per quanto riguarda l'applicazione dell'art. 11, ogni eventuale misura di salvaguardia presa in sua applicazione deve, per essere possibile, essere approvata all'unanimità dal Consiglio, comprese nel computo dei voti le parti in causa. Dato che l'Italia non accettava l'ingerenza della Lega l'articolo 11 si dichiarava per ciò stesso inapplicabile.

L'art. 15, da parte sua, prevede esplicitamente che la procedura in esso prevista non può essere applicata quanto sia già in corso una procedura arbitrale, come era appunto il caso per la fase attuale della vertenza italo-etiopica.
Nonostante le resistenze inglesi, il consiglio si é trovato costretto ad ammettere la limitatezza dei suoi poteri e ad astenersi per il momento, da qualsiasi « iniziativa » da parte sua.
Per quanto concerne la richiesta inglese di un impegno al non ricorso alla forza, sulla base dell'art. 5 del Patto del 1928, da parte italiana si é mantenuto, con tutta fermezza, il principio che non é possibile isolare una disposizione di un Trattato da tutto il resto delle sue stipulazioni, che ne costituiscono la giustificazione e la contropartita. L'Italia non poteva impegnarsi al rispetto di una sola stipulazione, quando di tutte le altre da parte, etiopica, non era stato tenuto alcun conto. Ed il Rappresentante britannico si é trovato nella impossibilità di insistere oltre sul suo punto di vista.

Sempre per dar prova del suo spirito di conciliazione il Governo italiano si é adattato ad ammettere che venga fissato un termine - il 28 agosto --- per l'esaurimento della procedura arbitrale.
Infatti, ognuna delle sue parti potrebbe, quando ritenga che la procedura arbitrale sia fallita, chiedere al Consiglio ed alla Assemblea di dar corso alla procedura dell'art. 15. L'Etiopia avrebbe quindi potuto, a suo piacere, provocare a tal fine una riunione straordinaria del Consiglio : il precedente della maniera con cui era stata chiusa la fase diplomatica, non era, a questo riguardo, molto incoraggiante. Ad evitare possibili manovre etiopiche era opportuno e necessario stabilire che gli arbitri conciliatori avessero un minimo di tempo per assolvere il loro mandato. Questo non esclude naturalmente che, se la procedura arbitrale si svolgerà normalmente, si potrà sempre chiedere un prolungamento del termine, il che è del resto conforme ad una specifica disposizione del Patto, che non può essere modificata da una decisione del Consiglio.

Nel discorso pronunciato a seguito delle deliberazioni del Consiglio il delegato italiano ha tenuto a mettere bene in chiaro che la competenza degli arbitri é limitata alla trattazione dell'incidente di Ual Ual e degli altri che si sono succeduti, ma che, in ogni modo essa non può estendersi alla questione della delimitazione delle frontiere. Lo stesso principio é stato riaffermato dal Capo del Governo nel suo discorso alla Camera il 25 maggio. Precisazione tanto più opportuna in quanto, da parte inglese, allo scopo di magnificare il successo riportato dalla Lega, per ragioni elettorali, si era tentato di dare alla competenza degli arbitri una interpretazione dubbia ma estensiva.
Gli arbitri delle due parti si sono riuniti ai primi di giugno a Milano e torneranno a riunirsi alla fine di giugno a Scheveningen. Eventualmente, il 25 luglio il Consiglio della Società delle Nazioni potrà essere invitato a riunirsi per la scelta del superarbitro.

Si domanderà ora : quale la ragione di questo atteggiamento così contrario all'Italia da parte dell'Inghilterra? Che l'Inghilterra voglia difendere i suoi interessi in Abissinia é una cosa del tutto naturale e non saremmo certo noi italiani a sorprendercene. Ma gli interessi inglesi in Abissinia, in rapporto a quelli italiani e francesi, sono già stati stabiliti in una serie di trattati e di documenti, dal tripartito del 1906 alle lettere del 1925. Nulla, del resto, nell'atteggiamento italiano dà diritto all'Inghilterra a pensare che dei suoi interessi si voglia non tener conto, né che, come del resto qualche influente periodico inglese da lui stesso riconosciuto, questi interessi sarebbero meglio difesi in una Abissinia arbitra assoluta dei suoi destini che in una Abissinia dove maggiore fosse l'influenza italiana. Restano dunque soprattutto due alternative. O l'Inghilterra vuole deliberatamente soffocare ogni possibile espansione italiana, oppure essa crede effettivamente di difendere così la Società delle Nazioni. Scartiamo per ora la prima ipotesi che ci porterebbe nel campo delle polemiche, ed esaminiamo invece la seconda.

L'Inghilterra si é piazzata per ora sul terreno puramente formale e giuridico. L'Italia e l'Abissinia - essa dice - sono ambedue membri della Società delle Nazioni : qualsiasi conflitto che intervenga fra di loro dovrà quindi essere risolto secondo la procedura prevista per gli stati membri. L'Inghilterra vuole che la Società delle Nazioni sia forte, perché solo attraverso una società delle Nazioni forte si potrà avere una organizzazione collettiva della pace. Se si ammette che l'Italia faccia uso della forza per ridurre l'Abissinia alla ragione, il principio della Società delle Nazioni ne riceverebbe un grandissimo colpo, dal quale forse non potrebbe più riaversi. Si può anche ammettere che sia stato un errore quello di fare entrare l'Abissinia a Ginevra ma oramai essa c'é e bisogna trattarla come tale. Per cui l'Inghilterra deve insistere perché a conflitto venga data una soluzione pacifica.

In primo luogo ci sarebbe da osservare che con questa argomentazione si fa una certa confusione fra l'incidente di Ual Ual inteso in senso ristretto e tutto il problema d'insieme dei rapporti italo etiopici del quale l'incidente stesso é parte integrale. Se a stretto rigore infatti dell'incidente di Ual Ual si potrà avere una soluzione pacifica - vorremmo in ogni modo vedere cosa farà il Negus nel caso che il verdetto degli arbitri gli fosse contrario -- non é certo ammissibile che l'insieme della questione, nei termini in cui l'Italia la pone - ed é certo l'Italia la sola a poter giudicare come essa vada posta - sia suscettibile di essere risolta con i mezzi societari. Sarebbe divertente vedere come sarebbe accolta ad Addis Abbeba una commissione della Lega che vi si recasse ad invitare il Negus a fare delle vaste concessioni all'Italia nel campo politico e nel campo economico.

Non riaccenderemo qui la polemica circa la maniera con cui l'Inghilterra, che vorrebbe oggi farci la lezione, ha acquistato il suo Impero coloniale. Riconosciamo anche noi che effettivamente, come dicono gli inglesi, la risoluzione della questione etiopica é per la Società delle Nazioni una questione di vita o di morte : soltanto non esattamente nei termini in cui la questione viene posta dagli inglesi.
Si tratta in sostanza di sapere che cosa é e che cosa deve essere la Società delle Nazioni : un organismo giuridico od un organismo politico : una Santa Alleanza od una applicazione alla politica estera del principio liberale adottato per la politica interna ?

Il Govenant di Ginevra contiene due principi i quali, a seconda dei punti di vista, si completano o si contraddicono ; l'art. 10 e l'articolo 19. L'art. 10 contiene il principio dello statu quo : la garanzia collettiva della indipendenza e della integrità dei singoli stati membri. L'art. 19 contiene invece il principio della evoluzione ammettendo l'idea del riesame delle situazioni, rese dal tempo e dalle circostanze insostenibili, anche se territoriali, quando esse non rispondano più alle esigenze dei momento. Nella mente dei compilatori del Patto i due principi si equivalevano ed erano destinati a controbilanciarsi : originariamente, anzi, essi trovavano posto nello stesso articolo. L'evoluzione pratica della Lega, nei quindici anni di sua vita, mentre ha diretto tutti i suoi sforzi a precisare la portata ed il funzionamento dell'art. 10 e di quelli che ne assicurano la messa in pratica, ha lasciato completamente in disparte l'art. 19 per cui, oggi, ci si potrebbe addirittura considerare sorpresi che esso esista ancora, quando si sentono le alte grida che lanciano da ogni parte i più strenui difensori della Lega, ogni qualvolta si parla di revisione. La Lega si avvia così, ogni giorno di più, a diventare la Lega dei « beati possidentes" contro quelli che non hanno ma che aspirano anche loro, al loro posti al sole.

Un grande italiano, Vilfredo Pareto, ha sostenuta la teoria della circolazione delle aristocrazie : é un principio il quale si può benissimo applicare anche alla politica estera : quello infatti che in politica interna sono le rivoluzioni é la guerra in politica estera. Se si vogliono evitare le rivoluzioni bisogna tener conto a tempo di quelli che sono i giusti bisogni ed i desideri delle classi inferiori : se si vogliono evitare le guerre bisogna dare la sensazione ai popoli, che sono in pieno sviluppo, che essi possono conquistare il loro posto al sole senza aver bisogno per questo di ricorrere alla sorte delle armi. La Lega se vuol vivere deve dimostrare di essere non un organismo puramente giuridico, ma di aver in se anche l'elemento politico della evoluzione. Altrimenti l'Italia, per citarne una, potrebbe essere indotta a seguire l'esempio della Germania e del Giappone ; e non é affatto detto che essa sarebbe l'ultima ad abbandonare l'onesto consesso di Ginevra per cui, alla fine dei conti, la Lega potrebbe non restare altro che la Santa Alleanza dei "beati possidentes"; e non é ben certo che essa avrebbe una sorte migliore di quella nobile istituzione sorta cento anni prima.

La questione italo-etiopica non é nè può essere ridotta ai termini di questione giuridica; si tratta di una questione politica che va trattata e risolta come tale. Se la Società delle Nazioni dimostrerà di saperla risolvere in questa forma e portata tanto meglio : essa avrà così forse fatta la sola cosa utile della sua storia. Se essa invece vorrà trincerarsi dietro la barriera delle sue concezioni strettamente giuridiche, forse si potrà anche gridare a Londra ed altrove che essa ha riportata una grande vittoria: ma di fatto essa avrà firmato il suo decreto di morte.

GLAUCO VALENTI
(su Civiltà Fascista n. 6, giugno 1935)

 
 
 

Storia. Anni 1935-36. Parte Prima

Post n°148 pubblicato il 11 Settembre 2008 da wrnzla

Fonte Testi: Cronologia.Leonardo.it

Storia. Anni 1935-36. Parte Prima

- IL CONFLITTO ITALO-ETIOPICO E LA SOCIETA' DELLE NAZIONI (1935)
- GLI ACCORDI ITALO FRANCESI (1935)

IL CONFLITTO ITALO-ETIOPICO E LA SOCIETA' DELLE NAZIONI
(giugno 1935 - da Civiltà Fascista n. 6)

Prima di procedere ad un esame della situazione politico giuridica che si è venuta creando, particolarmente per il fatto dell'atteggiamento dell'Inghilterra, fra l'Italia e la Società delle Nazioni, in relazione al conflitto italo etiopico, sarà forse utile riassumere le fasi della vertenza, precedenti all'ultima sessione del Consiglio della S. d. N. della quale dovremo occuparci con maggior dettaglio.
Il 5 dicembre dello scorso anno (1934) degli armati abissini, in numero di circa 1500, attaccarono di sorpresa il nostro posto di Ual Ual il presidio italiano, nonostante l'enorme sproporzione delle forze, poté resistere fino all'arrivo di qualche rinforzo, col cui intervento fu possibile mettere in fuga l'avversario. Il Rappresentante italiano ad Addis Abeba fu subito incaricato dal nostro Governo di richiedere al Governo etiopico delle scuse ed una indennità per gli uccisi, calcolata secondo gli usi locali. Il Governo abissino rispose alla nostra nota richiedendo, sulla base dell'art. 5 del Trattato italo-etiopico, l'applicazione della procedura arbitrale. Da parte nostra si fecero delle riserve circa la opportunità e la possibilità di applicare la procedura arbitrale : il Governo etiopico, invece di rispondere alla Legazione italiana, indirizzò al Segretario Generale della S. d. N. un telegramma invocante l'intervento della Lega.

Per meglio comprendere l'atteggiamento del Governo etiopico bisogna risalire un po' indietro. La frontiera fra la Somalia italiana e l'Ogaden non é mai stata delimitata sul terreno : il trattato del 1908 si limita a fissare i principi generali a cui si dovrà ispirare la commissione di delimitazione il giorno in cui si sia riunita : ma sebbene da parte italiana lo si fosse ripetutamente richiesto, la commissione non é stata mai convocata. Per molti anni noi ci eravamo limitati a mantenere il nostro protettorato sui sultanati di Obbia e dei Migiurtini, senza però procedere ad una effettiva presa di possesso. Il Governo italiano ritenne questa situazione incompatibile con l'autorità e col prestigio dell'Italia coloniale e decise di effettuare l'occupazione effettiva del territorio : l'azione, auspice il quadrumviro De Vecchi, venne portata a termine nel 1926. Fu all'incirca in quell'epoca che venne dai nostri occupato e presidiato il posto di Ual Ual.
L'Ogaden era stato conquistato da Menelik : per molto tempo però il Governo abissino si era limitato a lasciare alla sua sovranità sulla regione una forma molto vaga : in pratica erano i piccoli capi locali che governavano : Addis Abbeba, di tanto in tanto, organizzava una spedizione più o meno razziatoria, per riscuotere i tributi e riaffermare la sua autorità.

Poi, un bel giorno, quale conseguenza dell'opera centralizzatrice a cui si era accinto il Negus, si decise di inviare sul posto dei capi abissini e di stabilire una autorità effettiva sul paese. Con quanta gioia delle popolazioni somale lo potrebbe dimostrare il numero di indigeni che sono venuti a rifugiarsi nelle nostre colonie per sfuggire alla rapacità dei funzionari etiopici. Da questo momento comincia la pressione etiopica sulla nostra frontiera : ammassamenti di armati, tentativi di occupare, di sorpresa, questo o quel posto, razzie eseguiti nel nostro territorio ai danni dei nostri sudditi : una situazione la quale obbligava le nostre autorità ad una continua vigilanza e sulla quale, a più riprese e senza risultati tangibili, era stata attirata l'attenzione del Governo etiopico.

Verso la fine dello scorso anno (1934) era in giro per la regione una Commissione anglo etiopica incaricata di stabilire il confine fra l'Ogaden ed il Somaliland britannico: e fissare la frontiera in una regione come l'Ogaden, stepposa ed abitata in gran parte da nomadi, é una cosa complessa poiché, più che stabilire una linea di frontiera propriamente detta, essa richiede che vengano stabiliti i diritti di pascolo delle tribù che si trovano sotto la sovranità dell'uno o dell'altro Governo : diritti di pascolo i quali si appoggiano a consuetudini antichissime e spesso in contrasto.
Il 23 novembre la Commissione mista anglo etiopica si presentava al nostro posto di Ual Uual : il nostro comandante si dichiarò pronto a lasciar passare in territorio italiano i due commissari, ma
rifiutò il passaggio alla loro scorta, dichiarando, come era logico, che in territorio italiano essi sarebbero stati sotto la protezione delle nostre autorità : il nostro comandante poi, di fronte ai reclami del Commissario etiopico, che sosteneva essere Ual Ual territorio dell'Impero eccepì che, in ogni caso, la questione di frontiera non poteva essere di competenza che dei due Governi e che lui, da buon soldato, non aveva altra incombenza che quella di provvedere alla guardia del posto affidatogli. La Commissione anglo etiopica si ritirò allora ad Ado e di lì inviò al Capitano Cimmaruta una lettera di protesta.

L'atteggiamento del Colonnello Clifford - il commissario britannico - in tutto questo affare non risulta molto chiaro : in mancanza di documenti precisi ci guarderemo bene, naturalmente, da qualsiasi affermazione : gli agenti locali, si sa, sono qualche volta affetti dalla mania di strafare. Quello che é certo é che l'atteggiamento del Commissario britannico dovette essere interpretato dagli etiopici come una specie di impegno, da parte dell'Inghilterra, ad appoggiare i reclami abissini relativi all'appartenenza di Ual Ual da quei buoni barbari che essi sono ritennero che fosse quello il momento opportuno per procedere all'attacco dei nostro posto.
L'art. 5 del Trattato italo etiopico del 1928 prevede, per la risoluzione delle questioni che possano sorgere fra i due paesi, tre fasi distinte - le trattative diplomatiche - la procedura di conciliazione - l'arbitrato. A parte quindi ogni considerazione di sostanza, giuridicamente parlando, il Governo abissino non poteva reclamare l'arbitrato fino a che non fossero state esaurite le due fasi precedenti, negoziati cioé e conciliazione. Ancora meno poteva rivolgersi alla Società delle Nazioni poiché la Società delle Nazioni, a norma dell'art. 15 del Covenaut, avrebbe potuto, eventualmente, intervenire soltanto dopo che fossero state esaurite senza risultato, tutte le procedure conciliative previste dai trattati esistenti fra le due parti in causa.
Il Governo abissino intanto sosteneva di essere stato lui l'aggredito a Ual Ual : poteva essere anche una buona tattica, quella di mettere le mani avanti, per chi non si sentiva la coscienza del tutto pulita. Ma oltre a questo il Governo etiopico tentava di spostare i termini della questione : per sfuggire alle sue eventuali responsabilità in merito all'incidente stesso, tentava di allargare la discussione portandola sulla questione delle frontiere : tendeva in altre parole a sostenere che gli italiani a Ual Ual si trovavano abusivamente in territorio etiopico e che quindi, se anche del sangue era corso, ciò era dovuto al fatto che gli italiani stavano avanzando al di là delle loro frontiere. Tesi anche questa giuridicamente poco fondata poiché, anche ammettendo che realmente Ual Ual fosse in territorio etiopico, il possesso italiano del posto durava, indisturbato, da otto anni. Ora nel diritto internazionale, come nel diritto privato, il possesso indisturbato, protratto, per un certo periodo di tempo, crea una situazione di diritto che non può essere modificata dall'azione diretta ed individuale. Il Governo etiopico avrebbe potuto reclamare, quindi, presso il Governo italiano per avere la restituzione di un territorio che esso reclamava come suo : non era però in diritto di inviare dei suoi armati a riprenderselo colla forza.

Alla Società delle Nazioni il Governo italiano fece valere le sue ragioni ed il Consiglio della Lega riconobbe di non essere competente ad occuparsi della questione fino a che le due parti non avessero esperita la procedura di risoluzione delle vertenze prevista dall'art. 5 del Trattato nel 1928. Fin da quel momento però si ebbero le prime avvisaglie di quella che sarebbe stata in seguito all'attitudine dell'Inghilterra, ma per allora non si insistette oltre.

Si domanderà ora : come é che da un incidente, grave sì, ma sostanzialmente di una importanza locale si é potuti arrivare fino alla situazione attuale ? il fatto é che l'incidente di Ual Ual non é stata che la manifestazione sanguinosa di uno stato di cose che veniva maturando oramai da molti anni, era la fiamma che rivela il fuoco che cova da tempo sotto la cenere.
Non staremo qui a rifare la storia degli incidenti di frontiera i quali si sono susseguiti, senza interruzione, lungo tutta la nostra linea di confine. L'Imperatore Haile Selassié, salito al trono dopo un'opera lunga e paziente eliminandone gli eredi legittimi, i figli di Menelik, si é voluto accingere all'opera ardua di «modernizzare » il suo Impero. Modernizzare voleva dire, soprattutto abbattere il potere locale dei ras, qualche volta superiore a quello dello stesso imperatore. Questo Luigi XI in miniatura - il paragone vale soprattutto per le doti morali e militari del Sovrano - per stroncare i grandi feudatari ha preferito appoggiarsi di preferenza sulla classe dei giovani abissini : quelli cioè dei suoi compatrioti i quali, avendo passato qualche anno nelle scuole europee, credono oramai di avere appreso tutto lo scibile e di potersi considerare degli uomini moderni : fra gli elementi che questi giovani hanno portato dall'Europa c'é anche il nazionalismo, nella forma che esso assume quando esso si innesta sulle razze inferiori, ossia della megalomania e della xenofobia.

Ecco quindi la politica interna trasformarsi in funzione di politica estera : da una parte i capi tradizionalisti, timorosi dei progressi del potere centrale, incapaci di lottare contro un uomo il quale usa come arma la penna invece della spada, si sono dati a cercare di creargli delle difficoltà all'estero, nella speranza di riuscire così a rovesciare il non bene amato Imperatore. Dall'altra i giovani nazionalisti, prima ancora di avere iniziata la parte più elementare dell'opera di civilizzazione del loro paese, già sognano di una grande Abissinia col suo sbocco al mare, sul Mar Rosso e sull'Oceano Indiano, ossia attraverso quelle che sono oggi le colonie italiane.
Di qui lo stato permanente di anarchia di cui hanno avuto a soffrire tutti i paesi confinanti coll'Etiopia : la stessa Inghilterra, sebbene oggi essa cerchi di negarlo, per non indebolire le sue tesi, ma soprattutto l'Italia poiché é contro l'Italia, che essi considerano come la più debole, che si appuntano le ambizioni abissine.
Di qui il primo aspetto del problema italo etiopico ; quello della sicurezza. Tanto la Eritrea quanto la Somalia sono abitate da popolazioni da tempo pacificate, affezionate al nostro dominio e quindi, per mantenervi l'ordine, basterebbe, come é stato fatto fino a poco tempo fa dall'Italia, una esigua forza di polizia. Ma di fronte alla minaccia etiopica noi saremmo obbligati a mantenere quelle colonie in stato permanente di difesa, a stabilirvi forze del tutto sproporzionate alla entità delle colonie stesse, ma in rapporto a quelle forze che il vicino etiopico potrebbe mettere in campo. E l'Italia sarebbe costretta a tener presente che, ogni qualvolta essa si trovasse implicata in qualche conflitto europeo, l'Abissinia non perderebbe una buona occasione per attaccarla alle spalle. Se già durante la guerra mondiale, l'Abissinia essendo in istato di sfacelo, dovemmo d'urgenza mandarvi delle truppe per mettere fine alle velleità di Ras Seyum cosa avverrebbe domani di fronte ad una Abissinia unificata ed armata sufficientemente, col concorso di amabili istruttori europei ?

E' questo un problema che va risolto una volta per tutte : l'Italia ha, al pari delle altre potenze europee, il diritto di avere la sicurezza delle sue colonie dell'Africa Orientale ; specialmente se si tiene conto che essa, a differenza della Francia e dell'Inghilterra, non ha là solo alcune briciole di un vasto impero, ma la metà quasi delle colonie che essa possiede.
Il secondo aspetto del problema é di più vasta portata. L'Italia, entrata per ultima nell'agone delle competizioni coloniali, non ha potuto assicurarsi il suo posto al sole : al tavolo di Versailles essa é stata defraudata di quello che era il suo buon diritto in materia di distribuzione di mandati e di colonie. Ma l'Italia ha anche essa, non meno degli altri, il diritto di avere un campo che sia lasciato libero alla sua espansione, alla sua attività ; di uno sfogo per il soprappiù della sua popolazione. Le Colonie italiane non sono sufficienti a questo scopo : in particolare l'Eritrea e la Somalia hanno per l'Italia una importanza soprattutto in quanto ponte di passaggio verso l'Etiopia tanto più vasta e più ricca.

Con il Trattato del 1928 l'Italia ha fatto il suo massimo sforzo per vedere di assicurarsi questo sbocco attraverso una politica di buone relazioni e di collaborazione amichevole con l'Etiopia : poi ha atteso con pazienza i frutti della sua politica. Ed i frutti sono stati una diffidenza sempre crescente che ha poi degenerato in ostilità aperta. Il Negus si é sempre dimostrato pronto a prestare un orecchio benevolo alle richieste che gli venivano da ogni parte, anche dal Giappone, ma con l'Italia mai.

Ora, al XX secolo, non é possibile ammettere che un popolo barbaro voglia volontariamente chiudere ad ogni attività civile un territorio ricco e vasto, per ragioni di semplice xenofobia : e non é possibile che un popolo giovane ed in pieno sviluppo se ne stia lì sulla porta ad attendere, per un principio astratto di rispetto al diritto di indipendenza dell'Abissinia. Come nel diritto privato italiano non si ammette che il proprietario lasci incolte le sue terre, così nel campo internazionale, non é possibile ammettere che uno stato voglia volontariamente escludersi dalla collettività civile. In questo caso bisognerà presto o tardi sfondare quella porta che si vuole tenere chiusa.

Questi in breve i termini del problema : queste le ragioni per cui l'Italia ha trasportate sulle rive dei Mar Rosso le sue truppe, decisa, questa volta, a risolvere una volta per tutte il problema dei suo rapporti, sia politici che militari che economici col vicino Impero. Tanto meglio se questo problema potrà essere risolto senza che sia necessario far uso delle forze raccolte laggiù : ma bisogna che tutti si rendano conto che, occorrendo, l'Italia é ben decisa a servirsene

 
 
 
 
 

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...Dunque tu vuoi essere ascari, o figlio, ed io ti dico che tutto, per l'ascari, è lo Zabet, l'ufficiale.
Lo zabet inglese sa il coraggio e la giustizia, non disturba le donne e ti tratta come un cavallo.
Lo zabet turco sa il coraggio, non sa la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un somaro.
Lo zabet egiziano non sa il coraggio e neppure la giustizia, disturba le donne e ti tratta come un capretto da macello.
Lo zabet italiano sa il coraggio e la giustizia, qualche volta disturba le donne e ti tratta come un uomo...."

(da Ascari K7 - Paolo Caccia Dominioni)

 
 
 
 

 
 
 
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