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Messaggi di Aprile 2016

 

Bertolucci racconta la Resistenza ai bambini da la repubblica

Post n°13150 pubblicato il 26 Aprile 2016 da Ladridicinema

Bertolucci racconta la Resistenza ai bambini

Il regista parmigiano ha scritto un volumetto per i più piccoli sulla Liberazione distribuito dalla Coop

di EMANUELA GIAMPAOLI

17 aprile 2016

«La verità è che non potevo dire no a un’esperienza nata per raccontare la Liberazione ai bambini». Bernardo Bertolucci spiega così la sua partecipazione a “I miei primi 25 aprile”, piccolo grande libro della casa editrice bolognese L’Io e il Mondo di TJ, che il regista premio Oscar ha scritto insieme ai partigiani Rina (Ibes Pioli) e Italiano (Renato Romagnoli). «Un libro semplice, non semplificatorio», ha continuato il Maestro, che da domani al 24 verrà distribuito gratuitamente nei supermercati Coop alle famiglie, per avvicinare la prima generazione i cui nonni non hanno vissuto il fascismo a concetti come Liberazione, «una guerra alla guerra», e Resistenza, ossia lo «stare fermi e saldi». E, naturalmente, il 25 aprile: «un fatto storico che è diventato anche un’emozione».

E’ questo il valore aggiunto dell’opera. Che al di là della grande Storia, narrata con precisione, scandita da date e fatti, grazie alla consulenza di Claudio Silingardi, direttore dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione italiano, allinea i ricordi, gli aneddoti, le battaglie di chi quella stagione la visse in prima persona. Gli stessi ricordi che hanno dato vita a “Novecento”. «Un mio vecchio film, la gente non se lo ricorda nemmeno, in cui tutto ruota intorno al 25 aprile del 1945». Ma è soprattutto il 25 aprile di Bernardo bambino a confluire nel volume. «Avevo quattro anni – continua – di quel giorno ricordo la mamma che mi accompagna al terzo piano della casa del nonno per mostrarmi una cosa che non avevo mai visto: un carro armato. C’era anche un gruppo di persone che gridava in dialetto: “c’è la stella bianca”. Voleva dire che erano gli americani. Così tutti contenti gli si avvicinarono per far festa, ma i soldati si misero a sparare, scambiandoli per fascisti e ne ferirono due. Sparirono tutti. Erano giornate anche di grande confusione».

È uno degli episodi ripreso dal volume, così come ci sono i tanti incontri coi partigiani nella casa del padre Attilio. «Vivevamo nelle campagne intorno a Parma, dove dopo la guerra c’erano ancora moltissimi ex partigiani. Venivano a trovare papà: in particolare Ubaldo Bertoli, della 47° brigata Garibaldi, ci affascinava con narrazioni straordinarie. Mostrando a noi bambini la Resistenza come qualcosa di avventuroso».

Un’avventura, avverte Bertolucci insieme a Rina e a Italiano, che è un dovere anche per le nuove generazioni. Un dovere che significa opporsi
 a mafie, terrorismi, razzismi, fanatismi religiosi, corruzione. Così come a chi bombarda città «dicendo che lo si fa per la democrazia». «Oggi infatti – conclude il regista – diventa molto difficile capire quale è la realtà assoluta rispetto alle false realtà che in ogni momento ci vengono proposte, distinguere i veri valori, rispetto a valori che non esistono. Valori contro i quali io personalmente vorrei resistere».
 
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BELLA CIAO! da patriaindipendente

Post n°13149 pubblicato il 26 Aprile 2016 da Ladridicinema
 

bella-ciao

A Radio Popolare, la radio che ascolto quando sono in casa, hanno chiesto agli ascoltatori quale canzone rappresentasse meglio il 1995. Uno ha risposto Bella ciao. Ma non per la partigianeria, la montagna, la Resistenza. Così, più morbida: “Ciao bella, come stai? Beh ciao, mi ha fatto piacere rivederti, teniamoci in contatto”. È bella ciao in fondo, mica bella addio. Enrico Deaglio, Bella ciao: diario di un anno che poteva anche andare peggio

 

Che Bella ciao sia la canzone simbolo della Resistenza e dell’antifascismo, si sa. Come si sa che venne intonata ancora in occasione di lotte e proteste sociali, come quelle operaie e studentesche negli anni dell’autunno caldo e del ’68. Che sia stata tradotta in tutte le lingue esistenti tanto da diventare un universale inno alla libertà. Ma resta sempre il dubbio, il sospetto, che ci si dimentichi di che cosa rappresenti davvero Bella ciao. Che cosa racconti, da dove venga e a chi si rivolga, rischiano di perdersi per strada. Occorre, dunque, rievocarne la memoria perché ne resti vivo il messaggio e si rafforzi il senso del suo peregrinare per il mondo.

Certo, quel titolo e quel ritornello, vogliono dire tante cose: bella può essere riferito alla giovinezza che sfiorisce, oppure a una donna che si deve lasciare perché si è costretti a partire. Alla libertà che si perde quando si incontra un tiranno invasore.

La canzone, con le sue parole e le sua musica, infatti, ha raccontato esperienze diverse nell’arco dei suoi viaggi, non a caso ha un’origine che si perde nella notte dei tempi. In tanti ci si sono incaponiti per capire fin dove sprofondasse il buio di quella notte e dove intravedere un’alba. Storici, etnomusicologi, etnografi, musicisti hanno dedicato infinite ricerche per dare a questo canto errante le debite generalità, una data di nascita, una residenza. Nomi importanti, che a metterli in fila si fa la storia del canto sociale, degli studi sul folclore che sono l’orgoglio del nostro Paese. Da Roberto Leydi a Gianni Bosio, Cesare Bermani, Stefano Pivato, Antonio Virgilio Savona, Michele Straniero, Gianni Borgna.

Perché qui in gioco c’è tutta la tradizione del canto popolare e sociale, delle sue pratiche creative e di trasmissione principalmente orale. Ecco che infatti, come confermano Gioachino Lanotte (“Cantalo Forte”) e Gianni Borgna (“Storia della canzone italiana”), l’alba di Bella ciao risale addirittura a una ballata del Cinquecento francese, giunta in Italia dal Piemonte dove diventerà la tradizionale La darè d’cola montagna

Questo motivo si sarebbe poi propagato in tutto il nord trasformandosi in Trentino ne Il fiore di Teresina (conosciuta anche come Fior di tomba o Il fior della Rosina) e in Veneto nel canto Stamattina mi son alzata. Alzata, perché nell’infinito girovagare di questa canzone pare esserci anche una lunga sosta tra le risaie dove le mondine, mentre si spezzavano la schiena, lamentavano, cantando, il duro lavoro, la fatica dello stare lontane da casa, dalle madri a cui, bambine, rivolgevano la loro preghiera.

La versione di Giovanna Marini, incisa anche nell’album “Il fischio del vapore” di Francesco De Gregori (2003), nella cadenza del tipico stile di canto popolare esprime, come una litania, tutta la sofferenza delle mondariso:

Alla mattina appena alzata,

O bella ciao, bella ciao

Bella ciao ciao ciao,

Alla mattina appena alzata,

In risaia mi tocca andar

 

O mamma mia o che tormento

O bella ciao, bella ciao,

Bella ciao ciao ciao

O mamma mia o che tormento

Io ti invoco ogni doman.

Ma non tutti sono concordi. Come spiega Nanni Svampa (“La mia morosa cara”) alcuni studiosi ritengono la versione delle mondine precedente a quella partigiana (Stefano Pivato la fa risalire addirittura al repertorio delle mondine d’inizio Novecento, vedi “Bella ciao, canto e politica nella storia d’Italia”), mentre per altri, come Roberto Leydi e Cesare Bermani, essa sarebbe nata nel dopoguerra dalle parole del mondino Vasco Scansani di Gualtieri di Reggio Emilia.

E poi c’è il ritornello che, invece, secondo Cesare Bermani sarebbe di origine bergamasca. Per non dire, poi, come racconta La Repubblica, di una possibile derivazione yiddish, connessa al ritrovamento di una melodia tradizionale (canzone “Koilen”) registrata da un fisarmonicista Kletzmer di origini ucraine, Mishka Tziganoff, nel 1919 a New York.

Insomma, non se ne viene a capo. Bella ciao è come un vento che arriva, raccoglie un’eco e la porta altrove. Ma questo non fa che avvalorare l’idea che dentro questo canto ci sia una storia di transiti, di trasmissioni, intersezioni profonde e stratificate. Che sia come un albero che cresce rigoglioso e nel suo tronco racconti le condizioni, i climi, gli eventi traumatici o felici che gli hanno dato forma, vita e sostanza.

Perché dopo i lamenti delle mondine il canto passerà a dar voce alle speranze partigiane, dignitose e tenaci, di chi non vuole soccombere al nemico invasore. Di chi è disposto a morire per la libertà. E la voce femminile lascerà il posto a quella maschile.

Gli storici della canzone italiana Antonio Virgilio Savona e Michele Straniero sono convinti nel dire che Bella ciao fu poco cantata durante la guerra partigiana, e venne diffusa nell’immediato dopoguerra. La sua popolarità ebbe inizio nell’estate 1947, a Praga, al Primo Festival Mondiale della Gioventù, dove fu eseguita, e tradotta in tutte le lingue del mondo, con tipico battimani, da un gruppo di giovani partigiani italiani (“Canti della Resistenza italiana”). Gualtiero Bertelli, invece, ne individua la prima esibizione durante il Festival della Gioventù di Berlino, nel 1948, cantata da un gruppo di studenti capitati lì non si sa come.

Non è dato sapere, dunque, se sia stata cantata durante le lotte partigiane, nel modenese e attorno a Bologna come dicono alcuni, (Pivato la circoscrive alle zone di Montefiorino, nel Reggiano, nell’alto bolognese e nelle zone delle Alpi Apuane), oppure dopo, a memoria, a celebrazione. E poi? Negli anni Quaranta e Cinquanta, la canzone circolerà in varie regioni italiane grazie alle esecuzioni delle corali socialiste e comuniste durante raduni e festival. Da qui, prenderà il volo verso l’estero.

Ma chi l’ha scritta? Chi ha trovato le parole per testimoniare questo destino consapevole di una imminente morte a salvaguardia della libertà? Nomi, cognomi, non ce ne sono, si dice solo che gli autori potrebbero essere partigiani della zona emiliana.

Una cosa, però, è certa: un canto anonimo, di fatto, è cosa pubblica, patrimonio di tutti. E questo è un pregio di poche canzoni. Come Per i morti di Reggio Emilia di Fausto Amodei, assunta a canto di lotta dal movimento del Sessantotto, ma diffusa come creazione di “autore anonimo”. Una cosa di cui andare orgoglioso, dirà Amodei, ovvero “di essere immeritatamente divenuto voce del popolo”.

Bella ciao, voce del popolo lo è senz’altro, anche per il fatto di essere un canto contro “l’invasore”, un generico nemico che ciascun popolo può connotare a suo modo, sulla base della lotta che sta combattendo. Non a caso il vero inno dei partigiani sarà Fischia il vento, canzone in cui, invece, ben presenti sono i riferimenti di parte, come il “sol dell’avvenire” e la “rossa bandiera”. «Fischia il vento – scrive, infatti, Franco Fabbri – ha il “difetto” di essere basata su una melodia russa, di contenere espliciti riferimenti socialcomunisti, di essere stata cantata soprattutto dai garibaldini. Bella ciao è più “corretta”, politicamente e perfino culturalmente». Bella ciao, allora, è di chi la canta.

La versione di Sandra Mantovani è tra le prime a unire quella mondina a quella partigiana. Questo passaggio avviene nel 1964 quando il Nuovo Canzoniere Italiano presenta a Spoleto il memorabile spettacolo dal titolo “Bella Ciao” dove la canzone delle mondariso apre il recital e quella dei partigiani lo chiude.

Da questo momento la canzone riscontra un successo senza eguali. Gli anni Sessanta sono il periodo che precede o va di pari passo con l’affermarsi dei primi governi di centro-sinistra e il canto, più di ogni altro, legittima l’immagine che la guerra partigiana sia stata una battaglia di tutti.

Si resta sorpresi al pensiero che, nata da soldati semplici, gente comune, tra le montagne e nel fango di una trincea (come molti studiosi rilevano), la canzone compaia in questi anni nei repertori di grandi autori, spesso politicamente impegnati, ma anche, poi, nei circuiti commerciali.

La canta Yves Montand nel 1963,

la canta Giorgio Gaber nel 1965 dalla Milano post boom economico.

Un Gaber che ha da poco indossato i panni dell’enigmatica figura del “Signor G.”, simbolo del cittadino mediocre pronto a cambiare casacca all’occorrenza, inadeguato e continuamente animato da sensi di colpa e frustrazioni. Un’ambiguità che esprime i reali problemi del Paese in quegli anni: i dubbi e le inquietudini di un’intera generazione alle prese con una crisi economica e di valori. Valori che Gaber sente di affermare cantando proprio Bella ciao. Nel 1971, alla trasmissione Canzonissima di Rai Uno, Milva interpreta la versione delle mondariso, e la catapulta nelle case degli italiani, ormai fedele pubblico televisivo.

Nel 1975 la canta perfino Claudio Villa, ma in una versione swing un po’ troppo scanzonata che rischia di oscurarne la natura di canto di lotta.

È il segno, però, che la canzone ormai è davvero sulla bocca di tutti. Le interpretazioni, infatti, si rincorrono. Nel 1978 le dà voce la musicista greca Maria Farantouri, interprete del sentimento di lotta alle dittature di tutto il mondo e con lei Bella ciao diventa l’emblema di ogni Resistenza.

Gli anni Ottanta sembrano un po’ dimenticarsi di questa canzone, delle battaglie partigiane, del passato. Solo Francesco De Gregori, in un frammento di “La storia” dall’album “Scacchi e Tarocchi” (1985) ci ricorda che “La Storia siamo noi, siamo noi padri e figli, siamo noi Bella ciao che partiamo. La Storia non ha nascondigli, la Storia non passa la mano, la Storia siamo noi, siamo noi questo piatto di grano”. La Storia è l’identità di un popolo, come le lotte che lo hanno segnato.

Ma negli anni Ottanta si guarda avanti. Lo scenario culturale, sociale e politico del Paese, del resto, è tutto un fermento. Il 1982 segna l’inizio di un nuovo boom per l’Italia: “Il secondo miracolo economico italiano è già cominciato – commentava Giuseppe Turani nel 1986 –. Da un po’, forse anche da un anno. Ed è quasi sicuro che andrà avanti a lungo. Probabilmente non meno di dieci anni, fino al 1995”. La corsa ai consumi assume i ritmi degli anni Sessanta, con la differenza che ora l’acquisto di un prodotto diventa l’affermazione di uno status symbol, l’appartenenza a una cerchia di individui o l’innalzamento rispetto a un’altra, la preferenza a una determinata moda o tendenza e in questo una manifestazione identitaria. Un consumo “vistoso” accresciuto dalle nuove e più pervasive forme della comunicazione pubblicitaria, veicolate attraverso i canali delle televisioni commerciali che in questi anni iniziano a trasmettere, insieme ai loro programmi, anche i nuovi modelli sociali cui ispirarsi, nel modo di essere e agire, nell’abbigliamento, nell’arredamento, nello stile di vita. E ancora: “Sgomenta – scriveva Fortini nel 1982 – il peso delle questioni che la nozione di memoria (storica e personale) porta alla luce. Ad esempio, sono bastati gli ultimi sei o sette anni di terrorismo, di politica della unità nazionale e di inflazione e di scandali […] perché interi blocchi di problemi venissero rimossi e considerati inesistenti non pochi sperimentati principi di interpretazione […]. Ecco perché è assolutamente impossibile, oggi, trasmettere a chi ha diciotto anni una qualche verità non convenzionale su quello che da loro dista appena un decennio […], quando i loro padri, oggi smarriti o rassegnati quarantenni, li issavano sulle spalle nelle manifestazioni per il Vietnam” (“Non solo oggi”).

Bisogna aspettare gli anni Novanta perché questo stato di “dormienza” (Franco Fortini) svanisca e si torni a guardare alla realtà: la crisi d’identità dei partiti, gli scandali, Tangentopoli, Mani Pulite. Occorre che la gente torni a impegnarsi, occorre risvegliare valori e identità dimenticate, è necessario riaccendere la fiamma di un passato di lotta alle ingiustizie e a ogni forma di sudditanza.

E allora Bella ciao ricompare, nelle forme più roboanti, rock, hard rock, metal, punk, folk possibili, e a volte anche molto arrabbiate. I romani Banda Bassotti nel 1993 la reinventano secondo lo stile ska e il ritmo, la modernità di cui la rivestono ne fanno un veicolo che parla a tutti, agli adulti che hanno smarrito la memoria, ai giovani che non sanno e vogliono conoscere.

Ma sono soprattutto i Modena City Ramblers i paladini di questa rinascita. Con le loro esaltanti versioni, eseguite in numerose incisioni o in eventi live, trovano il fulcro identitario della loro poetica oltre che un successo clamoroso. Sono gli anni del “combat folk”, strumento sonoro e di battaglia politica, dirà Felice Liperi (“Storia della canzone italiana”). Capace di raccogliere l’eredità della canzone politica riconsegnandola a una forma nuova, in cui il retaggio popolare viene tradotto in sound dirompenti e di forte impatto emotivo.

Nella prima incisione del 1994, dall’album “Riportando tutto a casa” (e questo revival spiega forse l’iniziale citazione), le parole di Bella ciao si sposano magnificamente con l’arrangiamento irish folk, cifra espressiva del gruppo modenese.

La canzone, adesso, si canta a squarciagola e si balla. Si salta al ritmo di un reel irlandese tutti insieme, giovani soprattutto, che in massa partecipano ai concerti negli stadi e nelle piazze, a quelli del Primo Maggio in Piazza San Giovanni a Roma, dai primi anni 2000 in avanti, fino al 2014.[

Ma la grande esplosione c’era già stata: quella della esuberante versione del 31 dicembre 1999 a Modena con l’orchestra di Goran Bregović, incisa poi in “Appunti partigiani” (2005), importante omaggio alla storia partigiana e alla storia canora della Liberazione.

Nello stesso anno le interpretazioni si rincorrono, e la incideranno anche i piemontesi Yo Yo Mundi, nell’album “Resistenza” .

Per l’artista serbo, invece, la canzone diventerà stabilmente parte del repertorio, tantissime sono le occasioni in cui verrà cantata e suonata dalla sua Wedding e Funeral Orchestra, come nell’entusiasmante live di Parigi del 2013 https://www.youtube.com/watch?v=OyMA84-mowI .

Stessa atmosfera si respira all’ascolto della versione del regista serbo Emir Kusturica con la No smoking Orchestra fondata dopo la guerra in Bosnia ed Erzegovina.

La musica si fa trascinante e la canzone parla dal cuore dell’Europa, luogo di transito e di incontro di tante culture, quella serba, croata, musulmana. Bella ciao diventa un misto di sonorità tradizionali balcaniche e sembra parlare la lingua di tanti popoli, diversi ma ugualmente accomunati da un destino di lotta contro le dittature (la Croazia ottiene l’indipendenza nel 1995), da un doloroso percorso di ricostruzione.

Così negli anni Novanta il canto porta con sé questo messaggio in giro per il mondo: la incide il cantante e compositore franco-spagnolo Lény Escudero (Album “Chante la Liberté”).

Unica ed emozionante è la versione a cappella che l’ottetto vocale Swinger Singer incide nell’album “Around the world, Folk songs” nel 1991.

La canta il Coro dell’Armata Rossa (“The Best of the Red Army Choir: the Definitive Collection”);

i Boikot la interpretano in spagnolo in una delle versioni più punk e hard rock mai sentite, a cui mescolano il grido di “No pasaràn”, il celebre messaggio di Dolores Ibárruri ai soldati al fronte, durante la guerra civile spagnola, per incitarli a combattere contro le truppe del generale Franco.

Segno che quando la canzone arriva chi la prende ci mette qualcosa di suo. La cantano con questa foga anche gli italiani patchanka-ska-punk Talco.

E i bretoni Les Ramoneurs de Menhirs non scherzano neanche loro con un suono di puro punk rock metallico.

Come a dire: come abbiamo fatto a dimenticarci di Bella ciao, del suo patrimonio di significati, del suo monito a combattere per la libertà?

La band anarchica britannica Chumbawamba la traduce in inglese e ne fa una sua versione dal gusto pop rock più sofisticato. E intanto, così, nella lingua più diffusa al mondo, la comprendono proprio tutti.

Non può mancare una versione tedesca: una tra tante è quella folk di Konstantin Wecker & Hannes Wader.

Negli Stati Uniti, invece Bella ciao si canta in un mix di afro funky beat con gli Underground System.

Manu Chau ne dà una personale declinazione reggae e latina,

mentre la cantora popular Mercedes Sosa, portandola in Argentina, la terra dei golpe militari, della violenza politica, delle dittature e delle rivolte soppresse nel sangue, ne fa una bandiera della lotta per la pace e i diritti civili.

 

Bella ciao in questi nuovi arrangiamenti non è più solo la canzone malinconica di chi va a morire e si sacrifica, è la canzone di una vittoria, una liberazione che si celebra nell’euforia di un ritmo incalzante e di un canto libero e fuori dagli schemi. Una vittoria che è una festa corale, a cui si partecipa cantando con la voce più forte che si può.

Non deve meravigliare, allora, che questo treno in corsa che è Bella ciao a un certo punto si fermi per far salire frotte di gente, per poi, subito, ripartire. Gli anni 2000 la consacrano come la canzone di tutti i popoli in lotta, di tutte le etnie, le culture, le razze, le religioni, le patrie. Di chi, nel mondo, crede nel valore della pace e della libertà.

Ed è bello che la canzone, dopo le registrazioni d’autore, dopo i palcoscenici prestigiosi, ritorni alla gente, che la intona nelle piazze, al battito delle mani, allo strimpellare di una chitarra, che la canta stonata, gridata, non importa. Ognuno, con Bella ciao, proclama la propria battaglia.

C’è quella degli Indignados di ogni angolo di mondo che la cantano per affermare diritti di uguaglianza, partecipazione, annullamento del potere delle banche e delle multinazionali.

C’è quella che si canta in chiesa, dopo la santa messa di Natale celebrata da Don Gallo, nel 2012,

o appena fuori, sul sagrato, per salutare Franca Rame nel giorno del suo funerale.

C’è quella del giugno 2011, dei giovani del sit-in Gençler Meydana che cantavano la loroBella ciao in turco in Taksim Meydanı a Istanbul.

Una protesta che cominciava e che continuerà nelle manifestazioni contro il premier turco Erdoğan, nella Piazza Taksim, a ricordo delle vittime del Parco Gezi uccise da un governo che, con un uso sproporzionato della forza, reprimeva un movimento pacifico.

Da qui il dissenso esploderà oltre i confini nazionali, con manifestazioni contro Erdoğan nei paesi di tutto il mondo. Il 12 luglio 2013, una sera, a Istanbul nella piazza di Taksim, con l’accompagnamento di un pianoforte, ancora si canta Bella ciao.

C’è quella del popolo greco che si emoziona dopo la vittoria, nel gennaio 2015, di Alexis Tsipras e del movimento di sinistra Syriza: la canta e la balla al ritmo della versione irlandese dei Modena City Ramblers perché la musica, proprio, non ha confini.

C’è quella dell’attore Christophe Aleveque che, invocando la lotta a ogni forma di terrorismo, politico o religioso, la canta durante le commemorazioni funebri delle vittime della strage avvenuta nel settimanale satirico francese Charlie Hebdo.

E poi, chissà quanti altri nel mondo stanno dando voce alle loro battaglie attraverso le parole di Bella ciao. A distanza di un’infinità di anni, di una storia sprofondata nel passato di un mondo arcaico e popolare, ci racconta di oggi, di cosa succede nel mondo del terzo millennio. Di come il canto rappresenti ancora, fortemente, uno strumento potentissimo di espressione collettiva e di partecipazione alla vita sociale e politica. Ci esorta a essere tutti partigiani, ognuno a sostenere una causa, personale o comunitaria. Una causa che stia dalla parte della libertà, della democrazia, della solidarietà, della lotta a ogni dittatura. Pronta a rinnovarsi nel futuro. Perché Bella ciao di cose da dire ne avrà ancora sicuramente tante.

Che la si canti, quindi. Intonati o stonati, in coro o da soli, con accompagnamento musicale oppure no, non importa. Ciò che conta è farlo. E così, dunque, anche chi scrive.

Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli

 
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Veloce come il vento

Post n°13148 pubblicato il 26 Aprile 2016 da Ladridicinema
 

Il cinema italiano dopo tanti anni ha deciso di rinnovarsi, cambiando in qualche modo stile e storie e riscoprendo i regionalismi sempre all'interno di un mondo ormai globale. Il film Matteo Rovere, Veloce come il vento; rientra in questo contesto proponendo un'apertura a un genere diverso non molto presente nel cinema italiano, fatto però in maniera realistica perchè le macchine che sfrecciano, lo fanno per davvero. Veloce come il vento è un film che ha fatto dell’italianità la propria forza, ed ha dalla sua l'ottima interpretazione di quelli che molti già hanno definito la Jennifer Lawrence italiana, Matilda De Angelis. Veloce come il vento propone un insieme di adrenaliniche sequenze d'azione ad alta velocità, ambientate non solo sui circuiti delle gare, ma anche in centri abitati, e analisi emotiva dei protagonisti, mostrati con problemi privati e pubblici da superare mentre tutto sembra muoversi ad altissima velocità, dentro e fuori dall'abitacolo. Forse solo il finale e la colonna sonora "americanizzano" un pò il tutto, ma per il resto finalmente assistiamo a storie diverse....

 
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Game of Thrones 6x01: Nuovo leak con altre tre immagini e la sinossi completa da melty

Post n°13147 pubblicato il 26 Aprile 2016 da Ladridicinema
 

 

 

Tre nuove immagini e la sinossi completa di Game of Thrones 6x01 sono state leakate

Sono state leakate e rese disponibili on line tre immagini e la sinossi completa della 6x01 di Game of Thrones che sembrerebbero originali, guardale su melty!

Nella giornata di ieri sono state diffuse in rete delle terribili immagini leakate con al centro i protagonisti di Dorne (non vi ripeteremo chi ma potete scoprirlo cliccando qui al link), ma si va di male in peggio quando si parla della sicurezza diGame of Thrones. Circolano in rete altre tre immagini, sicuramente meno tragiche ma altrettanto spoilerose e che aprono scenari nuovi ed inquietanti, specie per quanto riguarda una delle protagoniste più attese della sesta stagione. Una delle immagini invita a riflettere sul passato di Lady Melisandre e ce la mostra come mai è stato fatto prima d’ora. Vi invitiamo a fermarvi con la lettura se non volete sapere il significato che c’è dietro al titolo “The Red Woman” e se non volete leggere la sinossi completa con tutto ciò che accadrà.

Il vero  aspetto di MelisandreIl vero aspetto di MelisandreGame of Thrones 6 - Brienne incontra SansaGame of Thrones 6 - Tyrion e Varys guardano la flotta bruciare

La sinossi del primo episodio è semplicemente incredibile. Si inizia con un focus sul castello nero, in particolare sul corpo senza vita di Jon Snow che viene portato da Davos e da alcuni confratelli in una stanza sicura mentre Olly e Thorne si compiacciono di ciò che hanno fatto. La seconda trama riguarda Ramsay Boltonchino sul corpo di Miranda che le promette vendetta per ciò che le è stato fatto, mentre subito dopo arriva il padre Roose che si complimenta per la vittoria con il sadico figlio e gli chiede chi sia stato a uccidere Stannis Baratheon (quindi altro super spoiler). La scena successiva riguarda la fuga di Sansa e Theon, con Brienne e Pod che li raggiungono salvandoli dai cani. La scena successiva mostra l’arrivo ad Approdo del Re di Jaime (guarda lo sneak peak con lui e l'Alto Passero) con il corpo di Myrcella e i suoi propositi di vendetta con Cersei. Dorne viene cancellata in un colpo di spugna dato che vengono mostrati l’omicidio di Doran da parte di Ellaria Sand e di Trystane per mano delle Serpi delle Sabbie. A Meereen la situazione è drammatica con la flotta di Daenerys che brucia davanti agli occhi di Tyrion Lannister e Varys. Nel frattempo Jorah e Daario trovano l’anello della madre dei draghi, che è diretta verso Vaes Dothrak. Arya prosegue da cieca a Braavos il suo addestramento, ma è il finale ad essere sconvolgente con Thorne che prova a contrattare con Davos, che per tutta risposta dice a dei confratelli fedeli a Jon Snow che avranno bisogno dell’aiuto di Melisandre, che si mostra al cavaliere delle cipolle nuda, rugosa e vecchia senza il medaglione che la mantiene giovane e bella.

 
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Cinema e resistenza da nientepopcorn.it

Post n°13146 pubblicato il 25 Aprile 2016 da Ladridicinema
 
Tag: news, STORIA

Il 25 aprile 1945 le città di Milano e Torino vennero liberate dall’occupazione nazista: anche se il resto del Settentrione d’Italia venne affrancato dal controllo tedesco solo nelle settimane successive, questa data viene unanimemente riconosciuta come il termine del controllo nazista sul nostro Paese e coincide con la fine del Ventennio fascista.
A partire dagli anni immediatamente successivi all’evento, la Guerra di Liberazione, condotta dalle brigate partigiane resistenti (sovente supportate dalle popolazioni occupate e dai collaboratori antifascisti) e dagli Alleati, insieme ad alcune particelle fuoriuscite dall’Esercito italiano, è stata prolifica materia di speculazione all’interno del dibattito cinematografico.

Se, da un lato, la pulsione documentaristica si è ben conciliata con il filone narrativo ed estetico neorealista senza preoccuparsi eccessivamente di scandagliare cause ed effetti della questione, preferendo a tale approccio una pur sincera e riuscita messinscena del dramma (Roma città aperta di Roberto Rossellini, 1945), dall’altro si è sviluppato un fronte analiticoche ha tentato di veicolare attraverso il racconto le riflessioni indotte dai fatti occorsi durante il periodo della Resistenza, tentando di sottoporre al pubblico questioni morali che, ancora oggi, vista la loro ambiguità, si prestano ad essere equivocate (Il sospetto di Francesco Maselli, 1975; Il terrorista di Gianfranco De Bosio, 1963; Una vita difficile di Dino Risi, 1961; Legge di guerra di Bruno Paolinelli, 1961).

  • Roma, Città Aperta
  • Il sospetto
  • Il terrorista
  • Una vita difficile
  • Legge di guerra

Il dibattito critico sorto nel periodo immediatamente successivo alla fine della Guerra di Liberazione (o, perfino, durante lo svolgimento della stessa) ha visto contrapporsi gli autori che tentavano di indagare le vicende storiche sfruttando le tensioni ideologiche ancora palpitanti nei fatti di quei giorni (Achtung! Banditi! di Carlo Lizzani, 1951) ad altri che, in maniera più o meno cosciente, hanno affrontato la materia “dal basso”, operando commistioni di genere, tra dramma e commedia (Un giorno da leoni di Nanni Loy, 1961) e tra dramma e racconto sentimentale (Estate violenta di Valerio Zurlino,1959; Un giorno nella vita di Alessandro Blasetti, 1946; Due lettere anonime di Mario Camerini, 1945). Benché sia diffusa e condivisa da più parti l’opinione che la cosiddetta “commedia all’italiana” sia legittima discendente del Neorealismo e sia in qualche modo da esso giustificata, trovando felici e riusciti esempi pure affrontando questo argomento, in questo frangente il bozzettismo in cui spesso il cinema nostrano è scivolato, nel tentativo di aggirare con tono qualunquista gli atteggiamenti ambigui sviluppatisi in seno alla società italiana nel periodo nazifascista ha urtato la sensibilità, non solo storica, di molti (Il federale di Luciano Salce, 1961). L’episodio tratto da I Mostri di Dino Risi (1963), intitolato Scenda l’oblio, a questo proposito, è una riuscita e quantomai sulfurea critica al rischio di banalizzazione in cui l’argomento ha rischiato di sprofondare, incorrendo sia nello straniamento morale che nell’assuefazione al tema da parte delle platee.

  • Achtung! Banditi!
  • Un giorno da leoni
  • Estate violenta
  • Un giorno nella vita
  • Il federale

A fungere da trait d’union tra i due approcci, aventi ad ogni modo il comune obiettivo di istituzionalizzare in forma filmica le responsabilità strutturali della vicenda storica ed il destino delle popolazioni coinvolte, vi sono le storie di stampo prettamente memorialistico, le rievocazioni, che, in qualche maniera, rappresentano anche lo sforzo di comprendere e di spiegare più aspetti della vicenda della Resistenza attraverso un registro più immediato, quasi empatico (I sette Fratelli Cervi di Gianni Puccini, 1968; L’uomo che verrà di Giorgio Diritti, 2009; Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy, 1962; La notte di San Lorenzo dei Fratelli Taviani, 1982).

  • I sette Fratelli Cervi
  • L'uomo che verrà
  • Le quattro giornate di Napoli
  • La notte di San Lorenzo
  • Il generale Della Rovere

Il repertorio di titoli che vi presentiamo sull’argomento non pretende di essere esaustivo e, come avrete occasione di verificare, non annovera alcune tra le pellicole più note che, da tempo e a pieno titolo, rientrano nel filone dedicato, ma ci auspichiamo che questa lista possa rappresentare un veicolo introduttivo utile a ricerche personali di più ampio respiro sul soggetto.
Dal punto di vista tematico, il punto di riferimento esclusivo è la Resistenza in Italia e nel panorama del cinema italiano: ciò ha comportato l’esclusione di film stranieri ambientati nell’Italia resistenziale (Maschere e pugnali di Fritz Lang, per esempio, 1946), di titoli stranieri che abbiano affrontato il discorso sulla Resistenza in altri contesti nazionali (tra i tanti, L’infanzia di Ivan di Andrej Tarkovskij, 1962; Vogliamo vivere! di Ernst Lubitsch, 1942) e di pellicole italiane che hanno trattato l’argomento, ambientandolo in altri Paesi (Kapò di Pontecorvo, 1959). Abbiamo deciso di escludere anche Salò di Pasolini (che, pure, ha contribuito in veste di attore e di sceneggiatore ad alcuni film dedicati all’argomento), in quanto “metafora mortuaria delle pulsioni autodistruttive collocate fuori dalla dialettica resistenziale e della Storia” (Aldo Viganò, Mauro Manciotti, 1995).

  • Il gobbo
  • I mostri
  • L'agnese va a morire
  • Due lettere anonime
  • La lunga notte del '43
 
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Post n°13145 pubblicato il 25 Aprile 2016 da Ladridicinema

 
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Buon 25 aprile a tutti i Resistenti da contropiano

Post n°13144 pubblicato il 25 Aprile 2016 da Ladridicinema

partigiani volante

I Resistenti hanno fatto la storia, cambiando in meglio le sorti dell’umanità, in ogni angolo del mondo. Buon 25 Aprile a tutti i Resistenti. Qui di seguito il loro Manifesto:

Noi Resistenti abbiamo cominciato presto a guardare in faccia il nostro vero nemico. Eravamo già attivi nella resistenza spagnola che mise in fuga i mamelucchi di Murat e fece impazzire i generali di Napoleone. Ci riconoscerete dipinti da Goya ne “La fucilazione alla montagna del Principe Pio” e nella urla di gioia che accompagnarono la fuga dei francesi nel 1813. Nasce da qui l’onda lunga che ha portato alla Repubblica del ’36 e alla resistenza antifranchista fino ai nostri giorni.

Ci siamo aperti la strada con le armi in pugno insieme a Garibaldi, mentre cadeva la Repubblica romana ed Antonio Brunetti – Ciceruacchio per il suo popolo – insieme al figlio Lorenzo cadeva sotto il plotone di esecuzione. Ma, come fece Gasparazzo contadino indomito, non ci siamo fidati dei garibaldini di Nino Bixio che in Sicilia fucilarono la nostra gente a Bronte, ed insieme a Gasparazzo ci siamo dati alla macchia rendendo per anni la vita difficile ai piemontesi, ai nuovi padroni e ai proprietari terrieri.

A metà dell’ottocento ebbero tanto paura delle nostre barricate che il prefetto Haussman dovette rifare Parigi da capo a piedi. Sventrarono i vicoli e costruirono i grandi boulevard come “strade di una caserma opportunamente ampliata” perché i padroni temevano di incontrare in strade troppo strette i Resistenti come Charles Delescluze o Flourens. Venti anni dopo le barricate infiammarono di nuovo la Parigi della Comune e noi Resistenti fummo conosciuti come “Communards”. I soldati del gen. Lacombe furono mandati contro di noi a Montmartre, ma si rifiutarono di sparare sul popolo ed alla fine rivolsero i fucili contro il generale stesso, sono formidabili Resistenti coloro che sanno comprendere chi è il vero nemico. Ci scatenarono contro altri soldati e i cannoni messi a disposizione dai prussiani, ci fucilarono a migliaia o ci deportarono alla Cayenna. Eppure, come disse l’uomo di Treviri – la testa migliore degli ultimi due secoli – “dopo la Pentecoste del 1871 non ci può essere né pace né tregua tra gli operai francesi e gli appropriatori del prodotto del loro lavoro”. Capite adesso perché lo sciopero dei lavoratori in Francia andò così bene anche nel 1995?

Ma noi Resistenti non siamo e non eravamo solo sulle barricate e nelle officine delle grandi metropoli. Nascevamo e crescevamo anche nelle nuove colonie di quello che diventerà l’imperialismo moderno. Eravamo nel deserto algerino e sui Monti dell’Atlante con Abd el Kader che tenne alla larga i turchi e umiliò per anni i legionari del generale francese Bugeaud.
Eravamo nascosti nel pubblico e ci tormentavamo le mani, impotenti in quella occasione, quando gli invasori italiani, nell’ottobre del 1912, fucilarono a Tripoli l’arabo Husein. Ci vollero tre scariche della fucileria del plotone d’esecuzione per vederlo cadere a terra. Husein e i suoi Resistenti avevano fatto impazzire i militari italiani nelle uadi o sulle strade carovaniere. Per rabbia e per rappresaglia gli italiani fucilarono centinaia di persone e ne deportarono 3.053 nelle isole Tremiti, a Ustica, a Favignana, a Ponza e a Gaeta.
“Non ci inganna che si dica un’epoca di progresso. Quel che dicono è invero la peggiore delle menzogne” tuonavano i versi del poeta arabo Macruf ar Rusufi ” Non li vedi tra l’Egitto e la Tunisia violare con stragi e massacri il sacro suolo dell’Islam? E non sia addossata la colpa ai soli italiani ma tutto l’occidente sia considerato colpevole”.
Nelle colonie pensavano di aver vinto, legando i sepoys alle bocche dei cannoni e facendo fuoco come fecero gli inglesi in India o fucilando e impiccandoci a decine come fecero gli italiani in Libia. Ma gli arabi hanno un cuore indomito e venti anni dopo il Leone del deserto, Omar Al Muktar tornò a seminare il panico tra i soldati e le camicie nere che occupavano la Libia. Il generale fascista Graziani, quello che aveva massacrato con i gas gli etiopi, fece impiccare Omar Al Muktar. Ma il suo fantasma inquieta così tanto gli eredi di Graziani da impedire che in Italia si possa vedere il film che parla della sua storia. Fanno paura anche da morti i Resistenti!!!

Mentre il capitalismo si annunciava con i mercanti, noi Resistenti eravamo già dovunque e da tempo. Avevamo viaggiato sulle loro navi con le catene ai piedi e ai polsi. A cominciare la resistenza furono proprio gli schiavi neri deportati in Brasile che fondarono la loro repubblica a Quilombo e resistettero fino al 1697 contro i colonialisti portoghesi. Cento anni dopo, i nipoti di quegli schiavi, diventati creoli o rimasti neri come i loro antenati, si ribellarono a Bahia, la disinibita città degli incanti e del candomblé cantata dalle pagine di Jorge Amado. Ma eravamo anche più a Nord, eravamo nella selva e sulle Ande con la resistenza di Tupac Amaru. Gli spagnoli lo hanno squartato con i cavalli per smembrarne il corpo ma duecento anni dopo il suo nome ha fatto tremare i governanti corrotti di Lima e Montevideo chiamando alla lotta nella selva e nelle città.
Eravamo a cavalcare al fianco di Artigas nelle grandi pianure della Banda Oriental ed eravamo al fianco del creolo Simon Bolivàr tra selve e paludi per gridare a schiavi, creoli, indigeni e popoli che volevamo una sola nazione, “la Nuestra America”. E potevate vederci insieme a José, Antonio e Felipe, senza scarpe e senza saper leggere quando a Morelos Emiliano Zapata lesse il programma che scosse le montagne e mise i brividi ai latifondisti. Tante volte abbiamo resistito, accerchiati dai rurales e dai federales, tante volte li abbiamo umiliati trasformando le sconfitte in vittorie. E ci avete visto anche sessanta anni dopo. Eravamo di nuovo là, nel Guerrero, a Oaxaca, nei Loxichas a fare scudo a Lucio Gutierrez, vendicando con la coerenza tra parole e fatti gli studenti massacrati a Città del Messico o il lento genocidio di indios e campesinos. E venti anni più tardi eravamo tra quelli che dopo il massacro di Aguas Blancas giurarono di fargliela pagare agli assassini.
Eravamo in Bolivia con l’acqua fino alla cintura al guado del Yeso quando l’imboscata dei militari uccise sette di noi tra cui Tamara Burke “Tania”. Diciotto giorni dopo nel canalone di “El Yuro” veniva ferito e poi assassinato Ernesto Guevara detto “Il Che” insieme al Chino e a Willy. Quando due anni fa ci siamo rivoltati a Cochabamba contro la privatizzazione dell’acqua, avevano la sua immagine sulle nostre bandiere, la stessa immagine e le stesse bandiere che sventolano sulle terre occupate del Brasile dei Sem Terra, nelle zone liberate dalla FARC in Colombia tra i piqueteros in Argentina. I militari, gli jacuncos o quei perros degli “aucisti”, sentono un brivido lungo la schiena quando invece di indios e campesinos impauriti si trovano di fronte i Resistenti.

Ci avrete visto anche più a Nord, ma non ci avete riconosciuto. Eravamo sulle sponde del Rosebud ed avevamo il viso pitturato con i colori di guerra quando insieme al capo Gall abbiamo difeso i teepee degli Hunkpapa e dei Santee dai soldati in giacca blu del colonnello Reno. Li abbiamo battuti e messi in fuga nel giugno del 1876 permettendo così alle altre tribù di sconfiggere il generale Custer a Little Big Horn. Nelle riserve o nella cella di Leonard Peltier ancora si racconta della nostra resistenza.
Ed eravamo ben presenti tra i siderugici dello sciopero di Homestead quando furono messi in fuga gli agenti assoldati dall’agenzia Pinkerton e i padroni dell’acciaio scoprirono che gli immigrati, diventati operai, sapevano unirsi e tenere duro.
E quasi settanta anni dopo i poliziotti bianchi impallidirono quando i nostri fratelli neri opposero resistenza nel ghetto di Wyatt o misero a soqquadro il tribunale di Soledad e le celle di Attica e S. Quintino. George, Dramgo e Jonathan Jackson sono stati un incubo per l’America dei Wasp, bianchi, anglosassoni e protestanti, di conseguenza….razzisti. Mumia Abu Jamal é ancora vivo perché i Resistenti non mollano tanto facilmente, hanno la pelle dura e sanno guardare ben oltre le sbarre della loro cella.partigiani volante

Ma le pagine più belle della nostra storia di Resistenti le abbiamo scritte nel cuore dell’Europa messa a ferro e fuoco dal nazifascismo. Le abbiamo scritte tra le macerie della Fabbrica di Trattori a Stalingrado. “I nazisti, non potendo prenderci vivi volevano ridurci in cenere” ha scritto Aleksej Ockin il più giovane di noi. Insieme a lui ed a noi c’erano Stepan Kukhta e il vecchio Pivoravov veterano cinquantenne. Li abbiamo tenuti in scacco per mesi e mesi e alla fine li abbiamo battuti. La nostra resistenza diede coraggio a tutti gli altri e accese il fuoco che portò le nostre bandiere a sventolare fin sopra il tetto del Reichstag di Berlino. Eravamo invincibili, eravamo gli eredi di Kamo, che fece impazzire la polizia zarista e fornì quanto serviva alla rivoluzione dell’Ottobre. “Il mio insostituibile Kamo” diceva Ulianov preparando il primo assalto al cielo.
Ma eravamo anche a Varsavia, nascosti dopo aver esaurito le munizioni nelle fogne e nelle cantine del ghetto. Eravamo anche lì, insieme a Emmanuel Ringelbaum e a Mordechai Anielewicz che si suicidò per non arrendersi ai nazisti che stavano rastrellando il ghetto in rivolta. Resistenti per sopravvivere alla deportazione e ai campi di concentramento ma anche per riscattare la vergogna dei collaborazionisti dello Judenrat.
Ma eravamo anche nel cuore della Jugoslavia quando sulla Neretva abbiamo umiliato le armate dei nazisti, dei fascisti e degli ustascia croati mandate ad annientarci. Ivo Lola Ribar hanno dovuto ucciderlo e così Joakim Rakovac, ma i Resistenti jugoslavi dimostrarono ai nemici e agli amici che sapevano farcela da soli.
Per anni serbi, croati, sloveni, bosniaci hanno saputo combattere fianco a fianco, per anni abbiamo sfidato la storia tenendo insieme un paese che volevano lacerato. Eravamo pronti anche alla fine del secolo scorso a resistere contro i contingenti inviati dalla NATO ma i dirigenti scelsero altre strade, scelsero la strada che porta in occidente, la stessa che ha mandato in frantumi il nostro paese.

“Banditi” così ci chiamavano in Italia i nazisti e i fascisti ma la gente era con noi Resistenti. Erano con noi i ferrovieri e gli operai di Milano, Genova e Torino, erano con noi i popolani della periferia romana e i contadini emiliani o dell’Oltrepò pavese. C’è una canzone che narra di come ancora oggi i fascisti temano il fantasma del partigiano Dante Di Nanni che gira fischiettando per Milano. “Cammina frut” scriveva Amerigo che fu Resistente sul fronte difficile della frontiera con l’Est. E piano piano eravamo ovunque: Maquis in Francia, partigiani nella pianura belga e olandese o sulle montagne greche.
Tanti di noi si erano “fatti le ossa” nella guerra di Spagna, affrontando le armate franchiste, i legionari fascisti e i bombardamenti tedeschi. Con l’immagine delle rovine di Guernica negli occhi, abbiamo resistito oltre ogni limite, lasciati soli dalle democrazie europee che temevano il nazifascismo ma temevano ancora di più la rivoluzione popolare e l’onda lunga dell’ottobre sovietico. Quando finì la guerra non eravamo tutti convinti che fosse finita veramente. In Emilia-Romagna – come dice Vitaliano che fu partigiano e vietcong – non consentimmo ai fascisti di cavaresela a buon mercato e in Grecia resistemmo con le armi in pugno contro gli inglesi e gli americani che ci volevano, noi che avevamo combattuto contro i tedeschi e gli italiani, servi di un nuovo padrone. I Resistenti di Euskadi non considerano ancora chiusa la partita con gli eredi del franchismo in Spagna. Vi meravigliate ancora perchè in Italia, in Spagna e in Grecia ci sono ancora i movimenti di lotta più forti e decisi d’Europa?

Ma noi Resistenti ci siamo diffusi in tutto il mondo. Eravamo Umkomto We Sizwe, la Lancia della Nazione che i negri sudafricani hanno impugnato per decenni contro il regime razzista, siamo stati i Mau Mau e i fratelli di Lumumba, abbiamo saputo essere poeti come Amilcare Cabral, colpendo, subendo e vincendo il dominio coloniale degli inglesi, dei portoghesi e dei belgi. Ce l’hanno fatta pagare lasciandoci un continente devastato dalle epidemie, dalla fame, dai saccheggi delle nostre risorse, ma nelle terre dell’Africa siamo arrivati dopo, ci prenderemo tutto il tempo che ci serve e poi ci riprenderemo tutto ciò che é nostro, a cominciare dalla dignità.

E poi avete cominciati a vederci ovunque, noi Resistenti. L’arrivo della televisione ci ha mostrato come “barbudos” a Cuba, con la kefija dei feddayn in Palestina e in Libano, piccoli e veloci vietcong contro i giganteschi marines, il loro napalm e i loro B 52 nelle giungle del Vietnam. L’immagine del piccolo Truong che scorta prigioniero un marines grande come una montagna ha tormentato i sonni degli uomini della Casa Bianca per decenni. I Resistenti non hanno mai molte cose a loro disposizione, ma per noi, come dice Truong Son “il poco diviene molto, la debolezza si trasforma in forza e un vantaggio si moltiplica per dieci”.
Per cancellare questa immagine sono quindici anni che gli americani scatenano guerre contro avversari immensamente più deboli e vincono guerre facili.
Ad Al Karameh, nel 1968, eravamo molti di meno e peggio armati dei soldati israeliani ma li abbiamo sconfitti perchè noi Resistenti siamo fortemente motivati e loro non lo erano. Non lo erano neanche gli eserciti arabi messi in piedi da governi indecisi e spesso corrotti che riuscirono perdere due guerre in sette anni.
A Beirut, ad esempio, nonostante le cannonate della corazzata americana New Jersey abbiamo resistito e abbiamo cacciato via prima gli israeliani e poi gli americani, i francesi e gli italiani e poi lo hanno fatto quelli di noi che erano a Mogadiscio. In Nicaragua eravamo giovanissimi e stavamo mangiando carne di scimmia quando abbattemmo un elicottero e prendemmo prigioniero il consigliere della CIA Hasenfus rivelando al mondo l’aggressione statunitense contro un piccolo e coraggioso paese.

E poi sono arrivate le nuove generazioni di Resistenti, come quelli che hanno cacciato dal Libano del sud gli israeliani o che hanno animato la prima e la seconda Intifada. Le loro pietre pesano come macigni sull’occupazione israeliana e sulla cattiva coscienza dell’occidente.

C’erano dei giovani e giovanissimi Resistenti nelle giornate di Napoli e di Genova, uno di essi, Carlo Giuliani, è caduto ma il suo volto da ragazzo si è moltiplicato su quelli di migliaia di ragazzi come lui, nuovi Resistenti che hanno bisogno di sapere, di conoscere, di mettere fine agli inganni e alle rimozioni che li circondano, che sfidano i potenti con la determinazione di Rachel Corrie.
Infine, ed è straordinario, sono sorti dei Resistenti anche in Iraq. Hanno sorpreso molti, soprattutto i loro nemici. Il vecchio Pietro ha riscattato in dieci righe la sua vita di tentennamenti scrivendo che la “Resistenza contro l’invasione è la prima condizione per la pace”. I Resistenti sono ormai dovunque, sono diffusi in questo mondo reso più piccolo dalla globalizzazione e più insicuro dall’imperialismo e dalla guerra. E’ arrivato il momento di unirli, di dargli una identità comune e condivisa, di riconoscerli e farli riconoscere a chi – da Bogotà a Manila, da Nablus a Salonicco, da Seattle a Durban – si è rimesso in marcia per rendere possibile un altro mondo.

Fin quando ha agito la legalità formale delle democrazie è stato possibile disobbedire, ma alla guerra e all’imperialismo occorre resistere. Improvvisare e disobbedire non basta più, oltre ai corpi serve la testa e una visione aggiornata della nostra storia.

Alla democrazia fondata sulle bombe noi opponiamo il regno della libertà.

All’idea di libertà fondata sull’homo economicus noi proponiamo all’umanità il passo avanti della liberazione.

Per noi, il poco sta diventando molto, la debolezza si sta trasformando in forza, un vantaggio si sta moltiplicando per dieci.

L’epoca delle Resistenze è cominciata.

Radio Città Aperta, marzo 2003

 
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Thoros di Myr sarà in Trono di Spade 6: ecco perché il suo ritorno potrebbe significare molto da optimalia.com

Post n°13143 pubblicato il 20 Aprile 2016 da Ladridicinema
 

L'attore Paul Kaye, che in Trono di Spade ha interpretato Thoros di Myr, tornerà nella sesta stagione: il suo ritorno è potenzialmente molto importante

Le sorprese sulla sesta stagione di Trono di Spade non sono ancora finite: a una sola settimana dall’attesissima première, è stato confermato che nel cast dei nuovi episodi sarà presente anche l’attore Paul Kaye, già apparso nella terza stagione.

Il nome potrebbe non dire molto, neanche ai veterani della serie: dietro però vi si nascondeThoros di Myr, un personaggio la cui presenza nella terza stagione potrebbe avere un enorme significato a livello narrativo.

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Per quanto la sesta stagione, e soprattutto Jon Snow, senta il bisogno di un prete rosso che sappia come riportare indietro la gente dal regno dei morti, non è per questo che la presenza di Thoros di Myr potrebbe davvero fare la differenza in Trono di Spade 6.

Se non avete letto i libri e temete un potenziale spoiler, smettete pure di leggere qui. Se ben ricordate, Thoros era uno dei membri della Fratellanza Senza Vessilli, un gruppo di guerrieri indipendenti che nella terza stagione aveva fatto prigionieri Arya, Gendry e Frittella. La Fratellanza ha un enorme impatto sui romanzi, dal momento che tra coloro che vengono resuscitati da Thoros di Myr c’è Lady Catelyn Stark, trovata dal gruppo con la gola sgozzata subito dopo le Nozze Rosse.

Lady Stark, ora nota come Lady Cuordipietra, diventa il capo della Fratellanza Senza Vessilli, e ne guida i membri cercando vendetta contro coloro che l’hanno tradita. La sua ira si scatena quando incontra Brienne di Tarth, colpevole di non aver protetto adeguatamente le sue figlie: l’ultima pagina della storyline sua e di Podrick li vuole appesi e pronti per l’impiccagione.

Che la presenza di Thoros nella sesta stagione di Trono di Spade implichi la presenza di tutta la Fratellanza Senza Vessilli e, di conseguenza, di Lady Cuordipietra? Certo, se Michelle Fairleyfosse tornata nel cast il clamore sarebbe stato enorme: e se in qualche modo fossero riusciti a tenere segreto il suo rientro, o ancora, se per interpretare l’alter ego cadavere di Lady Stark (che è muto, e non può parlare) fosse stata scelta un’altra attrice?

Mentre noi lettori di Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco siamo qui a sognare, l’attesa per la première di Trono di Spade si riduce continuamente: mancano solo sei giorni al debutto della serie su Sky Atlantic in versione sottotitolata.

 
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L’abbraccio con la madre, l’alter ego juventino: quando il set è una seduta di psicanalisi da la stampa

Post n°13142 pubblicato il 20 Aprile 2016 da Ladridicinema
 

“Fai bei sogni”, diretto da Marco Bellocchio, sarà presentato al Festival di Cannes. L’autore del romanzo da cui è tratto aspetta il film con più curiosità che timore
ANSA

Valerio Mastandrea e Bérénice Bejo, i protagonisti adulti di «Fai bei sogni»: il film diretto da Marco Bellocchio aprirà la Quinzaine des Réalisateurs, rassegna «alternativa» del Festival di Cannes

20/04/2016
MASSIMO GRAMELLINI
All’inizio avrei preferito che «Fai bei sogni» non diventasse un film. Meglio una serie tv per famiglie. Meglio ancora: niente. Poi è arrivato l’invito di Marco Bellocchio a passare una mattinata nel suo studio. Sul tavolo c’era una copia del libro, gonfia di segni e sottolineature. Bellocchio mi disse di avere contato il numero di bugie pronunciate dai personaggi nel corso della storia: ventitré, se ricordo bene. In un immediato e clamoroso ribaltamento dei ruoli cominciò a intervistarmi. Solo che lui non prendeva appunti con le parole, ma coi disegni. In quel primo incontro sembrò molto incuriosito dalla figura del padre, forse la più cinematografica del romanzo: un uomo in apparenza gelido che alla fine rivela la sua umanità. Nel congedarmi disse: «Alla mia età si gira ogni film con il retropensiero che potrebbe essere l’ultimo. Non mi dispiacerebbe se il mio ultimo film fosse una storia come questa». 

 

Negirerà sicuramente molti altri, ma intanto quella frase aveva dissolto le mie difese. Non ancora le sue. Nei colloqui successivi manifestò un imbarazzo irriducibile all’idea di mettere in scena persone realmente esistite e, nel mio caso, esistenti tuttora. Questo pudore nello stravolgere i caratteri e urtare le mie memorie più care lo accompagnò durante l’intera fase della sceneggiatura, a cui non chiesi di partecipare.  

 

La storia mi usciva dalle orecchie: non ne potevo più di riviverla (se pazientate qualche riga, scoprirete cosa è successo sul set). E poi Bellocchio aveva una personalità troppo forte per poter anche solo supporre che si sarebbe limitato a una mera traduzione in immagini delle mie parole. Avrebbe imprestato al protagonista i suoi slanci e le sue paure. Era giusto che mi facessi da parte e che il film fosse Fai bei sogni di Bellocchio e basta.  

 

L’ho incontrato molte altre volte, una in compagnia di Guido Caprino, il leghista della serie tv 1992 che nel film interpreta mio padre. Dalle sue domande ho capito come lavorano i grandi attori. Cercano di scoprire il conflitto profondo che agita il loro personaggio, così da richiamarlo di continuo alle memoria durante la recitazione. Nel caso di mio padre era il senso di colpa di non essersi svegliato mentre mia madre si alzava dal letto per l’ultima volta. Non l’avevo scoperto scrivendo il libro. Me l’hanno tirato fuori Caprino e Bellocchio al ristorante. 

 

Valerio Mastandrea, il mio alter ego adulto, ha preferito non coinvolgermi nella costruzione del suo ruolo. Ho il sospetto che mi detesti perché una sera in cui era ospite a Che fuori tempo che fa sono entrato in camerino proprio quando fischiavano un rigore contro la sua Roma. Lui, in ginocchio davanti al televisore, mi ha rivolto parole quasi educate ma comunque piuttosto amare, che mai mi sarei aspettato da chi ha avuto l’onore di interpretare un tifoso della squadra più iellata del pianeta.  

 

Ma, a proposito di tifo, l’umiliazione maggiore è stata conoscere il mio alter ego bambino, Niccolò. Creatura deliziosa. L’ho trovato intento a imparare a memoria una formazione del Toro degli Anni 60 che avrebbe dovuto sciorinare nel film. «Immagino che questi nomi non ti dicano niente», ho esordito. «Essendo tu di Milano, conoscerai meglio la storia di Milan e Inter…».  

 

Il suo silenzio prolungato mi ha insospettito. È intervenuta la madre: «Vede, negli ultimi anni la Juve ha vinto tanto e allora Niccolò…». La verità mi si è stagliata davanti in tutta la sua drammatica ironia: l’attore che avrebbe dato un volto ai patemi della mia infanzia era un piccolo ma già vivacissimo juventino. La vita sa essere terribilmente dura, a volte. 

 

Il peggio è successo quando mi sono affacciato sul set. Avevano ricostruito l’appartamento dov’ero cresciuto, ovviamente più grande per potersi muovere con la macchina da presa. Bellocchio stava per girare una scena in cui mia madre guarda la neve fuori dalla finestra.  

 

L’attrice Barbara Ronchi, in vestaglia da notte, era talmente immedesimata nella parte che appena mi ha visto è corsa verso di me e mi ha abbracciato commossa. «Cavoli, sto abbracciando mia madre», ho biascicato, ed era una frase talmente stupida che prima mi è venuto da ridere e poi il magone.  

 

Il secondo ciak in programma quel giorno era quello in cui la madre, con il marito che la spia attraverso la porta socchiusa, si congeda definitivamente dal figlio rimboccandogli le coperte e sussurrando «Fai bei sogni». La scena primaria della mia esistenza: ho passato gli anni a immaginarmela e a disperarmi per non essermi svegliato mentre avveniva. L’ho rivista in un monitor, seduto accanto a Bellocchio. Ed è stata una seduta, anzi un convegno, di psicanalisi.  

 

Non sono più tornato sul set, avrete capito perché. E non ho ancora visto il film. Ma la curiosità sconfigge sempre lo spavento, dunque succederà. Magari a Cannes, mescolato ai colleghi della stampa e facendo finta che quello dentro lo schermo sia chiunque altro tranne me. 

 
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Un possibile spin-off del Trono di Spade? da spinoff

Post n°13141 pubblicato il 20 Aprile 2016 da Ladridicinema
 

 

19 APRILE 2016 by 

 

 

spin-off-il-trono-di-spadePer quanto nelle ultime settimane sia statasmentita la voce che uno spin-off del Trono di Spade, la serie cult prodotta da HBO, sia in fase di lavorazione, George R. R, Martin, l’autore della collana di romanzi bestseller da cui è tratta la serie televisiva, ha voluto dire la sua:

Certamente non manca il materiale,” avrebbe detto a questo proposito “[…] ci sono almeno otto milioni di storie nel Westeros e anche di più nell’Essos e nelle terre più oltre. Un intero mondo pieno di storie che attendono di essere raccontate… certo, se HBO ne è interessata.”

L’idea è nata dopo che è stato rivelato che la serie tv si concluderà tra soli 13 episodi. A proposito del soggetto di un possibile spin-off, l’autore delle Cronache del ghiaccio e del fuoco è stato ancora più preciso:

“Il seguito più naturale sarebbe un adattamento dei miei romanzi brevi contenuti in Tales of Dunk and Egg (i primi tre editi in Italia da Mondadori con il titolo de “il cavaliere dei sette regni” n.d.r.)Ciascuno di essi potrebbe diventare un film di circa due ore per la televisione; piuttosto che una serie settimanale continuativa, questo sarebbe il formato ideale.”

spin-off-trono-di-spadeI romanzi brevi di cui parla George R. R. Martin narrano delle avventure di un cavaliere errante, ser Duncan, e dell’ascesa di Aegon V della casa Targaryen, e sono ambientati circa novant’anni prima delle vicende delle Cronache del ghiaccio e del fuoco.

Ovviamente HBO al momento è troppo presa dalla produzione delle ultime stagioni per pensare alla possibilità di una serie di film ambientati nello stesso mondo. Ma, per quanto lo stesso Martin abbia ammesso che attualmente un sequel o un prequel del Trono di Spade non siano in programma, è evidente come abbia le idee ben chiare in proposito.

 
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GOT 6: la nuova stagione è basata sugli appunti di George R.R. Martin da skyatlantic

Post n°13140 pubblicato il 20 Aprile 2016 da Ladridicinema
 

19 aprile 2016
GOT 6: la nuova stagione è basata sugli appunti di George R.R. Martin
Il Trono di Spade è solo su Sky Atlantic

 

Se le prime cinque stagioni si basavano sui romanzi editi finora, con la sesta cambia tutto. Il fatto che Martin fosse indietro con la scrittura di The Winds of Winter (attualmente ancora senza una data d’uscita) non ha destato particolare stupore (diciamo che se lo scrittore americano è uno che ama fare le cose con calma, per usare un eufemismo!), dunque, si è lavorato non su un libro fatto e finito, ma su una serie di note e appunti che lo stesso Martin ha consegnato a Benioff e Weiss, per fare in modo che serie e romanzi vadano tutto sommato nella stessa direzione.

 

La domanda, però, sorge spontanea: esiste veramente il rischio che la serie da qui in poi possa spoilerare i romanzi? A rispondere sono stati proprio i due showrunner di GOT, che in un’intervista rilasciata a TVLinehanno tranquillizzato i fan:

 

La gente parla del fatto che i libri verranno spoilerati – e non è per niente vero. Molto di quello che stiamo facendo si distanzia dai libri a questo punto. E anche se ci saranno degli elementi chiave che saranno simili, noi non ne parleremo molto – e pensiamo che neanche George lo farà. La gente rimarrà molto sorpresa quando leggerà i libri dopo aver visto la serie. Sono divergenti sotto molti aspetti. [...] Ad un certo punto ci siamo resi conti che stavamo per superare i libri, e abbiamo scelto di vederla come una cosa grandiosa da entrambe le parti: c’è questo mondo straordinario che George ha creato e adesso ne esistono due diverse versioni, e non vediamo alcuna ragione che possa impedirvi di essere emozionati, sorpresi e costernati da entrambe queste versioni diverse di questo mondo.

 

Nulla di cui preoccuparsi, dunque!

 

 

La sesta stagione de Il Trono di Spade andrà in onda in esclusiva su Sky Atlantic a partire dal 25 aprile.

 
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ITALICUM, DUE FIRME PER BLOCCARE LA LEGGE CON UN REFERENDUM

Post n°13139 pubblicato il 20 Aprile 2016 da Ladridicinema

ITALICUM, DUE FIRME PER BLOCCARE LA LEGGE CON UN REFERENDUM, CONTRO LO STRAPOTERE DEL PARTITO UNICO

Documento che i promotori del “Comitato contro l’Italicum per la democrazia” lanciano in occasione della partenza della raccolta firme per il referendum contrario alla legge elettorale del 6 maggio 2015 n.52

Di Stefano Rodotà, Massimo Villone, Alfiero Grandi e Silvia Manderino

Adesso che la riforma elettorale (Italicum) è stata trasformata in legge (L. 6 maggio 2015 n. 52) il discorso sul sistema elettorale del nostro Paese non è chiuso. Per l’Italicum si è voluto procedere a tappe forzate, ricorrendo addirittura alla fiducia, come avvenne nel 1953 per la legge truffa, evidentemente per nascondere sotto l’asfalto del decisionismo governativo le scorie tossiche (per la democrazia) del nuovo sistema ed evitare ogni reale dibattito. E tuttavia, proprio com’è accaduto per il Porcellum, è l’insostenibilità costituzionale e politica del nuovo sistema che rende necessario riaprire il dibattito per far emergere le storture che devono essere corrette. La legge elettorale, lungi dal rappresentare un’asettica tecnica di selezione della rappresentanza, è il principale strumento attraverso il quale si realizza un ordinamento rappresentativo e viene data concreta attuazione al principio supremo posto dall’art. 1 della Costituzione che statuisce: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Orbene la Corte costituzionale, con una pronuncia storica è intervenuta nel campo del diritto elettorale, riconoscendo che anche questo terreno squisitamente politico deve essere coerente con i principi costituzionali e con diritti politici del cittadino. È da qui che bisogna partire per giudicare la sostenibilità del nuovo sistema elettorale.

La Corte costituzionale con la sentenza 1/2014 ha dichiarato incostituzionali due istituti della legge Calderoli:
1) Le liste bloccate, riconoscendo ai cittadini elettori il diritto di scegliersi i propri rappresentanti esprimendo (almeno) una preferenza
2) Il meccanismo che attribuiva alla minoranza “vincente” un premio di maggioranza senza soglia minima.

La Corte non ha contestato di per sé qualsiasi meccanismo correttivo dei voti espressi attraverso un premio di maggioranza, ma ha dichiarato costituzionalmente intollerabile che possa essere attribuito un premio di maggioranza “senza soglia” perché l’effetto sarebbe quello di produrre una distorsione enorme fra la volontà espressa dagli elettori e il risultato in seggi, determinando un vulnus intollerabile all’eguaglianza del voto e al principio stesso della sovranità popolare. Nessun sistema elettorale è in grado di assicurare una perfetta corrispondenza fra i voti espressi e i seggi conseguiti da ciascuna forza politica che partecipa all’agone elettorale. Questo però non consente di buttare a mare il principio espresso dall’art. 48 della Costituzione secondo cui il voto è libero e uguale, diretta conseguenza del principio di eguaglianza e di partecipazione espresso dall’art. 3.

La legge Calderoli aveva istituzionalizzato la diseguaglianza dei cittadini italiani nel voto, attraverso il meccanismo previsto dall’art. 83 che prevedeva la formazione di un “quoziente di maggioranza” e di un “quoziente di minoranza”. Nelle elezioni del 2013 il quoziente di maggioranza è stato di circa 29mila voti, mentre quello di minoranza è stato superiore a 81mila voti (cioè per eleggere un deputato nei partiti “premiati” sono stati sufficienti 29mila voti popolari, mentre per eleggere un deputato per tutti gli altri partiti sono occorsi più di 81mila voti popolari). Il rapporto fra i due quozienti è stato di 2,66. Basti pensare che il Pd con 8.646.457 voti (25,42%) ha ottenuto 292 seggi (pari al 47%) mentre il Movimento 5 stelle con 8.704.969 (25,56%) ha ottenuto 102 seggi (pari al 16,5%). La Consulta ha dichiarato incostituzionale il Porcellum proprio per evitare il ripetersi di una simile insostenibile distorsione fra la volontà espressa dal popolo italiano ed i risultati in termini di composizione della Camera rappresentativa. Orbene l’Italicum finge di adeguarsi alle prescrizioni della Corte sia per quanto riguarda le liste bloccate, sia per quanto riguarda il premio di maggioranza, ma in realtà si sbarazza dei paletti che la Consulta ha posto alla discrezionalità del legislatore, riesumando una versione peggiorata del Porcellum.

L’Italicum apparentemente abbandona il sistema delle liste bloccate (in cui i deputati sono eletti in base all’ordine di lista, senza che l’elettore possa mettervi becco), rendendo bloccati “soltanto” i capilista, mentre gli altri deputati vengono eletti sulla base delle preferenze. Però c’è un trucco. Vengono creati 100 collegi di dimensioni variabili da tre a sei seggi. Poiché difficilmente un partito elegge, in collegi così ridotti, più di un deputato, ecco che buona parte dei deputati non saranno scelti dagli elettori con il voto di preferenza ma saranno direttamente “nominati” dai capi dei partiti. Ma ancor maggiore è lo scostamento dalle prescrizioni della Consulta in tema di premio di maggioranza. Anche in questo versante l’Italicum finge di adeguarsi perché introduce una soglia minima al premio di maggioranza (40%), con ciò legittimando, peraltro, un premio di maggioranza notevolissimo (il 15%, pari a circa 90 seggi), equivalente a quello stabilito dalla legge truffa. Nella realtà quest’adeguamento viene rinnegato con un trucco. Alle elezioni del 1953, la coalizione governativa non raggiunse per pochi voti la soglia minima (50%) e il premio di maggioranza non scattò. Per evitare questo rischio il legislatore moderno ha risolto il problema, rendendo la soglia minima rimuovibile, attraverso l’istituto del ballottaggio su base nazionale fra le due liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti.

In questo modo l’Italicum non solo non abolisce il meccanismo del premio di maggioranza senza soglia censurato dalla Corte costituzionale, ma addirittura lo esalta perché attribuisce il premio a una unica lista, anziché alle coalizioni. È questo l’aspetto più preoccupante della nuova legge elettorale. L’Italicum smantella ogni possibile coalizione perché attribuisce il premio di maggioranza a una sola lista. Per legge viene attribuita la maggioranza politica e la guida del governo a un solo partito, a prescindere dalla volontà del popolo sovrano. In questo modo viene reintrodotto nel nostro Paese un sistema di governo basato sul partito unico. Per rendersi conto della gravità di questa svolta, basti pensare che dal 24 aprile del 1944 (secondo governo Badoglio) ad oggi si sono sempre e solo succeduti governi di coalizione, o quantomeno sostenuti da una maggioranza di coalizione, mentre un governo del partito unico in Italia è esistito soltanto nel ventennio fascista. Fu proprio la legge elettorale dell’epoca (legge Acerbo) che consentì l’avvento di un partito unico al governo, attribuendo nelle elezioni del 1924 una maggioranza garantita al “listone”. Poiché il sistema politico italiano non è bipolare, né tantomeno bipartitico il meccanismo elettorale congegnato è destinato a produrre naturalmente – soprattutto attraverso il ballottaggio – una fortissima distorsione fra la volontà espressa dal corpo elettorale e i seggi conseguiti dalle singole forze politiche, istituzionalizzando la diseguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto di voto.

Le due simulazioni che seguono rendono più chiari gli effetti perversi di questo sistema. Distribuzione diseguale dei seggi e diseguaglianza dei cittadini nel voto con l’Italicum.

Simulazione I
Si prenda una platea di 30.000.000 di voti.
Concorrono alla distribuzione dei seggi, avendo superato la soglia di sbarramento del 3%, n. 5 partiti.
Nessuno dei partiti concorrenti riesce a superare la soglia del 40% per cui si rende necessario il ballottaggio.
A seguito del ballottaggio l’ufficio centrale nazionale determina il quoziente di maggioranza e quello di minoranza e procede alla distribuzione dei seggi come raffigurato in tabella.

PartitoVoti ricevutiPercentualeSeggi
Lista n.17.500.00025%340
Lista n. 27.500.00025%93
Lista n. 37.490.00024,97%93
Lista n. 44.000.00013,33%49
Lista n. 53.510.00011,7%43
Quoziente di maggioranza7.500.000/340=

 

22.058

  
Quoziente di minoranza22.500.000/278=

 

80.935

  
Rapporto fra i 2 quozienti80.935/22.025=

 

3,67

  

N.B. Il voto del cittadino di maggioranza vale 3,67 volte in più del voto del cittadino di “minoranza”

Simulazione II
Si prenda una platea di 30.000.000 di voti.
Concorrono alla distribuzione dei seggi, avendo superato la soglia di sbarramento del 3%, n. 5 partiti.
Nessuno dei partiti concorrenti riesce a superare la soglia del 40% per cui si rende necessario il ballottaggio che vince la lista seconda classificata al primo turno. A seguito del ballottaggio l’ufficio centrale nazionale determina il quoziente di maggioranza e quello di minoranza e procede alla distribuzione dei seggi come raffigurato in tabella.

PartitoVoti ricevutiPercentualeSeggi
Lista n.110.000.00033,33%121
Lista n. 27.000.00023,33%340
Lista n. 36.000.00020,00%73
Lista n. 44.000.00013,33%48
Lista n. 53.000.00010,00%36
Quoziente di maggioranza7.000.000/340=

 

20.588

  
Quoziente di minoranza23.000.000/278=

 

82.733

  
Rapporto fra i 2 quozienti82.733/20.588=

 

4,01

  

N.B. il voto del cittadino di maggioranza vale 4,01 volte in più del voto del cittadino di “minoranza”

Queste semplici considerazioni dimostrano che l’Italicum è una legge insostenibile poiché aggredisce i fondamenti della democrazia repubblicana e ferisce uno dei principi che non può essere oggetto di revisione costituzionale: quello dell’eguaglianza dei cittadini.L’aspetto più preoccupante dell’Italicum è che attraverso questo percorso di manipolazione della rappresentanza viene cambiata profondamente la forma di governo e squilibrata ogni forma di contrappeso istituzionale poiché un solo partito – per legge – avrà in mano le chiavi del governo e della maggioranza parlamentare. Senza mediare con nessuno, potrà determinare l’elezione del presidente della Repubblica e attraverso di lui influire sulla composizione della Corte costituzionale, neutralizzandone la funzione di controllo. L’Italicum è una minaccia per la democrazia. Questa minaccia può essere disinnescata soltanto attraverso i due referendum abrogativi proposti dal Comitato per il No all’Italicum.

www.referendumitalicum.it

 
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Il 10 maggio un film rai su Felicia Impastato da casa memoria

Post n°13138 pubblicato il 20 Aprile 2016 da Ladridicinema
 

 

felicia009

Noi siederemo in prima fila perché, a dispetto degli indegni spettacoli che i media in alcuni casi ci offrono, riteniamo che siano le storie come quelle di Felicia a dover essere raccontate e conosciute

E’ intitolato “Felicia Impastato” il film per la tv che racconta la storia di Felicia. Andrà in onda su Rai 1 il 10 maggio, il giorno seguente le iniziative del 9 maggio dedicate alla memoria di Peppino, 38 anni dopo il suo assassinio per mano della mafia. 
La nostra frase ispiratrice è ormai da molto tempo “Con il coraggio e le idee di Peppino noi continuiamo”, lui e Felicia sono il nostro esempio, ci hanno insegnato valori che dobbiamo continuare a tramandare. Preservare la loro memoria e raccontare al mondo intero quello che è stato il loro impegno nella lotta alla mafia sono doveri dai quali non ci possiamo esimere. La storia di Felicia merita di essere raccontata e di essere conosciuta da tante madri e tanti figli.
Dopo la messa in onda dell’intervista di Salvatore Riina a ‘Porta a porta” in tutti noi c’è stato grande sconforto, ma – come scritto da Giovanni Impastato nella sua lettera indirizzata al direttore generale della Rai - “non permettere al pubblico di conoscere la storia di mia madre sarebbe come darla vinta a un’informazione malata di protagonismo che, pur di affermarsi, è pronta anche a calpestare il dolore dei parenti di tante vittime innocenti”.
Noi non la daremo vinta, non permetteremo a nessuno di calpestare il nostro dolore e quello di tanti altri.
E se un film su Felicia può servire a questo scopo noi non possiamo fare altro che sedere in prima fila insieme a tante altre persone che credono ancora che questa “guerra” possa essere vinta con il coraggio e la responsabilità.

Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato

 
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David di Donatello: miglior film a Genovese, ma Jeeg sbanca da ansa

Post n°13137 pubblicato il 20 Aprile 2016 da Ladridicinema
 

Il premio per il miglior regista è andato a Matteo Garrone, per 'Il racconto dei racconti - Tale of Tales'

Vince, un po' a sorpresa, un film con una idea forte e moderna come'Perfetti sconosciuti' di Paolo Genovese che, non a caso, conquista anche il premio per la migliore sceneggiatura. Ma a sbancare in questa 60/a edizione dei David è sicuramente un film fresco e surreal-fantasy come è 'Lo chiamavano Jeeg Robot', opera prima di Gabriele Mainetti che conquista non solo la statuetta come miglior regista esordiente, ma anche altre sei premi. Ovvero quelli andatia tutta la squadra degli attori protagonisti e non protagonisti: Claudio Santamaria e Ilenia Pastorelli e ancora, come non protagonisti, Luca Marinelli e Antonia Truppo.

Stesso risultato per 'Il racconto dei racconti-Tale of Tales', di Matteo Garrone che conquista la miglior regia e poi sei statuette tecniche: miglior fotografia, andato a Peter Suschitzky; scenografia a Dimitri Capuani e Alessia Anfuso; i costumi a Massimo Cantini Parrini, che dedica il premio a Ettore Scola. E ancora per Garrone miglior trucco e acconciatura e effetti digitali. Delusione sicuramente per Claudio Caligari che, nonostante le sedici candidature ottenute da 'Non essere cattivo', ottiene solo il premio per miglior fonico di presa diretta.

E ancora peggio va a Fuocoammare di Gianfranco Rosi, unico film in lizza con un tema forte come quello dell'emigrazione che dopo aver conquistato il Festival di Berlino con l'Orso d'oro nel proprio paese non si porta a casa nulla (aveva quattro candidature). Infine la musica è di Youth - La giovinezza di Paolo Sorrentinoche conquista miglior canzone e colonna sonora. E questo in una serata nel segno del rilancio del premio voluto da Sky e con un red carpet rinnovato e ricco e, infine, con la conduzione in prima serata del tonico e davvero divertente Alessandro Cattelan. Insomma alla 60/a edizione l'Oscar italiano rilancia e cerca di fare il miracolo: rendere meno noiosa la cerimonia dei premi. E ci riesce sia con gli esilaranti teatrini pre-cerimonia, tra Cattelan e Sorrentino, e poi appunto con una conduzione di un Cattelan in grande forma che si permette una battuta cult rivolta a Rondi: "Siate brevi - dice ai premiati - con i vostri commenti. Rondi ha 94 anni e vorrebbe arrivare a vedere il vincitore".

 
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David di Donatello 2016: tutti i vincitori!

Post n°13136 pubblicato il 20 Aprile 2016 da Ladridicinema
 

david-slide

 

A condurre la serata Alessandro Cattelan, con interventi anche di Francesco CastelnuovoGianni CanovaPif (con un omaggio a Ettore Scola) e di The Jackal. A presentare i premi stelle del calibro di Paola Cortellesi, Dante Ferretti, Stefano Accorsi, Christian De Sica, Nicola Piovani, Anna Foglietta, Valeria Golino, Francesco Pannofino, Vittorio Storaro, Michele Placido, Toni Servillo.

A vincere il premio come miglior film Perfetti Sconosciuti, premiato anche per la miglior sceneggiatura. Miglior regista a Matteo Garrone per Il Racconto dei Racconti, che ha ottenuto anche altri sei riconoscimenti tecnici. Ma il vero trionfatore della serata è stato Lo Chiamavano Jeeg Robot, vincitore di ben sette premi tra cui miglior attore, migliore attrice, miglior attore non protagonista, miglior produttore e miglior regista esordiente (questi ultimi a Gabriele Mainetti). Assegnati fuori dalla trasmissione principale i premi come miglior film straniero a Il Ponte delle Spie e miglior film europeo aSon of Saul.

In questa pagina trovate il commento di Gabriele Niola, mentre in questa pagina trovate il videocommento di Francesco Alò.

 

 

TUTTI I PREMIMiglior film
  • Fuocoammare, regia di Gianfranco Rosi
  • Il racconto dei racconti – Tale of Tales, regia di Matteo Garrone
  • Non essere cattivo, regia di Claudio Caligari
  • Perfetti sconosciuti, regia di Paolo Genovese
  • Youth – La giovinezza (Youth), regia di Paolo Sorrentino
Miglior regista
  • Gianfranco Rosi – Fuocoammare
  • Matteo Garrone – Il racconto dei racconti – Tale of Tales
  • Claudio Caligari – Non essere cattivo
  • Paolo Genovese – Perfetti sconosciuti
  • Paolo Sorrentino – Youth – La giovinezza (Youth)
Miglior regista esordiente
  • Carlo Lavagna – Arianna
  • Adriano Valerio – Banat (Il viaggio)
  • Piero Messina – L’attesa
  • Gabriele Mainetti – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Francesco Miccichè e Fabio Bonifacci – Loro chi?
  • Alberto Caviglia – Pecore in erba
Migliore sceneggiatura
  • Matteo Garrone, Edoardo Albinati, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso – Il racconto dei racconti – Tale of Tales
  • Nicola Guaglianone e Menotti – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Claudio Caligari, Francesca Serafini e Giordano Meacci – Non essere cattivo
  • Paolo Genovese, Filippo Bologna, Paolo Costella, Paola Mammini e Rolando Ravello –Perfetti sconosciuti
  • Paolo Sorrentino – Youth – La giovinezza (Youth)
Migliore produttore
  • 21uno Film, Stemal Entertainment, Istituto Luce Cinecittà, Rai Cinema e Les Films d’Ici con Arte France Cinéma – Fuocoammare
  • Archimede e Rai Cinema – Il racconto dei racconti – Tale of Tales
  • Gabriele Mainetti per Goon Films, con Rai Cinema – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Paolo Bogna, Simone Isola e Valerio Mastandrea per Kimera Film, con Rai Cinema e Taodue Film, produttore associato Pietro Valsecchi, in collaborazione con Leone Film Group – Non essere cattivo
  • Nicola Giuliano, Francesca Cima, Carlotta Calori per Indigo Film – Youth – La giovinezza (Youth)
Migliore attrice protagonista
  • Paola Cortellesi – Gli ultimi saranno ultimi
  • Sabrina Ferilli – Io e lei
  • Juliette Binoche – L’attesa
  • Ilenia Pastorelli – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Valeria Golino – Per amor vostro
  • Anna Foglietta – Perfetti sconosciuti
  • Àstrid Bergès-Frisbey – Alaska
Migliore attore protagonista
  • Claudio Santamaria – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Luca Marinelli – Non essere cattivo
  • Alessandro Borghi – Non essere cattivo
  • Valerio Mastandrea – Perfetti sconosciuti
  • Marco Giallini – Perfetti sconosciuti
Migliore attrice non protagonista
  • Piera Degli Esposti – Assolo
  • Antonia Truppo – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Elisabetta De Vito – Non essere cattivo
  • Sonia Bergamasco – Quo vado?
  • Claudia Cardinale – Ultima fermata
Migliore attore non protagonista
  • Valerio Binasco – Alaska
  • Fabrizio Bentivoglio – Gli ultimi saranno ultimi
  • Giuseppe Battiston – La felicità è un sistema complesso
  • Luca Marinelli – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Alessandro Borghi – Suburra
Migliore direttore della fotografia
  • Peter Suschitzky – Il racconto dei racconti – Tale of Tales
  • Michele D’Attanasio – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Maurizio Calvesi – Non essere cattivo
  • Paolo Carnera – Suburra
  • Luca Bigazzi – Youth – La giovinezza (Youth)
Migliore musicista
  • Alexandre Desplat – Il racconto dei racconti – Tale of Tales
  • Ennio Morricone – La corrispondenza
  • Michele Braga e Gabriele Mainetti – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Paolo Vivaldi con la collaborazione di Alessandro Sartini – Non essere cattivo
  • David Lang – Youth – La giovinezza (Youth)
Migliore canzone originale
  • Torta di noi – musica, testi e interpretazione di Niccolò Contessa – La felicità è un sistema complesso
  • A cuor leggero – musica, testi e interpretazione di Riccardo Sinigallia – Non essere cattivo
  • Perfetti sconosciuti – musica di Bungaro e Cesare Chiodo, testi e interpretazione di Fiorella Mannoia – Perfetti sconosciuti
  • La prima Repubblica – musica, testi e interpretazione di Checco Zalone – Quo vado?
  • Simple Song #3 – musica e testi di David Lang, interpretazione di Sumi Jo – Youth – La giovinezza (Youth)
Migliore scenografo
  • Dimitri Capuani e Alessia Anfuso – Il racconto dei racconti – Tale of Tales
  • Maurizio Sabatini – La corrispondenza
  • Massimiliano Sturiale – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Giada Calabria – Non essere cattivo
  • Paki Meduri – Suburra[2]
  • Ludovica Ferrario – Youth – La giovinezza (Youth)
Migliore costumista
  • Massimo Cantini Parrini – Il racconto dei racconti – Tale of Tales
  • Gemma Mascagni – La corrispondenza
  • Mary Montalto – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Chiara Ferrantini – Non essere cattivo
  • Carlo Poggioli – Youth – La giovinezza (Youth)
Migliore truccatore
  • Gino Tamagnini, Valter Casotto, Luigi d’Andrea e Leonardo Cruciano – Il racconto dei racconti – Tale of Tales
  • Enrico Iacoponi – La corrispondenza
  • Giulio Pezza – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Lidia Minì – Non essere cattivo
  • Maurizio Silvi – Youth – La giovinezza (Youth)
Migliore acconciatore
  • Francesco Pegoretti – Il racconto dei racconti – Tale of Tales
  • Elena Gregorini – La corrispondenza
  • Angelo Vannella – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Sharim Sabatini – Non essere cattivo
  • Aldo Signoretti – Youth – La giovinezza (Youth)
Migliore montatore
  • Jacopo Quadri – Fuocoammare
  • Andrea Maguolo, con la collaborazione di Federico Conforti – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Consuelo Catucci – Perfetti sconosciuti
  • Patrizio Marone – Suburra
  • Cristiano Travaglioli – Youth – La giovinezza (Youth)
Migliore fonico di presa diretta
  • Maricetta Lombardo – Il racconto dei racconti – Tale of Tales
  • Valentino Giannì – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Angelo Bonanni – Non essere cattivo
  • Umberto Montesanti – Perfetti sconosciuti
  • Emanuele Cerere – Youth – La giovinezza (Youth)
Migliori effetti digitali
  • EDI – Effetti Digitali Italiani – Game Therapy
  • Makinarium – Il racconto dei racconti – Tale of Tales
  • Chromatica – Lo chiamavano Jeeg Robot
  • Visualogie – Suburra
  • Peerless – Youth – La giovinezza (Youth)
Miglior documentario di lungometraggio
  • I bambini sanno, regia di Walter Veltroni
  • Harry’s Bar, regia di Carlotta Cerquetti
  • Louisiana (The Other Side), regia di Roberto Minervini
  • Revelstoke. Un bacio nel vento, regia di Nicola Moruzzi
  • S is for Stanley – Trentanni dietro al volante per Stanley Kubrick, regia di Alex Infascelli
Miglior cortometraggio
  • Bellissima, regia di Alessandro Capitani
  • A metà luce 2016, regia di Anna Gigante
  • Dove l’acqua con altra acqua si confonde, regia di Gianluca Mangiasciutti e Massimo Loi
  • La ballata dei senzatetto, regia di Monica Manganelli
  • Per Anna, regia di Andrea Zuliani
Premio David giovani
  • Alaska, regia di Claudio Cupellini
  • Gli ultimi saranno ultimi, regia di Massimiliano Bruno
  • La corrispondenza, regia di Giuseppe Tornatore
  • Non essere cattivo, regia di Claudio Caligari
  • Quo vado?, regia di Gennaro Nunziante
Miglior film straniero
  • Carol, regia di Todd Haynes
  • Il caso Spotlight (Spotlight), regia di Tom McCarthy
  • Il ponte delle spie (Bridge of Spies), regia di Steven Spielberg
  • Inside Out, regia di Pete Docter
  • Remember, regia di Atom Egoyan
Miglior film dell’Unione Europea
  • 45 anni (45 Years), regia di Andrew Haigh
  • Dio esiste e vive a Bruxelles (Le tout nouveau testament), regia di Jaco Van Dormael
  • Il figlio di Saul (Saul fia), regia di László Nemes
  • Perfect Day, regia di Fernando León de Aranoa
  • The Danish Girl, regia di Tom Hooper

 
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Le confessioni

Post n°13135 pubblicato il 20 Aprile 2016 da Ladridicinema
 

Poster

Siamo in Germania, in un albergo di lusso dove sta per riunirsi un G8 dei ministri dell'economia pronto ad adottare una manovra segreta che avrà conseguenze molto pesanti per alcuni paesi. Con gli uomini di governo, ci sono anche il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Daniel Roché, e tre ospiti: una celebre scrittrice di libri per bambini, una rock star, e un monaco italiano, Roberto Salus. Accade però un fatto tragico e inatteso e la riunione deve essere sospesa. In un clima di dubbio e di paura, i ministri e il monaco ingaggiano una sfida sempre più serrata intorno al segreto. I ministri sospettano infatti che Salus, attraverso la confessione di uno di loro, sia riuscito a sapere della terribile manovra che stanno per varare, e lo sollecitano in tutti i modi a dire quello che sa. Ma le cose non vanno così lisce: mentre il monaco - un uomo paradossale e spiazzante, per molti aspetti inafferrabile - si fa custode inamovibile del segreto della confessione, gli uomini di potere, assaliti da rimorsi e incertezze, iniziano a vacillare.

 
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Box Office Italia 19 aprile, Amleto insegue Il Libro della Giungla 3D DA CINEBLOC

Post n°13134 pubblicato il 20 Aprile 2016 da Ladridicinema
 

3 milioni di euro in 4 giorni all'esordio per Il Libro della Giungla 3D.

 

Altri 226.608 euro in tasca per Il libro della Giungla 3D, che si avvicina così alla soglia dei 4 milioni di euro. Dietro il titolo Disney si fa spazio Amleto dal National Theatre, con 102.203 euro incassati in 24 ore. Per la prima volta terzo Nonno Scatenato, ieri fermo ai 69.435euro, seguito dai 43.510euro de Il cacciatore e la regina di ghiaccio e dai 41.830euro di Veloce come il Vento.

Sesta piazza con 38.248 euro per Criminal, seguito dai 33.835euro di Nemiche per la Pelle e dai 24.855euro di Hardcore, con i 17.615euro di Troppo Napoletano e i 15.057euro di Batman v Superman a chiudere la Top10.

 
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Film nelle sale da domani

Post n°13133 pubblicato il 20 Aprile 2016 da Ladridicinema
 


Un ultimo tango
Un tango más
  • DATA USCITA: 18/04/2016
  • GENERE: Documentario, Musicale
  • NAZIONALITA': Argentina, Germania
  • ANNO: 2016
  • REGIA: German Kral
  • CAST:

Locandina: Abbraccialo per me
Abbraccialo per me
Abbraccialo per me
  • DATA USCITA: 21/04/2016
  • GENERE: Drammatico
  • NAZIONALITA': Italia
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Vittorio Sindoni
  • CAST: Stefania Rocca, Vincenzo Amato, Moisè Curia

Locandina: Codice 999
Codice 999
Triple Nine
  • DATA USCITA: 21/04/2016
  • GENERE: Drammatico, Azione, Thriller
  • NAZIONALITA': USA
  • ANNO: 2016
  • REGIA: John Hillcoat
  • CAST: Kate Winslet, Chiwetel Ejiofor, Casey Affleck

Locandina: Grotto
Grotto
Grotto
  • DATA USCITA: 21/04/2016
  • GENERE: Avventura, Family
  • NAZIONALITA': Italia
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Micol Pallucca
  • CAST: Christian Roberto, Gabriele Fiore, Iris Caporuscio

Locandina: I ricordi del fiume
I ricordi del fiume
I ricordi del fiume
  • DATA USCITA: 21/04/2016
  • GENERE: Documentario
  • NAZIONALITA': Italia
  • ANNO: 2015
  • REGIA: Gianluca De Serio, Massimiliano De Serio
  • CAST:

Locandina: Le confessioni
Le confessioni
Le confessioni
  • DATA USCITA: 21/04/2016
  • GENERE: Drammatico, Thriller
  • NAZIONALITA': Italia, Francia
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Roberto Andò
  • CAST: Toni Servillo, Connie Nielsen, Pierfrancesco Favino

Locandina: Sp1ral
Sp1ral
Sp1ral
  • DATA USCITA: 21/04/2016
  • GENERE: Drammatico
  • NAZIONALITA': Italia
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Orazio Guarino
  • CAST: Marco Cocci, Valeria Nardilli, Michela Bevilacqua

Locandina: The Other Side of the Door
The Other Side of the Door
The Other Side of the Door
  • DATA USCITA: 21/04/2016
  • GENERE: Horror
  • NAZIONALITA': India, Gran Bretagna
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Johannes Roberts
  • CAST: Sarah Wayne Callies, Jeremy Sisto, Sofia Rosinsky

Locandina: Truman - un vero amico è per sempre
Truman - un vero amico è per sempre
Truman
  • DATA USCITA: 21/04/2016
  • GENERE: Commedia, Drammatico
  • NAZIONALITA': Spagna, Argentina
  • ANNO: 2015
  • REGIA: Cesc Gay
  • CAST: Ricardo Darín, Javier Cámara, Dolores Fonzi

Locandina: Zona d'ombra
Zona d'ombra
Concussion
  • DATA USCITA: 21/04/2016
  • GENERE: Drammatico
  • NAZIONALITA': USA
  • ANNO: 2015
  • REGIA: Peter Landesman
  • CAST: Will Smith, Alec Baldwin, Luke Wilson

Locandina: Rino: La mia ascia di guerra
Rino: La mia ascia di guerra
Rino: La mia ascia di guerra

  • DATA USCITA: 23/04/2016
  • GENERE: Documentario
  • NAZIONALITA': Italia
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Andrea Zambelli
  • CAST:

 
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La Scala deve reintegrare la ballerina che parlò di anoressia da la stampa

Post n°13132 pubblicato il 18 Aprile 2016 da Ladridicinema
 

La Corte di Cassazione: illegittimo il licenziamento di Mary Garret

Mary Garret aveva raccontato il difficile rapporto fra cibo e danza

Mariafrancesca Garritano, in arte Mary Garrett, la danzatrice licenziata dalla Scala nel 2012 in seguito alla polemica sulla diffusione dell’anoressia fra i danzatori classici, tornerà a esibirsi nel teatro milanese. La Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ha infatti deciso il reintegro della ballerina nel corpo di ballo milanese stabilendo l’illegittimità del licenziamento e avvallando così la analoga decisione dei giudici di appello. 

 

Autrice del pamphlet «La verità vi prego sulla danza» la Garritano aveva rilasciato una intervista al quotidiano inglese “The Observer”. Il giornale riportava affermazioni e denunce pesanti. «Che una ballerina su cinque alla Scala soffre di anoressia, che molte non riescono ad avere figli, che nei corpi di ballo dilagano «storie di corruzione, di minacce e di compromessi, per mantenere il proprio posto sul palco». 

 

Affermazioni generali o contro il teatro milanese? Il problema stava tutto lì. La direzione del teatro lo considerava un attacco diretto. E poiché se un ballerino dipendente (Mariafrancesca aveva un contatto a tempo indeterminato) attacca il proprio teatro viene meno il rapporto di fiducia, era partita la lettera di licenziamento. L’interessata invece replicava che si trattava di una considerazione generale dichiarando: «Sono davvero costernata perché mi dispiace che la mia battaglia di sensibilizzazione sia stata presa come una cosa personale».  

 

Ora si tratterà da parte del teatro di reintegrare la Garritano nel corpo di ballo e con il grado di solista che aveva ottenuto poco tempo prima del licenziamento. Una inattesa patata bollente per la direzione del Teatro e soprattutto per il neo-direttore del ballo Mauro Bigonzetti. 

 
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Il bambino di vetro

Post n°13131 pubblicato il 18 Aprile 2016 da Ladridicinema
 

Poster

Palermo oggi. Giovanni, un bambino di dieci anni, giunge amaramente a scoprire che nella parola "famiglia" può annidarsi il male. In una lenta e graduale presa di coscienza, il bambino metterà irrimediabilmente in crisi il legame incondizionato con suo padre Vincenzo, aprendo gli occhi su una realtà in cui le "famiglie criminali" possono essere più di una e in cui la sua stessa "famiglia naturale" nasconde un segreto capace di colpire al cuore.

 
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