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Monicelli, senza cultura in Italia...
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Messaggi del 14/04/2015
Post n°12302 pubblicato il 14 Aprile 2015 da Ladridicinema
Rosaria Corona Genova - «L’inverno è arrivato», col suo carico di complotti, vendette, sangue e scende di nudo: per chi non ha ceduto alla tentazione di sbirciare sui siti pirata, dove negli ultimi giorni sono state diffuse illegalmente le prime 4 puntate , la febbrile attesa è finalmente terminata. La scorsa notte, su Sky Atlantic Hd, in contemporanea con gli Stati Uniti è andata in onda la prima puntata della quinta stagione di “Game of Thrones”, la versione originale e in inglese del “Trono di Spade”, la serie cult fantasy ispirata ai romanzi bestseller “Le cronache del ghiaccio e del fuoco” di George R. R. Martin, che sta ottenendo un successo clamoroso in oltre 30 paesi, Italia compresa, dove la versione doppiata andrà in onda il 20 aprile, sempre su Sky Atlantic. Tra un colpo di scena e l’altro, in migliaia sono rimasti incollati allo schermo per seguire le nuove avventure dei protagonisti dei Sette Regni: dalle missioni dei potenti fratelli Lannister ai tentativi di Cersei di restare aggrappata al potere in una Approdo del Re minacciata dal casato dei Tyrell e dall'ascesa di un nuovo gruppo religioso capitanato da High Sparrow. Tra le scene più attese, proprio quella che vede protagonista la perfida Cersei, che, umiliata dall’Alto Septon, sarà costretta a restare completamente nuda in chiesa, suscitando moltissime polemiche con tanto di accuse di blasfemia che hanno poi indotto i produttori a rivedere la scena giungendo a un compromesso: il nudo ci sarà, ma non in chiesa. Le sorprese non mancano, anche nel cast: tra le new entry anche l’italoamericana Rosabell Laurenti Sellers nei panni della tanto graziosa quanto pericolosa di Tyene Sand; infine, ancora sangue: dopo le morti di Joffrey, Tywin, Shae e Oberyn, anche un altro personaggio sarà fatto fuori...
Post n°12301 pubblicato il 14 Aprile 2015 da Ladridicinema
Stefano Rizzato La serie Game of Thrones Roma - L’appuntamento, atteso da molti, era fissato per la sera del 12 aprile. La notte del 13 in Italia. Masui siti pirata è finita circa 24 ore prima. Parte della quinta stagione di Game of Thrones - la versione originale e in inglese del Trono di Spade - è stata pubblicata sabato notte su diversi siti di torrent, condivisa online in modo illegale e in anticipo. Non solo il primo episodio, ma addirittura i primi quattro, che sarebbero dovuti andare in onda sulla rete americana via cavo HBO di qui al 3 maggio. Uno scherzo pirata non da poco, sicuramente poco gradito ai dirigenti del canale americano, che produce la serie ispirata alla saga di George R. R. Martin. Nome in codice “screener” Uno dei produttori della saga tv, Greg Spence, l’aveva in qualche modo preannunciato, e aveva parlato al Denver Post del rischio di un’anteprima illegale della stagione. A finire nelle mani dei pirati online sono stati i cosiddetti “screener”: gli episodi inviati a un selezionatissimo numero di persone, tra critici tv e dirigenti dell’industria cinematografica e televisiva. A quanto pare, un gruppo selezionato non troppo bene. Qualcuno ha infatti deciso di mettere in circolazione le prime quattro puntate, e ora il pericolo è che ne possano seguire altre. In termini tecnici si parla di “leak”, una perdita in un sistema che dovrebbe essere impermeabile. Bassa qualità Inutile dire che migliaia di utenti si sono precipitati a scaricare - ripetiamo, in modo illegale - i quattro attesi episodi. Il sistema torrent funziona in modo esponenziale: più persone scaricano e più si moltiplicano le fonti da cui scaricare. A parziale consolazione dei canali ufficiali, c’è da dire che la versione che circola online è in qualità non proprio cinematografica, cioè 480p, rispetto a uno standard di alta definizione di 1080p. In basso a sinistra si nota un logo oscurato: è quello che viene messo proprio sugli “screener”, per distinguere le copie anteprima da quelle da trasmettere in tv. I precedenti L’episodio, in fondo, sorprende poco. Il Trono di Spade è da tre anni in testa alla classifica delle serie tv più scaricate illegalmente in rete. E non è neppure la prima volta che un “leak” arriva a scompaginare i piani delle emittenti. Di solito, però, a finire online era solo il primo episodio della nuova stagione: è successo due volte, nel 2007 e nel 2011, con un altro titolo molto popolare come Dexter. E ancora: nel 2011 con l’ottava e ultima stagione di House e nel 2013 con la terza stagione di Homeland (o “Caccia alla spia”). Nel 2015 sembrava fosse il turno di House of Cards: l’11 febbraio la terza stagione divenne improvvisamente tutta visibile su Netflix - il servizio di video in streaming che la produce e trasmette - con oltre due settimane d’anticipo. Una sorta di “leak” ufficiale (e volontario), che durò solo qualche minuto. Nessuno fece in tempo a vedere nulla, ma fu la miglior pubblicità possibile per la serie con Kevin Spacey.
Post n°12300 pubblicato il 14 Aprile 2015 da Ladridicinema
Sarebbe corretto parlare di riforma della “Ley Orgánica de Protección de la Seguridad Ciudadana”, ma ormai tutti la conoscono come “Ley Mordaza”. La nuova “legge bavaglio” ha concluso l’iter parlamentare giovedì 26 marzo, giorno in cui sono state approvate anche la riforma del Codice Penale e la Ley Antiterrorista. La Ley Mordaza è stata oggetto di numerose polemiche a causa delle limitazione alle libertà d’espressione e di associazione che essa comporterebbe. Le critiche manifestate da Bloggers, giornalisti e associazioni per il libero pensiero hanno attirato l’attenzione dell’Onu e del dipartimento specializzato nella tutela e rispetto dei diritti umani. Tra i punti maggiormente discussi della legge si segnalano: - “Per effetto della legge, si considerano organizzatori o promotori di riunioni o manifestazioni in luoghi pubblici, le persone fisiche o giuridiche che abbiano sottoscritto la suddetta organizzazione”. In sostanza, sono previste multe dai 100 ai 60.000 euro per tutti coloro che, soprattutto attraverso internet e i social media, possano essere ricondotti all’organizzazione di un evento (manifestazione, corteo…) che abbia turbato l’ordine pubblico. Qualora un utente non fosse direttamente coinvolto nell’organizzazione, saranno sufficienti un tweet o un hashtag esplicitamente correlato all’avvenimento, per rischiare di incorrere ugualmente nelle sanzioni.
- È proibito “L’utilizzo non autorizzato di immagini o dati personali o professionali relativi ad autorità o esponenti delle forze dell’ordine, che possa mettere a rischio la sicurezza personale e familiare degli agenti […]”. Oltre a multe sino a 30.000 euro, ai poliziotti sarà inoltre consentito il sequestro delle macchine fotografiche/cellulari di tutti coloro che si rifiuteranno di rispettare la norma.
Le restrizioni imposte dalla Ley Mordaza hanno fatto squillare il campanello d’allarme dell’ONU. Maina Kiai, relatore speciale per i diritti di riunione pacifica e associazione, ha dichiarato che la riforma in essere, oltre a limitare i suddetti diritti, ne ridimensiona considerevolmente le possibilità d’azione ad essi correlate. Un gruppo di relatori ha infine chiesto in forma ufficiale di rivalutarne l’applicazione giacché questa “minaccia di violare i diritti e le libertà fondamentali degli individui”. L’entrata in vigore della Ley Mordaza è prevista per mercoledì 1 Luglio. Da oggi, per circa due mesi, il governo spagnolo sarà chiamato ad una prova di coscienza nel rivalutare quelle riforme che, al di là delle giustificazioni soggettive, rappresentano un’oggettiva limitazione delle libertà di associazioni ed espressione. 13 aprile 2015
Post n°12299 pubblicato il 14 Aprile 2015 da Ladridicinema
Lo si può chiamare effetto Charlie Hebdo. Il contraccolpo emotivo della strage del 7 gennaio a Parigi sta provocando effetti simili a quelli provocati negli Stati Uniti dalla strage dell’undici settembre. Ai morti delle torri gemelle il presidente Bush replicò con il “Patriot Act” un insieme di leggi che sacrificava la privacy al bisogno di sicurezza estendendo i settori dove Nsa e Fbi potevano spiare senza controlli della magistratura. In Francia l’operazione, con le dovute differenze, ha un sapore analogo. Il relatore della nuova legge per garantire un maggior potere di intervento dei servizi segreti nella lotta al terrorismo, il deputato socialista Jacques Urvoas, ha detto testualmente: “in questo settore gli Stati Uniti sono un modello”. Con tanti saluti alle promesse iniziali del premier Valls che aveva escluso un Patriot act alla francese. E invece la legge che si sta discutendo in questi giorni all’assemblea nazionale concede margini di manovra molto più ampi rispetto al passato ai servizi segreti che potranno spiare la posta elettronica e effettuare registrazioni senza l’autorizzazione di un magistrato nel caso di “minaccia alla sicurezza nazionale”. Va detto che esiste qualche contrappeso maggiore rispetto al modello americano. Viene formata una commissione di controllo (due deputati, due senatori, due membri del consiglio di Stato, due della Corte di cassazione e una personalità “qualificata”nominata dalla Agcom francese. La commissione deve dare un parere sulle singole operazioni di intelligence che solo il premier puo’ decidere. Lo stesso premier puo’ disattendere il parere delle commissione che a quel punto può ricorrere al Consiglio di stato. In piu’ esiste una protezione particolare per parlamentari, magistrati, avvocati e giornalisti. E’ tutto quello che ha potuto ottenere una opposizione alla nuova legge indebolita dall’enorme impatto emotivo dell’attentato a Charlie Hebdo. “Chi di noi si oppone viene trattato da terrorista” ammette il capofila dell’opposizione parlamentare, il deputato ecologista Sergio Coronado. Cosi’ il drappello di oppositori e’diventato sparuto e afono: qualche socialista, qualche deputato Ump qualche ecologista. Piu’ i difensori dei diritti civili che hanno manifestato fuori dal parlamento. Il dibattito prosegue e la legge può essere ancora migliorata. ma la preoccupazione e’ quella espressa a tutta pagina da Le Monde: e’ un progetto di legge che minaccia le liberta’ individuali: una Francia sotto sorveglianza? 13 aprile 2015
Post n°12298 pubblicato il 14 Aprile 2015 da Ladridicinema
Finalmente dopo oltre 20 anni si inizia a sollevare il velo che ha tenuto nascosta la verità sull’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Grazie a inchieste giornalistiche, prima Chi l’ha visto poi sabato sera la docu-fiction “L’ultimo viaggio”, la verità inizia a venire a galla. Ma il lavoro non è finito: almeno fino a quando i responsabili non saranno individuati”. Lo scrive in una nota il segretario Usigrai Vittorio Di Trapani. “La Rai Servizio Pubblico ha il dovere di mettere in campo le proprie risorse interne migliori per completare il lavoro di inchiesta giornalistica. Diamo un valore alle scelte: la Riforma della Rai parta dalla costituzione di un nucleo di giornalismo investigativo, così come proposto anni fa da Roberto Morrione. E il primo lavoro del nucleo potrebbe essere proprio indagare sull’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. È un dovere per la Rai per onorare la memoria di due colleghi uccisi perché facevano il proprio lavoro. E per rispettare il diritto dei cittadini di conoscere la verità sui fatti italiani e internazionali. È dovere primo della Rai Servizio Pubblico illuminare realtà, fatti e fenomeni che qualcuno vorrebbe relegare al buio. 13 aprile 2015
Post n°12297 pubblicato il 14 Aprile 2015 da Ladridicinema
Continua la corsa al box-office italiano di Fast & Furious 7. In attesa di Avengers: Age of Ultron, era inevitabile che l’action movie vincesse per la seconda volta consecutiva il weekend. La tenuta peraltro è molto buona per un titolo di queste proporzioni: incassi sostanzialmente dimezzati, con 3.5 milioni di euro in quattro giorni e una media ancora vicina ai cinquemila euro per sala. Complessivamente il film ha raggiunto i 14.5 milioni di euro, una cifra superiore a quanto incassato da tutti gli altri episodi. Apre al secondo posto la commedia Se Dio Vuole, con un milione di euro tondo in quattro giorni. Al terzo posto, invece, debutta Humandroid, con mezzo milione di euro e duemila euro di media. Scende a quarto posto Into the Woods, che incassa altri 382mila euro e sale così a 1.6 milioni di euro: non male per un film che rischiava di essere una semplice uscita tecnica. Al quinto posto troviamo La Famiglia Belier, con 325mila euro e due milioni complessivi, mentre al sesto posto L’Ultimo Lupo incassa 279mila euro e sale a 2.7 milioni complessivi. Scivola al settimo posto Home – A Casa, con 242mila euro e 2.3 milioni complessivi, mentre all’ottavo posto troviamoCenerentola (242mila euro, 14.5 milioni complessivi) e al nono La Scelta (195mila euro, 943mila euro complessivi). Chiude la top-ten Ooops! Ho perso L’Arca, con 114mila euro in quattro giorni. Le altre nuove uscite: all’undicesimo posto Uno, anzi Due incassa 94mila euro; al sedicesimo posto Ci Devo Pensare debutta con 59mila euro, al ventitreesimo posto Il Padre incassa 47mila euro.
Post n°12296 pubblicato il 14 Aprile 2015 da Ladridicinema
Günter Grass, morto a 87 anni l’autore di “Il tamburo di latta”. Vinse Nobel nel ’99 Lo scrittore deceduto a Lubecca. E' stato la coscienza critica della democrazia tedesca sorta dalla tragedia del nazismo e ha dato voce ai figli della generazione che si macchiò di quelle atrocità. Brucianti le polemiche, nel 2006, seguite alla rivelazione di essersi arruolato volontario nelle Waffen-SS. Il ricordo di Dario Fo: "Il tamburo di latta, libro eccezionale tra disperazione e ironia" di F. Q. | 13 aprile 2015 E’ morto a 87 anni, a Lubecca, Günter Grass. Lo annuncia la sua casa editrice Steidl. Lo scrittore tedesco, vincitore del Premio Nobel per la letteratura nel 1999, era nato a Danzica, allora città-Stato poi diventata polacca, nel 1927. Tra le sue opere più famose, Il Tamburo di Latta, opera d’esordio pubblicata nel 1959. Intellettuale impegnato, grande sostenitore della svolta socialdemocratica di Brandt nel 1969, coscienza critica della democrazia tedesca sorta dalla tragedia del nazismo, Grass ha dato voce a una generazione di tedeschi che sono diventati adulti durante la Seconda guerra mondiale e hanno portato il peso delle colpe dei loro genitori per le atrocità perpretrate da Adolf Hitler e dal suo regime. Proprio per questo furono brucianti le polemiche quando, nel 2006, in occasione dell’uscita del libro “Sbucciando la cipolla”, Günter Grass rivelò di essersi arruolato volontario nelleWaffen-SS, mentre fino allora si era creduto che fosse stato un semplice coscritto. E’ stato anche poeta, saggista, drammaturgo e scultore. Tra le sue altre opere, ‘Il gatto e il topo’, ‘Anni di canì (che con “Il tamburo di latta” completano la trilogia di Danzica), ‘Il mio secolo’ e ‘Il passo del gambero’. Il tamburo di latta “è un libro eccezionale in cui c’è disperazione, forza, ironia, davvero un bel libro”, commenta Dario Fo, che ha conosciuto Grass e di dice “davvero dispiaciuto” della sua scomparsa. “Quando ci incontravamo ci raccontavamo spesso aneddoti, ma niente di trascendentale. Un uomo che è riuscito a scrivere un libro del genere aveva una grinta e una forza straordinarie”. “Un gigante”, lo definisce Inge Feltrinelli. “L’ho conosciuto da giovane, agli esordi, e poi ho seguito tutta la sua carriera. Con il passare del tempo è diventato un classico della letteratura moderna”. Feltrinelli pubblicò per primo in Italia “Il tamburo di latta”.
Post n°12295 pubblicato il 14 Aprile 2015 da Ladridicinema
13 aprile 2015 di Marina Zenobio Il grande scrittore uruguayano Eduardo Galeno ci ha lasciato. E’ morto oggi in un ospedale di Montevideo, all’età di 74 anni, a causa di un cancro ai polmoni. Fin dalla pubblicazione del suo Le vene aperte dell’America Latina, nel 1971, il romanzo è diventato un classico della letteratura politica latinoamericana che ha travalicato l’oceano. Ma tra le sue opere da non dimenticare anche il romanzo storico Memoria di fuoco, del 1986, tradotto in oltre 20 lingue, e ancora La conquista che non scoprì l’America (1992), Splendori e misiere del gioco del calcio (1997), Un incerto stato di grazia (con Sebastião Salgado e Fred Ritchin, 2002), Specchi (2008). Prima di diventare un illustre intellettuale della sinistra latinoamericana, Eduardo Galeano lavorò in fabbrica come operaio, e poi come disegnatore, pittore, postino, dattilografo, cassiere… Galeano aveva 31 anni quando scrisse Le vene aperte dell’America Latina e, secondo quando riconosciuto dallo stesso autore anni dopo, “Doveva essere un’opera di economia politica, solo che io non avevo ancora la preparazione necessaria […] Non è che mi sia pentito di averlo scritto, ma resta una tappa per me ormai superata”. Nel 2009, durante il 5° Vertice delle Americhe, l’allora presidente del Venezuela, Hugo Chavez, regalò una copia dell’opera di Galeano – censurata e proibita all’epoca delle dittatura in Uruguay, Argentina e Cile – al presidente degli USA, Barak Obama. In quell’occasione l’opera fece un salto nella posizione dei libri più venduti da Amazon, da 60.280 al decimo posto. Sull’episodio Galeno fu intervistato e rispose sorridendo: “Chavez ha regalo a Obama il libro con le migliori intenzioni, ma gli ha dato una copia in spagnolo, una lingua che non conosce. E’ stato un gesto generoso ma un po’ crudele”. Conobbe il carcere Galeano, e fu costretto a lasciare il paese dopo il golpe in Uruguay del 1973. Andò a vivere in Argentina dove fondò il magazine culturaleCrisis. Dopo essere stato iscritto nella lista nera del dittatore argentino Videla lasciò anche Buenos Aires per cercare rifugio in Spagna. Rientrò a Montevideo, nel suo paese, nel 1985, dove proseguì il lavoro di giornalista per il settimanaleBrecha. Nel 2010 Eduardo Galeano vinse il premio svedese Stig Dagerman per “essere sempre stato, nel corso della sua esistenza, dalla parte dei dannati, e per la sua capacità di ascoltare e trasmettere la loro testimonianza attraverso la poesia, il giornalismo, l’attivismo politico”. Eduardo Galeano, “Lettera al signor Futuro” Montevideo (Uruguay), 5 ottobre 2004 Stimato signor Futuro, con la mia maggiore considerazione: Le sto scrivendo questa lettera per richiederle un favore. Scuserete il mio disturbo. No, non tema, non è che voglio conoscerla. Deve essere lei un signor molto richiesto, ci sarà tanta gente che vorrà avere il piacere, ma io no. Quando qualche zingara mi legge la mano, per leggermi il futuro, scappo alla disparata prima che ella possa commettere un tale crudeltà. E comunque lei, misterioso signore, è la promessa che i nostri passi proseguano chiedendo senso e destino. E è questo mondo, questo mondo e non un altro mondo, il luogo dove lei ci aspetta. A me, e ai molti che non credono negli dei che ci promettono altre vite nei lontanissimo hotel dell’Aldilà. E qui sta il problema, signor Futuro. Stiamo restando senza un mondo. I violenti lo prendono a calci come se fosse una palla. Giocano con i signori della guerra, come se fosse una granata; e i voraci lo spremono come se fosse un limone. Di questo passo, temo, più presto che tardi il mondo potrà non essere altro che una sasso morto in giro per lo spazio, senza terra, senza acqua, senza aria e senza anima. Di questo si tratta, signor Futuro. Io le chiedo, noi le chiediamo, di non farci sfrattare. Per stare, per essere, abbiamo bisogno che lei continua a stare, che lei continua ad essere. Che lei ci aiuti a difendere la sua casa, che è la casa del tempo. Ci faccia questa arditezza, per favore. A noi e a agli altri: agli altri che verranno dopo, se avremo un dopo. Attentamente, Un terrestre
Post n°12294 pubblicato il 14 Aprile 2015 da Ladridicinema
Cr. P.08/04/2015 Dal 22 aprile al 27 maggio torna Il Mese del Documentario- III edizione. Organizzata da Doc/it - Associazione Documentaristi Italiani in collaborazione con l’associazione 100autori, la manifestazione propone il meglio del documentario italiano con 70 proiezioni in 14 città, in Italia e in Europa. Un intero mese in cui saranno proiettati i cinque film finalisti che concorrono al Doc/it Professional Award per il miglior documentario dell’anno e in cui il pubblico potrà dialogare con i registi. Sono 84 le opere che hanno partecipato a una prima selezione di un comitato scientifico composto da giornalisti, direttori di festival ed esperti di documentario che ha scelto i migliori 21 lavori da sottoporre alla seconda selezione. Più di 150 professionisti del settore hanno poi votato i migliori 5 documentari decretandone il vincitore.
A concorrere Sacro GRA di Gianfranco Rosi, vincitore del Leone d’oro alla 70ª Mostra di Venezia, Stop the pounding heart di Roberto Minervini, vincitore del David di Donatello 2014, SmoKings di Michele Fornasero, presentato in anteprima mondiale a Visions du Rèel, The Stone River di Giovanni Donfrancesco, vincitore di numerosi premi tra cui il Globo d’Oro al miglior documentario e Dal profondo di Valentina Pedicini, presentato in anteprima al Festival di Roma 2013 dove ha vinto il premio al Miglior Documentario.
Sono 14 le città che hanno aderito alla manifestazione: Roma, L’Aquila, Bari, Milano, Napoli, Nola, Noto, Nuoro, Palermo, Trieste e per l’estero Berlino, Grenoble, Londra e Parigi.
Post n°12293 pubblicato il 14 Aprile 2015 da Ladridicinema
Cristiana Paternò13/04/2015 Intervista al cineasta che il 16 aprile porta in sala il suo 12° film, Mia madre, in cui una regista in crisi si confronta con la malattia della madre. Un'elaborazione del lutto molto personale “Rompi almeno qualche schema”, dice il fratello Giovanni a Margherita, la regista che in Mia madre è chiaramente l'alter ego di Nanni Moretti. E ne rompe di certo qualcuno la dodicesima opera del regista romano. A partire dalla scelta di una protagonista femminile a cui affidare le nevrosi e le insicurezze dell’ex Michele Apicella. Una figura abbozzata nella regista de Il caimano che qui si prende la scena. Film doppio eppure semplice come bere un bicchier d’acqua, film ironico eppure straziante, film autobiografico ma molto scritto: elaborato con le scrittrici Gaia Manzini e Chiara Valerio nella prima idea e poi portato a compimento con i fedelissimi Valia Santella eFrancesco Piccolo. Elaborazione del lutto e riflessione sul cinema (il suo) con tutti i tic morettiani ma anche una rinnovata umanità. Con le cose – e le persone – chiamate con il loro nome. Margherita Buy è Margherita. Sta girando un film sociale, realista, su una fabbrica occupata dagli operai dopo che un imprenditore squalo arrivato dall’America ha deciso di licenziarne due terzi. L’attore protagonista del film nel film, interpretato da John Turturro, è pieno di sé, infantile, incapace di ricordare le battute, fissato con quella volta che lo chiamò Stanley Kubrick (ma non è mai successo). Margherita intanto è travolta dal suo privato: si sta separando dal compagno, sua figlia adolescente (la tredicenne Beatrice Mancini) non studia. E soprattutto sua madre, un’insegnante di latino molto amata dai suoi ex allievi, è in ospedale per un grave problema polmonare, accudita da suo fratello Giovanni (Nanni Moretti), un ingegnere che per curarla lascia il lavoro. Margherita invece, che tutti accusano di non essere mai veramente presente, si barcamena tra il set e la clinica e si sente sempre più smarrita. Confonde sogni, realtà e fantasie. Un po’ come accadeva al regista di Sogni d’oro, mentre la mamma (l’attrice teatrale Giulia Lazzarini) peggiora sempre più e la vediamo camminare fuori dall’ospedale, come il papa inadeguato Michel Piccoli passeggiava in incognito per via della Conciliazione. Margherita e Giovanni affrontano, ciascuno a suo modo, quel processo doloroso e non razionalizzabile del distacco da un genitore. Un distacco che deve toccare a tutti – è nella natura delle cose – eppure che è tanto duro accettare.
Mia madre, prodotto da Moretti con Domenico Procacci e Rai Cinema, sarà in sala da giovedì 16 aprile in 400 copie. E proprio giovedì il Festival di Cannes annuncerà il suo programma. Nanni potrebbe andare fuori concorso? “Da Cannes accetto tutto”, dice con inedita tranquillità.
Moretti, quanto c'è di autobiografico in questo film così personale? Non so dirlo. Penso alla frase che dice l’attore interpretato da John Turturro sul set: “Voglio andare via di qui, voglio tornare nella realtà”. Mi faceva piacere che lo spettatore non capisse subito se stava vedendo qualcosa di reale o un sogno, un'immaginazione, un ricordo. Tutto in Margherita convive. Il suo non essere presente, il suo senso di inadeguatezza, le preoccupazioni per la figlia, i problemi di lavoro, i ricordi, i sogni, i pensieri.
Vediamo i libri di latino inscatolati, gli scaffali della libreria vuoti, e la lunga fila di spettatori fuori dal Capranichetta, storica sala di Piazza Montecitorio oggi chiusa. Tutto sembra alludere a un mondo della cultura che non esiste più o che sta scomparendo. Il Capranichetta era il cinema delle grandi teniture e questa cosa non sta scomparendo. Il cinema Intrastevere programma il documentario di Wenders su Sebastiao Salgado da sei mesi. Quindi non sarei così pessimista. Quanto al latino fa parte del nucleo del film, è qualcosa che rimane negli ex alluni che vengono a trovare la professoressa.
Margherita chiede continuamente agli attori di mettersi accanto al personaggio, brechtianamente. È una presa in giro del drammaturgo tedesco? Se prendo in giro qualcuno è me stesso. Non ce l'ho certo con Brecht. È molto più faticoso accanirsi contro se stessi. È una cosa che dico spesso agli attori: stai accanto al tuo personaggio. È un concetto che avevo ben presente fin dall’inizio e cercavo di comunicarlo agli attori. Penso che un attore non debba essere a una sola dimensione. Quando Margherita si arrabbia in lei c'è anche del dolore, c'è anche sempre qualcos'altro. E quando si infuria sul “camera car” e dice “il regista è uno stronzo a cui permettete tutto” stiamo parlando di qualcosa che conosco bene.
Insieme a La stanza del figlio e accanto a Caos calmo, di cui lei era solo interprete, questo film prosegue la sua riflessione sul tema del lutto. A 20 anni non mi sarebbe venuto in mente di parlarne ma col tempo si pensa di più alla morte. La stanza del figlio poi esprimeva delle paure, dei fantasmi, questo nasce da un'esperienza vissuta. Non riesco a mettere insieme questi tre film.
I suoi genitori l’hanno sostenuta nel suo percorso cinematografico? Col cinema mia madre e mio padre non c'entravano nulla. Ma quando a 19 anni, dopo aver finito le scuole, ho deciso di provare a fare il regista, mi hanno sostenuto con discrezione e con affetto. E non è poco.
La madre del film ha tanti tratti in comune con Agata Apicella, la sua mamma mancata nel 2010. Considera questa opera anche un omaggio a lei? Mi imbarazza parlare della mia madre vera, ma c'erano generazioni e generazioni di ex alunni che continuavano a frequentarla e a parlare con lei un po' di tutto, questa cosa mi si è rivelata dopo la sua morte e si vede anche nel film. La morte della madre è un passaggio importante della vita, a me è successo durante il montaggio di Habemus Papam. Volevo raccontarlo senza sadismo nei confronti dello spettatore.
È stato emotivamente difficile? Penso che quando si fa un film, si fa un film e basta. Anche se il tema è molto forte. Penso che il tema che stai trattando non ti investa con la sua forza. Ma forse non sono d'accordo con me stesso, forse non è così.
Perché la regista Margherita gira un film sociale, sulla perdita del lavoro e l’occupazione di una fabbrica, un film così poco morettiano? Volevo che ci fosse uno stacco tra la vita privata di Margherita, che è sempre da un'altra parte, sul lavoro pensa alla mamma, quando sta in ospedale dalla mamma pensa alla figlia... Mi piaceva che stesse girando, per contrasto, un film solido, strutturato. È vero che il film nel film è un altro tipo di film rispetto a quelli che io faccio.
Da qualche film a questa parte ha lasciato il centro della scena ad altri, Silvio Orlando, Michel Piccoli… Ma è la prima volta che il protagonista è una donna. Fin da quando ho cominciato a scrivere il soggetto, volevo una donna come protagonista. Non mi ha mai sfiorato l'idea di essere io al centro del film. Ma Margherita è il mio alter ego. Mi faceva piacere dare delle caratteristiche maschili a un personaggio femminile. In particolare mi appartiene questo senso di inadeguatezza. Il senso del disagio è qualcosa che conosco molto bene. Pensavo che con il tempo mi venisse il pelo sullo stomaco, come si usa dire con una brutta espressione, invece succede un po' il contrario. Più il tempo passa e più il disagio cresce e questo non è riposante. Non ho acquisito freddezza e quindi sicurezza, faccio sempre gli stessi sogni. Prima del primo giorno di riprese, ho i dubbi, le angosce, i ripensamenti di 30/40 anni fa.
Considera Mia madre un punto d’arrivo? Il punto d'arrivo è la semplicità con cui sono raccontate certe cose. Attraverso un processo di regia, di scrittura, di interpretazione si arriva alla semplicità che non è mai la partenza, perché non vuol dire banalità. Anni fa mi divertivo a portarmi dietro delle costanti del mio personaggio, a costruirlo film dopo film. La scuola, i pranzi in famiglia, lo sport… Ora non ho più questa fissazione.
Pensa di aver rotto qualche schema? Sono gli altri che possono dirlo, non io. Ma forse sì.
Post n°12292 pubblicato il 14 Aprile 2015 da Ladridicinema
Eduardo Galeano a un incontro con studenti messicani nel 2012 (ansa) Lo scrittore uruguayano si è spento all'età di 74 anni in un ospedale di Montevideo. Da anni lottava contro un cancro ai polmoni. Tra le sue opere più famose "Le vene aperte dell'America Latina", un classico del pensiero della sinistra Scrisse oltre 30 libri tradotti in più di 20 lingue, in cui mescolò sempre con stile inconfondibile romanzo e giornalismo, analisi politica e storica e documentazione. Una visione che lui stesso nel 1986 sintetizzò in questo modo: "Credo che la funzione dello scrittore consista nell'aiutare a guardare, che lo scrittore sia qualcuno che forse può avere il piacere di aiutare gli altri a guardare". "Non ho avuto la possibilità di conoscere Shéhérazade, non ho appreso l'arte della narrazione nei palazzi di Bagdad, le mie università sono state i vecchi caffè di Montevideo", confidò nel 2009.
Nato nel settembre del 1940 in una famiglia della classe media, Galeano fece vari lavori, tra i quali l'operaio, il meccanico e il pittore. Iniziò come giornalista a 14 anni per El Sol, settimanale del Partito socialista. Tra il 1961 e il 1964 diresse la rivista culturale Marcha, cui collaboravano tra gli altri Mario Vargas Llosa, Mario Benedetti, Manuel Maldonado Denis e Roberto Fernández Retamar. Poi, dal 1964 al 1966, Epoca, altra pubblicazione della sinistra. Nel 1973, quando i militari presero il potere con un golpe, fu imprigionato e costretto a fuggire. Andò in esilio in Argentina, ma nel 1976, anno del sanguinoso colpo di stato del generale Videla, il suo nome fu inserito nella lista dei condannati dagli "squadroni della morte" e lui riparò in Spagna. Tornò in Uruguay solo nel 1985, insieme alla democrazia. Galeano non voleva essere definito uno storico, ma senza dubbio la sua visione della storia latinoamericana ebbe una grandissima influenza. Nel 2009, durante il summit delle Americhe, il presidente venezuelano Hugo Chavez regalò una copia di Le vene aperte dell'America Latina al leader statunitense Barack Obama e, in un solo giorno, il libro salì dalla posizione 60.280 alla decima dei titoli più venduti da Amazon. Di quell'episodio lo scrittore disse che Chavez l'aveva fatto "con la migliore intenzione del mondo, ma aveva regalato a Obama un libro in una lingua che questi non conosce, un gesto generoso, ma un poco crudele".
Tra le passioni dello scrittore anche il calcio, cui dedicò uno dei suoi libri più noti nel nostro paese, Splendori e miserie del gioco del calcio, un'originale analisi della storia di questo sport: Galeano lo paragona a una recita teatrale e a una guerra; critica il patto scellerato con le multinazionali e attacca gli intellettuali di sinistra che rifiutano, per ragioni ideologiche, il gioco e il fascino che esercita sulle masse.
Post n°12291 pubblicato il 14 Aprile 2015 da Ladridicinema
Lo scrittore Eduardo Galeano a Montevideo, in Uruguay, nel 2010. Ricardo Ceppi, Corbis/ContrastoLo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano è morto a 74 anni a Montevideo. Era stato ricoverato in ospedale il 10 aprile per le conseguenze di un cancro ai polmoni. Galeano era nato a Montevideo il 3 settembre 1940 ed era giornalista, scrittore e saggista. Dalla pubblicazione nel 1971 del romanzo Le vene aperte dell’America Latina, Galeano è diventato un punto di riferimento della letteratura di denuncia sudamericana. Le sue opere sono state pubblicate in una ventina di lingue. Prima di diventare uno dei più importanti intellettuali di sinistra dell’America Latina, Galeano aveva lavorato come operaio, disegnatore, imbianchino, postino, dattilografo e cassiere. Quando i militari presero il potere con un colpo di stato in Uruguay nel 1973, Galeano fu messo in carcere e poi fuggì in Argentina. Quando il generale Jorge Rafael Videla salì al potere in Argentina, il suo nome fu aggiunto alla lista delle persone condannate dagli squadroni della morte e lui fuggì in Spagna. Tornò a Montevideo all’inizio del 1985.
Post n°12290 pubblicato il 14 Aprile 2015 da Ladridicinema
da mangialibri Perché una regione ricca di risorse come l’America latina si trova in realtà in una situazione di povertà ed umiliazion? Partendo dagli albori storici dello sfruttamento dell’America latina, ovvero dalla corsa allo sfruttamento di oro e argento, dalla schiavitù degli indios, dallo sviluppo di città giusto il tempo di sfruttarne le risorse aurifere per poi abbandonarle, e nella forma di un forte saggio di denuncia, Eduardo Galeano racconta di come gli europei si siano arricchiti alle spalle dell’America latina, ma di come ad approfittarne siano stati anche i mercanti e proprietari di terre americani. Ci parla di come la regione abbia dovuto pagare la “fortuna” di avere tante ricchezze naturali e un clima favorevole che l’hanno sostanzialmente condannata a subire le angherie di grandi multinazionali e di organismi quale il Fondo Monetario Internazionale, ufficialmente indipendente ma in realtà guidato dagli Stati Uniti. Ci racconta la condanna delle monocolture: dalla canna da zucchero al caffè al cotone, motivi che hanno fatto scorrere molto sangue latino americano. Ci parla di un destino triste, come quello di Panama, una nazione creata all’unico scopo di sfruttarne strategicamente il canale, o di un sistema capitalistico che sfrutta risorse e crea enormi capitali fisiologicamente destinati a creare disuguaglianza: l’accumulo nel ricco mondo europeo e nordamericano, al prezzo della sofferenza sudamericana. Un’emorragia mai davvero conclusa, che non ha permesso a nessun paese della regione di opporsi a questo modello economico. A supporto di questa tesi Galeano ci elenca degli esempi di governi che hanno lottato contro il latifondo, tentando la strada dello sviluppo industriale e dell’indipendenza, salvo poi cadere vittime di chi aveva interessi politico-economici troppo forti nella regione. Arrivando a scrivere che “il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale sorgeranno proprio per negare ai paesi sottosviluppati il diritto di proteggere le industrie nazionali e per fiaccare al loro interno l’azione dello stato”. E conclude parlando di una risorsa fondamentale del mondo contemporaneo, il petrolio, di come, a causa di esso, il Venezuela sia contemporaneamente uno dei paesi più ricchi del mondo ed anche uno dei più poveri e violenti, e di come il suo sfruttamento in America Latina abbia portato non solo a colpi di stato, ma persino alla guerra del Chaco del 1932 tra Bolivia e Paraguay... Due cose si possono dire per far capire immediatamente l’importanza di questo testo: prima di tutto, la sua diffusione venne bandita sotto le peggiori dittature militari in Argentina, Cile ed Uruguay perché strumento di “corruzione giovanile”. E ancora, durante l’ultima Conferenza delle Americhe il controverso presidente venezuelano Hugo Chavez ha portato un regalo al presidente Barack Obama, un libro: il suo titolo era Le vene aperte dell’America Latina. Perché? Probabilmente perché Galeano non fa compromessi. Dice la verità, con scarna solennità, racconta la storia, la politica e l’economia, senza vergognarsi di non essere uno storico, un politologo o un economista. Lo fa per la “necessità sociale di risposta”, come dice lui stesso, per contribuire con idee e storie a rispondere agli interrogativi che assillano il popolo del Sud America. Ci convince con frasi brevi, spietate, dirette. Titoletti eloquenti. Ad esempio: “L’economia nordamericana ha bisogno dei minerali dell’America Latina come i polmoni hanno bisogno dell’aria.” Oppure: “La dea tecnologia non parla spagnolo.” I paragrafi sono densi, raccontano episodi e atrocità con precisione chirurgica, evocando il passato ma partendo sempre dal presente. Per spiegare il sottosviluppo latinoamericano di oggi ci spiega come questo sia la conseguenza dello sviluppo altrui, come i latinoamericani siano poveri perché la terra che calpestano è ricca. E’, insomma, una conversazione con la gente, con sfoggio di dettagli truculenti, ma pur sempre una conversazione. E’ una catarsi, e l’impatto incredibile del libro lo mostra. Ce lo dimostra “la ragazza sull’autobus di Bogotà che leggeva questo libro alla sua vicina di posto e finì per alzarsi in piedi e leggerlo ad alta voce a tutti i passeggeri”. Ce lo dimostra “la donna che fuggì da Santiago, nei giorni dell’eccidio, con questo libro nascosto tra i pannolini del suo bambino”. Ce lo racconta Isabel Allende, nella bellissima prefazione, quando confessa che dopo il golpe del 1973, scappando dal Cile portò via con sé poche cose: tra queste, le Odi di Pablo Neruda, ed un libro con la copertina gialla, Le vene aperte dell’America Latina. Galeano può mescolare generi letterari, può raccontare la storia come un giornalista, un patriota, un narratore: perché sta conversando col suo popolo, e lo fa col linguaggio passionale che li contraddistingue. Può raccontarci della violenza dell’ufficiale che disse “Non mi interessano i racconti: portatemi orecchie”, di testicoli tagliati, donne incinte col ventre squarciato, bambini infilzati con la punta delle baionette: lo ascoltiamo, perché ci sta aprendo l’anima dell’America latina, che non può prescindere dalla sua sofferenza. Esercita il suo dovere civico e civile, Galeano. Perché, come disse Salvador Allende, la coscienza va risvegliata, la lotta mai abbandonata…e "Vale la pena di morire per le cose senza le quali non vale la pena vivere". In nome del senso profondo di giustizia senza la quale nulla ha davvero senso. Forse non era che questo il messaggio del signor Chavez per Barack Obama.
Post n°12289 pubblicato il 14 Aprile 2015 da Ladridicinema
Oltre al suo capolavoro sullo sfruttamento del continente latinoamericano, scrisse un saggio fondamentale sul calcio, una delle sue grandi passioni 13 aprile 2015 Foto: Eduardo Galeano (a sinistra) con l'ex presidente dell'Uruguay Jose Mujica, – Credits: MIGUEL ROJO/AFP/Getty Images Lo scrittore e giornalista uruguaiano, Eduardo Galeano, è morto oggi a Montevideo. Aveva 74 anni. Nato nel settembre del 1940, autore di numerosi romanzi e saggi, era ricoverato da alcuni giorni in un ospedale della capitale uruguaiana, nella fase terminale di un cancro ai polmoni contro il quale lottava dal 2007. Galeano era universalmente noto soprattutto per Le vene aperte dell'America Latina (Sperling & Kupfer) del 1971, bestseller internazionale e opera politica di riferimento sullo sfruttamento coloniale e post-coloniale del subcontinente sudamericano. Il libro rappresenta un lungo reportage che attraversa cinque secoli di storia per raccontare il saccheggio delle preziose risorse del continente: dall'oro al cacao, dal cotone al petrolio. Grande appassionato di calcio, Galeano ha seguito il suo sport preferito con uno sguardo ampio e critico, che condensò in un altro dei suoi libri capolavoro, Splendori e miserie del gioco del calcio(Sperling & Kupfer), il cui sottotitolo è assai esplicito dello stile e delle idee di Galeano in tema: "Dai Mondiali del '30 a Maradona e Ronaldo: la storia del pallone come fabbrica di miti e industria del consenso politico". Galeano aveva iniziato la sua carriera come direttore di Marcha, settimanale a cui collaborava, fra gli altri, anche Mario Vargas Llosa. Con il golpe militare del 1973, fu imprigionato e, successivamente, costretto a espatriare in Argentina. Il suo nome fini' poi nel mirino del regime di Videla, costringendolo a fuggire in Spagna, dove scrisse la famosa "Memoria del Fuoco". Secondo l'agenzia EFE Galeano stava lavorando a un testo inedito che desiderava pubblicare dopo la morte. Sarà l'editore Siglo XXI a curare questa pubblicazione che avverrà in maggio, contemporaneamente in Spagna, Messico e Argentina. Per questo giovedì era inoltre prevista in Spagna la presentazione di Mujeres, un'antologia dei migliori scritti di Galeano sulle donne, contenente saggi su personalità come Rosa Luxembourg, Giovanna d'Arco, Rigoberta Menchù, Marilyn Monroe, Santa Teresa d'Avila. La produzione narrativa di Galeano è stata influenzata, secondo i critici letterari, da William Faulkner e John Dos Passos, ma anche Vasco Pratolini e Pierpaolo Pasolini, Federico Garcia Lorca, Miguel Hernández, Antonio Machado, Luis Cernuda.
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il 28/03/2022 alle 11:57
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il 15/10/2020 alle 16:34
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il 13/11/2019 alle 16:33
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il 11/07/2019 alle 16:27
Inviato da: Enrico Giammarco
il 02/04/2019 alle 14:45