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Napoli velata

Post n°14184 pubblicato il 30 Dicembre 2017 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Coco

Post n°14183 pubblicato il 30 Dicembre 2017 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Zoolander da offscreen

Post n°14182 pubblicato il 30 Dicembre 2017 da Ladridicinema
 


Id.
, USA, 2001
di Ben Stiller, con Ben Stiller, Owen Wilson, Christine Taylor, Will Ferrell, Milla Jovovich


Nei primi anni Novanta Ben Stiller creò per uno spot di MTV il personaggio di Derek Zoolander, modello bellissimo e narcisista, protagonista ora di Zoolander, film scritto, diretto co-prodotto e interpretato dal versatile autore americano.
Penalizzata da un'infelice data di uscita, questa pellicola rischia di non lasciare traccia alcuna nel panorama della stagione cinematografica nazionale. E, lo diciamo subito, sarebbe un vero peccato. Perché Zoolander non è solo un film sul mondo della moda, ma è anche e soprattutto un'efficacissima e graffiante satira sul mondo della moda, con i suoi deliri e le sue contraddizioni, e insieme un'analisi intelligente e non banale della società attuale, fondata sull'"apparire" piuttosto che sull'"essere". Un film che si fa critica di costume nel momento stesso in cui prende di petto i retroscena del "jet set" e stigmatizza la totale mancanza di logica e buonsenso che ne sta alla base. Alla stregua di Prêt-à-porter di Altman, forse, ma con una carica irriverente che lo pone senza dubbio su un piano superiore.
Zoolander è in prima istanza la storia di una rivalità a colpi di campagne di moda e passerelle tra un modello ormai affermato (Zoolander) e uno in ascesa (Hansel, interpretato dall'ottimo Owen Wilson). Ma è anche un complotto ordito da un gruppo di stilisti che mirano a eliminare il primo ministro malese, reo di voler liberare il suo paese dallo scandalo del lavoro minorile che mantiene le multinazionali; il complotto prevede come esecutore materiale dell'omicidio proprio Zoolander, a seguito di un lavaggio del cervello operato a sua insaputa.
Mai come in questo caso, però, limitarsi alla storia sarebbe riduttivo. Zoolander è infatti un caleidoscopio kitsch che propone e reinventa modelli di abbigliamento e modi d'essere (gli anni Settanta e Ottanta sono saccheggiati a piene mani), un bizzarro campionario di personaggi azzeccatissimi e sopra le righe, un impasto di ambienti che troverebbero una collocazione perfetta in un film di fantascienza (la clinica dove Zoolander subisce il lavaggio del cervello sembra un'astronave del futuro) e che non possono non richiamare alla mente le folli invenzioni visive dei Monty Python. È un'opera visiva, che cerca e offre allo spettatore soprattutto il piacere visivo: la storia è stupida (melenso e posticcio, ancorché commovente, lo scontato "happy ending"; ma Stiller può essere perdonato), i personaggi e i dialoghi sono stupidi; Zoolander stesso è l'emblema della stupidità, ciò che lo rende oggetto di scherno di chi lo circonda, ma anche un personaggio che cerca se stesso ("Chi sono io mai?" è la domanda ricorrente nella prima parte del film) e tenta soprattutto di evadere da un mondo che non lo rappresenta più. Così torna inizialmente dal padre e dai fratelli che si spezzano la schiena lavorando in miniera, poi coltiva il sogno di creare un istituto per bambini con difficoltà a leggere, che puntualmente si realizzerà alla fine. Se la morale è semplice e scontata, ciò non significa che sia anche banale, e almeno questa volta va certamente a segno.
E Stiller non si limita a questo. Si permette, per esempio, il lusso di parodiare una delle scene più celebri della storia del cinema: la sequenza di 2001: Odissea nello spazio in cui la scimmia "Guarda-la-luna" getta in aria l'osso che si trasforma in navicella spaziale. Nella fattispecie, le note di "Così parlò Zarathustra" accompagnano il fallimentare tentativo di accendere un computer Macintosh da parte della coppia Zoolander-Hansel, mentre i due si atteggiano a scimmie saltellanti ("Hai premuto la meletta?" chiede il primo al secondo riferendosi al simbolo della "Apple"). E non è l'unica citazione del maestro Kubrick; la sequenza del lavaggio del cervello ricorda notevolmente la "cura Ludovico" subita da Alex in Arancia meccanica. E in entrambi i casi, a far scattare nel cervello dei personaggi il ricordo della cura subita è la musica: ma se nel capolavoro kubrickiano era la "Nona" di Beethoven, qui, più prosaicamente ma con irreprensibile coerenza, è il successo commerciale "Relax" a scatenare in Zoolander le manie omicide.
Il film è inoltre impreziosito dalla presenza di un numero impressionante di star, che appaiono anche per brevi istanti nella parte di se stesse; se è impossibile citarle tutte (molte di esse non sono note al pubblico italiano), vale la pena di ricordare, tra gli altri, Donald Trump, Christian Slater, Cuba Gooding Jr., Natalie Portman, Lenny Krawitz, David Bowie, Claudia Schiffer, Winona Ryder e Billy Zane. La loro presenza è dovuta al fatto che una parte del film è stata girata ai Fashion Awards 2001 (gli Oscar americani della moda).
Zoolander è un film esilarante come pochi se ne vedono, che fa del grottesco la principale chiave di lettura e dell'impatto spettacolare il suo punto di forza. Una pellicola trasgressiva, programmaticamente sguaiata e divertente, che unisce manifestazioni di intensa vitalità a una lucida presa di coscienza, cui segue l'inevitabile giudizio, degli scompensi che affliggono il mondo della moda e i suoi protagonisti costantemente a un passo dal tracollo psicofisico. 

 
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Storie sospese

Post n°14181 pubblicato il 30 Dicembre 2017 da Ladridicinema
 

Locandina Storie sospese

Thomas è un rocciatore che mantiene a fatica una moglie e tre figli, arrampicandosi sulle montagne per metterne in sicurezza le pareti. A causa di un incidente costato la vita a un suo collega, Thomas perde il lavoro ed è costretto ad accettare un nuovo incarico da una vecchia conoscenza, un rocciatore diventato faccendiere: dovrà posizionare dei prismi ottici per effettuare rilevamenti sui monti che circondano un paesino abruzzese dove le crepe nei muri si stanno moltiplicando. In realtà il suo intervento “tecnico” è una foglia di fico per coprire le scorrettezze legate alla costruzione di un traforo che consentirà il passaggio di un nuovo percorso autostradale. A lottare contro questa messinscena sono un geometra che usa ancora strumenti obsoleti e una maestra d’asilo convinta che non si debba giocare con la vita della gente.
Stefano Chiantini, alla terza prova registica nel lungometraggio di finzione, si cimenta con un argomento di grande attualità (vedi non solo il movimento di protesta no-TAV ma anche la frana di Ripoli, ai cui abitanti è dedicato il film) ma perde l’occasione di lasciare un segno cinematografico incisivo. Molte delle (buone) intenzioni del regista-sceneggiatore rimangono infatti intrappolate nella sua penna senza trasferirsi efficacemente nel copione, e a un inizio promettente, in cui l’azione si dispiega quasi senza parole, segue l’alternarsi degli argomenti pro e contro traforo, equamente distribuiti fra un cast che comprende anche l’ottima (e gravemente sottoutilizzata) Sandra Ceccarelli.
Marco Giallini fa del suo meglio per portare sulle spalle lo zaino pesante della storia mettendo a frutto i silenzi così consoni a un montanaro e la sua personale integrità, ma la vicenda si riduce a un battibecco fra opposte fazioni, e soprattutto il personaggio della maestrina interpretata da Maya Sansa risulta irritante nella sua mancanza di acume strategico e di scrupoli (visti gli occhi dolci che fa allo sposatissimo Thomas). Anche lo spunto più interessante della storia, ovvero il contrasto generazionale fra un giovane geologo affiancato a Thomas, lo stesso Thomas e il geometra ribelle, che suggerisce come il travet cinquantenne interpretato da Giallini sia l’anello debole della catena in quanto il più vulnerabile al ricatto dei datori di lavoro, è sacrificato alla contrapposizione fra i duellanti.
Infine la lettura metaforica, che dovrebbe apparentare le fratture delle rocce con quelle che si aprono a poco a poco nella coscienza di Thomas, è visivamente e narrativamente poco sviluppata, sacrificando le caratterizzazioni alle dinamiche da documentario di denuncia. Volendo azzardare una metafora geologica, troppi elementi della narrazione sono rimasti incastonati in una sceneggiatura che avrebbe invece dovuto estrarli uno ad uno, come diamanti grezzi. In questo modo la trama del film resta sospesa nel vuoto, come un rocciatore cui non sono stati assicurati sufficienti appigli.

 
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Via castellana bandiera

Post n°14180 pubblicato il 30 Dicembre 2017 da Ladridicinema
 

Locandina Via Castellana Bandiera

Samira ha tanti anni e un dolore grande: ha perso sua figlia, uccisa dal cancro e da una vita tribolata nella periferia di Palermo. Da sette anni la ritrova in un cimitero assolato e desolato, dove sfama cani e cuccioli prima di riprendere la strada di casa alla guida della sua Punto e a fianco di un genero ostile. Rosa ha una madre da lasciare andare e un passato da dimenticare a Palermo, dove accompagna Clara, la donna amata, al matrimonio di un comune amico. Inquieta e infastidita da una città da cui è fuggita anni prima, infila via Castellana Bandiera, un strada stretta e senza senso di marcia. In direzione ostinata e contraria arriva Samira e chiede il passo per raggiungere la sua casa a pochi metri dall'impasse. Contrariata e altrettanto risoluta, Rosa è decisa a mantenere la posizione. Irriducibili sotto il sole tenace di Palermo, Samira e Rosa si affronteranno in un duello che non contempla resa e retromarcia.
Di un uomo caduto morto in un duello non si penserà che "abbia dimostrato di essere in errore riguardo al proprio punto di vista", scrive Cormac McCarthy in "Meridiano di sangue". Allo stesso modo Emma Dante, regista teatrale che debutta al cinema, elude 'giustificazioni' o allineamenti, decidendo per il dicotomico senza stabilire una vittoria di una parte sull'altra o affermare quello che è giusto su quello che invece è avvertito come inopportuno. Rosa e Samira sono opposti che si osservano e si affrontano a una distanza limite. Figlia di un'altra madre e madre di un'altra figlia, sono selvagge votate alla distruzione vicendevole, corpi in stretto rapporto e dotati dello stesso corredo di dolore. La natura identica e testarda origina allora la tragedia, riflettendole geometricamente e impedendole a praticare la tolleranza e l'integrazione emotiva dell'altro. Calate in un clima 'pagano', che mette in scena le incomprensioni e le follie di una comunità, le protagoniste (si) ingombrano la strada del titolo e lasciano fuori campo il buco, un vuoto, uno strappo, una ferita 'non filmabile'. Oggetto di spettacolo diventa perciò la loro ostinazione all'immobilità. Schierate l'una di fronte all'altra come in un western classico veicolano pulsioni dissidenti e negative, infilando con via Castellana Bandiera il punto di non ritorno. Il duello, celebrazione dell'ordine sulle eventualità disgregative del disordine, nel dramma di Emma Dante genera al contrario una forza distruttiva che diventa espressione fondante della pulsione di morte dei suoi personaggi. Nessuno escluso. Non ci sono regole da stabilire (e da rispettare) in via Castellana Bandiera. Dove la forza produce un diritto e la gente abita lo stesso numero civico, c'è piuttosto da scommettere sul cavallo vincente. Acme del racconto, il duello made in Italy tra una Punto e una Multipla non risolve le tensioni create dalla narrazione ma le provoca definendo geometrie che si dispongono nella profondità delle protagoniste e da lì ripartono contaminando parenti, vicini, curiosi, avventori. Disagio e inesorabilità si distribuiscono frontalmente e si incarnano in donne incapaci di qualsiasi ricognizione, di qualsiasi compassione, di qualsiasi ripresa. Interpretato dalle efficacissime Elena Cotta e Emma Dante, 'affiancata' dalla Clara di Alba Rohrwacher, Via Castellana Bandiera è un film a imbuto che trascina idealmente e concretamente in un gorgo di smarrimento infinito i suoi personaggi. Confronto tragico e lontano da qualsiasi purezza eroica, l'opera prima di Emma Dante ci lascia testimoni muti e agghiacciati. Impossibilitati a intervenire inserendo la retromarcia per evitare la deriva e liberare la strada a un 'paese' bloccato e incapace di ripartire. Se non in direzione della collisione e del suo esito sciagurato.

 
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Repubblica: De Benedetti, Scalfari, redazione. E' tutti contro tutti da affariitaliani

Post n°14179 pubblicato il 30 Dicembre 2017 da Ladridicinema
 

Martedì, 19 dicembre 2017 - 14:44:0
Repubblica: De Bendetti, Scalfari, redazione. Al giornale non c'è pace
Repubblica: De Benedetti, Scalfari, redazione. E' tutti contro tutti
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Il genitore che scarica l' erede, il figlio che sconfessa il padre, i giornalisti e la direzione che fanno fronte comune contro il vecchio patron, scrive il Foglio. Che cosa accade alla Repubblica e in casa De Benedetti? Secondo i più maliziosi, il passaggio chiave dell' intervista galeotta dell' Ingegnere al Corriere della Sera, che ha provocato una frattura aperta con il comitato di redazione, con i vertici del giornale e con il figlio Marco, presidente del gruppo editoriale, è il riferimento di Carlo De Benedetti a Luciano Benetton il quale intende rimettersi a filare i vecchi maglioncini, scoloriti non solo dai manager, ma da suo figlio Alessandro. "Commovente", l'ha definito CDB. Vuoi vedere che si è già pentito di aver lasciato sei mesi fa ai suoi tre rampolli un gruppo con 300 milioni di euro in cassa e soprattutto il suo gioiello, la Repubblica?
Chi vuole guardare ancora più avanti sostiene che in realtà l' Ingegnere stia rimuginando anche sull' accordo stipulato a marzo con John Elkann, perché l' erede Agnelli potrebbe assumere un ruolo decisivo in Largo Fochetti.

Nel secondo gruppo editoriale italiano, continua il Foglio, s'è messo in moto un processo dagli esiti non scontati. Certo, Elkann non vuol fare l' azionista passivo. Non lo ha fatto alla Rcs, dove ha preso il comando. La battaglia di Via Solferino è finita con una ritirata a favore di Urbano Cairo che sta trasformando i connotati editoriali e la linea politica del Corsera.

 
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