La gattara
Una caratteristica di Roma è l’insediamento, da sempre, di colonie di gatti randagi, soprattutto nel centro storico. Li vedi acciambellati sui monconi di antiche colonne romane, tra i piedi delle statue di Giulio Cesare o di Marco Aurelio, sulla scalinata della Basilica di San Paolo. Con gli occhi socchiusi, ma sempre vigili, sembrano sorvegliare la loro città, i loro monumenti. Si aggirano solitari, come tante sentinelle, nelle piazze, nelle strade, nei parchi, a Torre Argentina, al Colosseo, ma si riuniscono insieme quando la gattara dà loro da mangiare. Si dice che siano circa 300.000 i gatti a Roma, di cui 180.000 presso famiglie e 120.000 nelle strade. C’è un legame molto profondo tra i romani e i gatti. La città eterna deve a questi felini l’essersi salvata dalla peste trasmessa dai topi.
Anche nel mio quartiere gironzolano bei gattoni, ti passano tranquilli sotto il naso. E neanche ci fai più caso. Ciò che infastidisce è, invece, l’odore della loro orina in alcuni angoli.
L’edificio della scuola media, proprio dietro casa mia, ha un piccolo giardino, dove bazzicano una decina di gatti. E, spesso, vedo una signora anziana, munita di ciotole e di cibo in scatola e di avanzi, forse raccattati qua e là. Passa ore con i suoi amici felini. E’ sempre intenta a parlare loro con amore. Con cura riempie le ciotole. Mi ha sempre intenerita e incuriosita quella donna, dall’aspetto curato e pulito, anche se si intuisce il suo tono di vita molto semplice, al limite della sopravvivenza.
L’altra mattina, ero in giro per il vicino mercatino, la vidi e, dopo un attimo di esitazione, mi avvicinai.
- Le sono affezionati!-
E lei, alzando lo sguardo verso di me:- Sì, porto loro da magna’ tutti i giorni. Ormai me conoscono e se’ fanno avvicina’!-
Abbassandomi ad accarezzare il gatto a me più vicino e, forse anche il più coccolone, le chiesi:- Ma quanti sono?-
La gattara, mentre riempiva d’acqua una ciotola rossa:- So’ 6, ma ogni tanto si unisce qualche gatto che viene da altri quartieri. Vedi quello nero, laggiù, quello co’ le chiazze bianche? -
Alzai lo sguardo e vidi un gattino spelacchiato e che, dal passo e dagli occhi furbetti, mi sembrava anche il più vivace e, forse, il più giovane di tutto il gruppo.
La donna continuò:- Quello è er più diffidente. Sai quanto tempo ha impiegato per farse avvicina’? Tanto. Era sempre lì, me’ guardava da lontano co’ suoi occhietti furbi e si avvicinava alle ciotole solo quanno io ero distante. Poi, pian piano, passo dopo passo… oggi è er primo a venimme incontro.- La gattara sorrideva; un sorriso fiero, soddisfatto.
- Abita qui vicino, signora? - Le chiesi continuando a giocherellare col gatto coccolone.
- Sì, dietro er mercato! Vengo qui tutte le mattine e faccio compagnia ai miei amici gatti. So’ sola, mia cara. I miei figli vivono al nord, uno a Torino e l’altro a Mantova. Scendono ogni morte de’ Papa qui a Roma. Lavorano, sono in carriera anche le loro mogli. Me’ telefonano una volta al mese. Me’ mandano qualcosa, de’ soldi, ogni tanto, questo sì, ma forse lo fanno pe’ sentisse con la coscienza a posto. Ma a me mancano. I miei nipotini mi mancano. Ho l’impressione che neanche si ricordino de’ me. Ne ho 3, so’ bei pupi. Mio marito, pace all’anima sua, è morto anni fa!-
Ed io, sempre più intenerita da quella storia di solitudine metropolitana, dalla storia di una donna sola, di una madre dimenticata persino dai figli:- Ma non ha proprio nessuno qui? Un parente, un’amica?
- No, cara. Questi - indicando i gatti – sono gli amici miei. Poi, l’uomo te lo raccomanno. E’ tutto preso da altri pensieri, a fa’ denaro. Ha dimenticato se stesso e chi gli sta attorno! Una volta non era così. Sai, quanno ero giovane, abitavo a Testaccio; lì ci si conosceva tutti, ci si aiutava l’uno con l’altro, si passavano ore e ore a chiacchiera’ sotto casa, o sul pianerottolo o alla finestra. Oggi corrono tutti, nessuno te’ guarda in faccia. Ma dove vanno così de’ pressa?-
Sorrisi. Un sorriso amaro:- Ha ragione, è proprio così!- E pensai ai miei vicini; neanche conosco i loro nomi. Si continuò per un po’ la conversazione, mentre l’aiutavo a raccogliere le scatolette e le ciotole ormai vuote. Parlava tanto; avvertivo il suo bisogno di essere ascoltata.
Poi, con rammarico la salutai.
E lei, con occhi lucidi, disse:- Mi ha fatto piacere scambià du’ chiacchiere co’ te. L’ho letto nei tuoi occhi che sei buona e dolce. Tanta fortuna, mia cara!-
Uno scambio di mani, di auguri e di sguardi, molto intenso. Mi allontanai, anche se avrei voluto farle ancora mille domande, ascoltarla, farle ancora un po’ di compagnia.
Ripresi la strada verso casa, era quasi ora di pranzo. Mi sentivo malinconica, ma anche serena. Sorridevo. Pensavo. Quanto tempo sprecato alla ricerca di chissà cosa. A volte basta poco. Basta guardarsi intorno, scambiare un sorriso, due parole anche con una persona sconosciuta, con una gattara, per sentirsi già meglio. Ritrovarsi insieme, come quei gatti randagi, e il cuore pompa già in modo diverso.
Maria
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il 19/10/2009 alle 20:28
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