Creato da MarianneWerefkin il 26/10/2007

Il mignolo

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Messaggi di Dicembre 2014

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Post n°227 pubblicato il 20 Dicembre 2014 da MarianneWerefkin

7:58. Sveglia da tre ore e praticamente in ritardo. Seduta comodamente nel sedile della mia auto a fissare la nebbia che confonde cielo e terra al di là del vetro e non risparmia pensieri. Perché io ci parlo con la nebbia. Trenta secondi mi ripeto, poi scendo, lo prometto all'orizzonte che non c'è ma percepisco. Sbuffo, mi picchietto il labbro superiore, poi nascondo le labbra con la mano. No, non ci parlo, io ci penso, la respiro, ma non mi esprimo al freddo vuoto. Arrivano auto e si affiancano alla mia, ancora 10 secondi, lo giuro e vado all'accettazione. Perché poi parlo anche con i pioppi che incorniciano il grigio spettrale della mattina e devo finire il discorso con loro, e devo ribadire il dissenso, il fastidio, ma loro muti se ne stanno indifferenti verso l'alto. La gente scende, 5 secondi, sul serio, mi sgranchisco le ossa, ci provo. Perché parlo anche alle mie ossa, io. - Fate le brave e sorridete, dite cis...-

 
 
 

Pensieri.

Post n°226 pubblicato il 17 Dicembre 2014 da MarianneWerefkin

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L’orma degli eventi passati.

Resta in un frammento di cellula smarrita nell’infinità. E lì si dimentica.

 

 

 

 
 
 

Giulia

Post n°225 pubblicato il 11 Dicembre 2014 da MarianneWerefkin

Se qualcuno la vedesse sentirebbe una pena infinita. Senza vergogna, sarebbe la sensazione più umana che si potrebbe sperimentare di fronte a lei. Poi un vuoto assoluto sulle labbra ed una gola strozzata da tanti pensieri e parole che in alcuni frangenti non potrebbero emergere. E' meglio così, sarebbe la sintesi di tutto, mentre la figlia la guarda con occhi carichi di affetto e di speranza, compassionevoli e storditi da un lutto inesorabilmente imminente. Giulia ha smesso di mangiare e sta facendo morire il suo corpo. Nell'ambiente, fra di noi, vige una strana leggenda: Quando un paziente smette di  nutrire il suo corpo e idratarlo è perduto, esprime il volere di andarsene e ci riesce. Questo la figlia non lo sa, non è cinismo, ma l'alone sotto gli occhi, il respiro faticoso, le labbra appena schiuse per lasciar passare solo qualche sibilo in risposta a domande, stupide, troppo stupide cazzo, non lascia presagire altro. Questo è il lusso di essere fuori ed io invece ero lì davanti a loro. Il labbro della figlia era sforzato in un accenno di sorriso, tradito dal tremore delle labbra. Io in silenzio come una cretina che mi dannavo per trovare qualcosa da dire.
Dovrei sapere cosa dire, eppure a volte l'unica cosa che riesco a fare è stare in silenzio. Tutto questo mi fa letteralmente impazzire.
Rimaniamo sole io e Giulia, finalmente riesco a farle una carezza sulla fronte e ad aprire bocca. -Sei stanca Giulia? Puoi dormire se vuoi- -Stai qui con me?- -Sì- . Sto pronunciando delle parole assurde. Non ci credo che siano uscite davvero. Eppure sì, le ho proprio detto che poteva andarsene se lo voleva, che era tutto a posto e sarei rimasta lì a farle compagnia. Mi viene una vertigine che quasi ho bisogno di sedermi, mi sento frastornata dall'estremo, dal limite superato. Ho fatto uscire l'indicibile, l'incredibile, l'inaudibile.

 

 

 
 
 

In conclusione...

Post n°224 pubblicato il 02 Dicembre 2014 da MarianneWerefkin

Che dire. Sono convinta che anche i miei oncologi abbiano un animo poetico. Lo notavo dal tono della voce, da come accarezzavano la fede al dito. Lo notavo dal loro scrutarmi e sentirmi la schiena e poi ricoprirla con i miei pigiami improbabili. Sono assolutamente convinta che le loro mani esprimessero delicatezza interiore e che l'acqua poi sulle stesse, ad una visita e l'altra, lavasse sgomento e un po' del nostro male. Credo fermamente che le loro spalle voltate e il loro parlarmi di schiena a volte potesse essere solo un nascondiglio, del quale non potevano fare a meno, e mi ci sono nascosta anch'io in mezzo alle loro scapole. Il loro sorriso e la loro tenacia nel sorreggerlo fossero eroiche manifestazioni di coraggio. La camminata lenta e rispettosa del silenzio, a fianco il mio letto. La porta socchiusa e il loro spirito curioso, avventuriero, ad un capezzale. Il non fermarsi e l'andare avanti, la ricerca e l'impegno, la nostra volontà coriacea che ci illuminava e reciprocamente restituivano, il nostro scambio di suoni, sempre uguali, aspettando Godot, la ripetizione delle azioni amate ed odiate ogni giorno e l'attesa di un particolare, un dettaglio che immancabilmente arrivava a ravvivarci una cellula, poi un'altra ed un altra ancora e lentamente diventava il nostro nuovo DNA. E loro ci accompagnavano così, con scarpe da ginnastica e a volte nuovi tagli di capelli, con targhe traballanti alle loro auto in alcuni casi davvero scassate. Molto scassate, ma sorprendentemente simpatiche.

 
 
 

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Post n°223 pubblicato il 01 Dicembre 2014 da MarianneWerefkin

Che la memoria sia un tesoro inestimabile e che sia depositaria di ricordi che per diritto e dovere non devono essere cancellati siamo tutti d'accordo.
Alla presa d'atto che il mio passato da malata di cancro non si cancella, negli ultimi mesi la domanda che più mi ha creato dissidio interiore e anche fastidio dolente, stizza, smorfia e orgoglio ferito, è stata quanto spazio occupa dentro di me, ora, quella esperienza. E' come cacciare giù piangendo un boccone amaro a forza. La risposta è nata con un parto molto doloroso e folle, contro natura, quasi volessi ricacciare dentro, sempre più in fondo, la consapevolezza che sì: ora sono anche questo.
Inutile dire di non voler riesumare niente.  Se  parlo di me dico anche di questo.
E' tutto profondamente cosciente e vivo, il viso della mia dottoressa mentre mi parla cautamente, il viso del primario mentre da un nome alla mia malattia, il viso del primo oncologo incontrato poi a Bologna che come fosse la normalità mi diceva che avevo un tumore ad elevata malignità e mi parlava di sopravvivenza, il volto del chirurgo che mi parla di quarto grado e mi dice che al quinto non c'è nulla da fare. Tutto questo fa parte di me. Fanno parte di me la padella e la carrozzina, la mia cicatrice e i doppi nodi ai lacci delle scarpe, fanno parte di me la mia protesi e la mia gamba sinistra che ancora sento come un dente appena curato. Fanno parte di me i crampi allo stomaco e la gola massacrata che impediva la deglutizione e quindi le flebo e quindi le trasfusioni, poi la ritenzione idrica e quindi le punture per contrastarla. Ed i fattori di crescita per il midollo che non produceva più piastrine, globuli rossi e neutrofili e allora l'isolamento e le visite centellinate, che un raffreddore poteva creare davvero grossi problemi e il sangue dal naso prevedeva una corsa in ospedale per fermarlo. E le petecchie, minuscoli puntini rossi che significavano l'avanzare della tossicità della chemio per il midollo osseo. Le transaminasi alle stelle e il rischio di coma epatico se dimenticavo il farmaco salva vita, perchè certa chemio ad alte dosi è letale e ti tocca poi prendere medicine ad orari prestabiliti per evitare il peggio (preventivato). Il vomito verde e marrone oppure giallo; la pipì rossa o anche quella gialla a seguito dell'aggancio del Broviac alla pompa, ed il farmaco che con lentezza iniziava la sua discesa verso di me. Lo stavo a guardare in silenzio pensando -chissà se ce la farò?. Anche questo, il primo giorno non lo dimenticherò mai. Fa tutto parte di me.

 
 
 

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