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La verità (a volte) scorre via

Post n°48 pubblicato il 16 Luglio 2014 da IlContaFiabe

Come arrivavano certe giornate d’autunno quando il sole ti sveglia che ti sembra primavera? Giorgio non lo sapeva, ma se lo domandava, senza comprendere se era lui ad averla chiamata  una mattina così o era stata lei a venirlo a trovare. Succede che uno si alzi dal letto e niente ma proprio niente lo distolga dal pensiero di prendersela quella mattina, di farla sua, come fosse una donna, la più bella donna che  avesse mai incontrato e posseduta anche sapendo che, infondo, era  solo il  tempo che si vuol sentir passare fra le dita delle mani.

Così accadeva a Giorgio quella mattina. Alzato di gran fretta e subito dopo nella doccia la mano girava la manopola dell’acqua. Calda, la voleva più calda. Ed uno scroscio forte sembrava perforargli la pelle. Sentiva quasi il dolore dell’epidermide colpita dai goccioloni bollenti. Ma non importava. Era così che la voleva anche perché sapeva che dopo poco anche il dolore si sarebbe arrestato, anestetizzato o forse sopraffatto, dalla sua stessa persistenza.

 

Anche il dolore quando è una costante poi sembra scomparire.

 

Se la voleva ricordare questa frase, e se l’appuntò scrivendo con il dito sulla patina di vapore che s’era formata sul vetro.

 

Sarebbe svanita, lo sapeva bene, perché certe cose le pensi e poi quasi non ci credi, o sembran vere solo facendo una doccia, o nel dormiveglia, quando i pensieri che s’affollano paiono svelare verità assolute che poi spariscono, si sciolgono appunto, alla prima luce del sole. Sarebbe sparita anche quella  come le altre verità colte in un momento, con il velo d’acqua sublimato nell’aria.

 

-“Così si perdono certe verità, ma anche molte sciocchezze”– pensò Giorgio in un sorriso.

 

La moto, quella moto nuova che aveva desiderato e poi finalmente comprata era giù ad attenderlo. Si lo sapeva, se ne era privato a lungo dopo quel brutto incidente degli anni passati. Se l’era promesso, anzi giurato, che mai e poi mai ci sarebbe risalito. Ed invece eccola lì occhieggiargli muta, placida eppure possente.

 

La vestizione fu rapida. –“Si parte per un giro mica per un Gran Premio”-. Il casco nuovo anch’esso calcato per ultimo sulla testa. Gli dava uno strano piacere il risentire quella calotta aderire in modo quasi perfetto al cranio richiudendolo fino a quel giusto punto di costrizione. La visiera ancora intonsa si abbassò creando un’ulteriore barriera fra il sè ed il mondo attorno, aiutandolo ad eliminare un altro contatto.

 

Voleva isolarsi, dentro a quel casco, con i suoi pensieri e la sua moto fra le gambe e sotto, poco più sotto, la striscia di asfalto da immaginare mentre fuggiva dietro le ruote.

 

Lo start, il rombo del motore, calmo, cupo, un filo di gas gli fece innalzare la voce. Giorgio respirava calmo eppure un po’ di emozione assalì il suo corpo attraversandogli la spina dorsale.

 

La mano si tese afferrando, tirando a sé la leva della frizione. Il piede sinistro fece scattare il bilanciere in avanti innestando la prima marcia. Un filo di gas e la moto percorreva già la rampa che dalla rimessa immetteva nel traffico cittadino. Ecco, le macchine attorno e Giorgio fra di esse. Piano, si cavalcava piano la strada, quella strada. Si percorreva con attenzione quel percorso caotico, affollato, rumoreggiante di clacson dove l’aria era spessa di fumi di scarico.

 

La meta, la strada vera, l’emozione, sarebbe stata lì, fra poco, fuori le mura, fuori dalle colonne d’auto.

 

Perché la strada è così, quando uno la vuol guidare, se la sceglie, se la va proprio a cercare.

E hai voglia a dire che la strada è come la vita. no, la vita arriva come arriva, ed anche se cerchi di fartela tu, su misura, quella imbizzarrita come una puledra restia alla doma, scarta e corre e volta e gira e tu non puoi, alla fine che assecondarne il verso o la corsa, immaginando appena per pochi attimi di poterla guidare.

 

Eccola lì la strada, nastro color della ghisa davanti, con quella striscia bianca che riemergeva a volte, dall’asfalto, altre, più di sovente, si faceva inghiottire e sparire, mescolandosi, miscelandosi o lasciandosi inghiottire per finire chissà dove. La guardò e poi l’attaccò piano, con quel rispetto che si deve alle cose che pur conosciute sai che possono nasconder l’imprevisto ed il tuo sesto o settimo senso, chi lo sa, l’imprevisto lo vorrebbero evitare.

 

Respirò. Zac. Una piega, leggera, verso sinistra. La moto s’inclinò un poco e la prima curva passò via, leggera. Zac. Rialzato, senza aver neppure forzato con il gas. Non c’era bisogno di darne in quel tratto. Giorgio quella strada la conosceva bene, come un’amica, a volte aveva pure immaginato d’esserne l’amante, si di accarezzare quelle curve morbide, sinuose, sensuali…..si sarebbe potuto dire. Eccola. La seconda. Zac. Una piega un poco più decisa. Ancora la moto s’inclinò sulla destra. Sembrò una linea tracciata con il compasso. Ci andò di precisione, niente potenza bruta. L’assaporò così, istante per istante, quella traiettoria ampia…..

Ampia…. Cos’era l’ampiezza di una curva davanti a quella del pensiero o soltanto paragonata a quella della gonna lunga di Elena che si allargava mentre lei roteava danzando sopra un prato di tanti, troppi anni fa?

Quelle erano ampiezze. E larghi i battiti del suo cuore avevano raggiunto l’apice quando i suoi occhi s’erano persi dentro a quelli di lei, mentre lei sorrideva.

 

Ampi erano i gesti, che non si potevano contenere quelli di un amore scoppiato d’impulso, irrefrenabile, imprescindibile. L’amore fatto di quei pochi anni di allora, e di quel poco amore già vissuto. L’amore allora aveva una dimensione indescrivibile.

 

Zac. Dopo la curva di nuovo rialzò il mezzo.

 

Le gomme ormai calde avevano un’aderenza perfetta con l’asfalto. Le molecole di catrame e quelle del pneumatico sembravano attirarsi reciprocamente. Quel nuovo calore era forse il segno d’un nuovo amore? Di quel loro amore dove la mescola si fondeva con la miscela bituminosa?

 

Strane forze generano il calore e l’attrazione.

 

Era tempo di accelerare, un poco, non di sfidare la strada, ma di scendere in un’intima complicità con lei, di tracciare un limite e di superarlo allo stesso tempo.

 

Come gli amanti, quando giocano con i loro sensi, tracciando un limite ogni volta un po’ più in là, concedendo  e concedendosi di superarlo un po’ per gioco, un poco per la frenesia dei sensi che, scaldandosi confermavano in quel loro rapporto una sorta di unicità, di assoluto.

 

Come quando ci si accorge che il tempo delle parole è maturo, come quello degli sguardi complici, dei sorrisi d’intesa e si sa si sente che otre quel limite sarà solo questione di distanze che in breve si annulleranno, e verrà allora il gioco delle labbra che si sfioreranno un attimo e poi s’incontreranno e prenderanno in un bacio, in quel primo bacio che sarà la fine di quel ciclo di emozioni del prima, quando le parole s’inanellavano in sequenza, quando agli occhi era dato unico scopo di guardare dentro all’altra e poi sarà invece un gioco di mani, di passioni e di nuove parole, quelle che verranno, ma dopo l’aver scoperto il Mistero. Dopo il tutto già svelato.

 

Ecco lì il curvane che  l’aspettava, non per una sfida no, ma quasi come un abbraccio, che Giorgio si accinse a cogliere con un ampio respiro. Trattenne il fiato. Zac. Piega decisa. Dentro  con il gas che aveva lasciato prima. E poi, nell’apice di quella curva voluttuosa, giù ad aprirlo forte per sentirsi tirar fuori in un istante. Come se quell’abbraccio potesse trattenerlo in un punto e si avesse bisogno di tutta la forza di quel motore per poter fuggire e tornare dall’altra parte.

 

Forse c’era un mondo differente che poteva risucchiarlo nel punto di massima piega di quella curva. Forse c’era una porta aperte ma mai varcata verso l’infinito. Una porta che tutti temono e rifuggono, dando gas, dando motore. Che la forze del ruggito dei pistoni  li riportasse via, lontani dall’ignoto, di nuovo nel mondo conosciuto, lungo la via di casa.

 

Espirò buttando l’aria trattenuta dentro ai polmoni.

 

La curva ormai era passata, ed anche la porta, quella porta che aveva schivato senza comprendere, se davvero il lasciarla fosse la scelta migliore.

 

Tanti partono per l’infinito a scoprire nuovi confini a spostar la linea d’orizzonte e lui, codardo, rifuggiva nuove mete girando una manopola con un colpo di polso deciso.

 

Anche quella porta, anche quel nuovo mondo che forse c’era e forse lo attendeva nel punto limite di quella curva era una verità che fuggiva via.

-“Me ne ricorderò – disse Giorgio, fra se - per scriverla sopra il vetro umido, quando farò la doccia, domani. E la vedrò sparire, a poco a poco, allo svaporar dell’acqua perché alla fine, passeranno le parole, e le verità fuggiranno da noi come l’alito di fiato che inumidisce lo specchio o il vetro, per un istante solo e poi svanire”-..

 

 

 
 
 
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