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Messaggi del 13/03/2014

 

Mogwai - Rave Tapes

Post n°341 pubblicato il 13 Marzo 2014 da syd_curtis
 
Tag: 2014, Mogwai

 

Il disco di una band che suona divertendosi: Nei loro lavori più recenti, le colonne sonore di Zidane e Les Revenants, mi pareva avessero raggiunto la maturità: scrollata di dosso la fase noisenik, accedevano a un territorio spazioso, con momenti di estrema bellezza. Ottima cosa, ed in effetti a me piacevano più così, senza i loro carichi di chitarre da dieci tonnellate. Ai Mogwai si confà questa 'pulizia' - anche se il loro rumore è affilato e ripulito lungo i bordi - e pare che meno rumore producano, più la chiarezza possa essere apprezzata. Con questo album, tuttavia, sembra abbiano deciso di costruire qualcosa di nuovo sotto l'impalcatura, seminano tastiere, falsi archi e samples divertenti lungo tutto il cammino, e funziona, funziona alla grande. C'è spazio a sufficienza, tanto che persino le piccole cose assumono importanza; spruzzano attorno un bel po' di colore forte, e persino aperto umorismo. (da Fact Magazine).

Dietro il divano degli Errors: Tristemente, i Mogwai, eroi del post-rock, continuano ad arrancare replicando i loro primi trionfi in maniera sempre meno efficace, con risultati minori, perdendo tempo nell'utilizzo inetto di elementi di progressive elettronico. In ques'ultima categoria, 'remurdered' vede la band annaspare svogliatamente nel tentativo di trovare una nuova dimensione, nascosti dietro lo schienale del divano degli Errors, intenti ad ascoltare i Kraftwerk. Più avanti, i toni scuri della chitarra di 'Deesh' sono sommersi dagli accordi senz'anima del synth. Nella prima categoria, Repelish prende a prestito un sample da spoken-word e sembra mimare in modo fiacco il vecchio "Punk Rock:" alla Iggy, dal capolavoro del 1999, Come on Die Young. Heard about you last night cerca di richiamare il mood dei primi lavori della band, ma fallisce nel tentativo. La chitarra agitata di MasterCard ecciterà solo coloro i quali non hanno mai ascoltato né i Big Black né gli Shellac. (da Under The Radar)

Gente di bocca buona, questo siamo: E' vero, sono sempre i cari vecchi Mogwai, ma intendiamoci: non è un difetto. A me pare che siano stati restituiti agli antichi splendori, posto che la band abbia mai avuto periodi di flessione. Il disco suona compatto, tosto. Curioso: gli incipit di alcuni pezzi potrebbero stare in 'Cattive abitudini' il penultimo album dei Massimo Volume. Si ascolti la traccia iniziale, o Hexon Bogon o la bellissima Master Card (lo ammetto, non ho trascorsi con i Big Black, me tapino): ci si aspetta da un momento all'altro che attacchi a cantare Clementi. Post-rock è un etichetta che non riesco a digerire, come già scrivevo nell'articoletto precedente. Preferisco slowcore, se proprio un'etichetta è necessaria. Qui ci sono pezzi da leccarsi i baffi, che non ti stanchi di riascoltare. Che male c'è a ripetersi un po', quando lo standard qualitativo rimane alto? E poi pigliate Remurdered: l'inserto del synth a metà brano è di gran classe, elettrica e synth vanno a braccetto fino alla fine, quindi si sposano e generano figliocci belli come i genitori: tutte le tracce seguenti. Unico bruscolo, se proprio vogliamo trovarne, il fastidioso vocoder dell'ultimo pezzo, che la band ha pure eletto a Video Ufficiale; ma si sa, la perfezione non è di questo mondo e noi godiamo delle cose imperfette, i cui margini frastagliati e acuminati grattano come poche cose nella vita.

 
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