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Messaggi del 29/03/2014

 

Sun Kil Moon - Benji

Post n°346 pubblicato il 29 Marzo 2014 da syd_curtis
 

 

 

[Su] Benji è, in gran parte, il lavoro da solista di Kozelek, una riflessione sulla pervasività della malinconia che segna la sua esistenza, e sulla casualità di vita e morte. Se ciò suona torvo, sappiatelo, non lo è: il risultato finale è un album divertente, intelligente e profondamente commovente, che eleva l'approccio confessionale ad un'intensità esistenziale avvincente. E' come l'amaro rovescio della medaglia del sogno americano. [...] Uno degli album più sinceri e saggi che abbiate mai ascoltato.(Austin Chronicle)

[Giù?] Il problema con Benji è che è troppo pieno di morte e aneddoti, per sapere esattamente cosa farne. Kozelek non è in grado di legare la tragedia a qualcosa in particolare. Si potrebbe dire che sia un disco che tratta di come accettare la miseria - e ad un certo punto sembra offrirne un surrogato nei versi  "I will go to the grave with my melancholy / and my ghost will echo my sentiments for eternity" - ma non è necessariamente così, vi sono anche alcune altre cose, tenere cose: ringraziamenti per il proprio padre, o per il primo contratto discografico, il perdono elargito. Benji è dannatamente disorganizzato, ma va bene così, la vita non è sempre banale. E non importa quanto chiaramente tu la possa metter giù: la morte spesso non ha senso. (Quietus)

Opinioni, solo sciocche opinioni: Ascolti Benji per la prima volta e ti pare una sorta di monolite acustico, su cui sia incisa la voce strascicata, monocorde di Mark Kozelek, l'autore che si nasconde dietro il marchio Sun Kil Moon, e ti viene voglia di passare ad altro, sinceramente, te ne viene la voglia. Fai spallucce e ti dici, beh, ma che ci avranno visto, tutti quanti? Poi succede (o perlomeno a me è successa) una cosa straordinaria: recuperi i testi, li tieni sottocchio mentre riascolti l'album e piano, sottilmente, te ne innamori. Lo dico senza retorica: è un disco straordinario, uno dei più bei dischi che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi anni.
Kozelek ha vestito le sue storie con un abito volutamente minimale (l'arpeggio virtuoso che gli conosciamo, una base ritmica scarna e convenzionale, un po' di backing vocals in qualche traccia, un filo di sax nel pezzo conclusivo), come per accentuarne la forza, l'intensità. Racconta per lo più di sé, di suoi parenti -genitori, zii, cugine, amici-, di cose realmente accadute. Realismo e Minimalismo (a me ha fatto pensare a Richard Brautigan, giusto per tracciare un paragone), ma non basta. Kozelek in realtà si denuda, si espone in maniera, a tratti, disturbante.
Le sue storie sono per lo più banali, ordinarie (una cugina e uno zio camionista, morti entrambi per un bizzarro incidente domestico, l'amore per la madre, il padre e la nonna dichiarati in maniera talmente candida da suonare imbarazzante, le sue esperienze sessuali, i ricordi evocati da un film visto in gioventù), cose ordinarie raccontate con un tono ordinario, tale da farle sembrare quasi diafane, trasparenti. Esposto a questa (stra)ordinaria trasparenza, l'ascoltatore/lettore è indotto ad aggrapparsi al flusso dei propri ricordi, a sospendere ogni giudizio.
Come se Kozelek proiettasse sulla parete le diapositive di una vacanza al lago, di un barbecue in un giorno di festa, della festa di compleanno di un figlio, del matrimonio dei genitori. E' qui, in questa pacata ordinarietà che vediamo riflesse le nostre vite e le nostre morti, l'insensatezza di tutto, il nostro comune bisogno di ricevere e dare abbracci, al di là di ogni discorso psicologico e filosofico.
Sovrasta la pervasività, la casualità, l'insensatezza della morte e delle cose che la portano fino a noi o alle persone che ci stanno attorno, fossero il fuoco, un serial killer, o semplicemente l'andar via per età. L'Ohio di Kozelek è una figura materna, un attaccamento alla terra da cui si proviene, alle proprie origini, anche biologiche, che manifesta un disagio, un senso imminente di fine, di perdita senza rimedio.
L'immagine evocata in una canzone, un parente che suona la chitarra e tutti incatenati attorno a lui, attirati come da un magnete: questo accade in Benji, che si potrebbe definire un tentativo cosciente, struggente, disperato di dare un senso a cose che probabilmente non ne hanno. A deeper meaning

Ascoltate Benji, ascoltatelo senza pregiudizi. Pitchfork mette a disposizione anche una sorta di vademecum, che aiuta a inquadrare meglio, anche geograficamente, il mondo di Mark Kozelek.

 

 
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