Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi del 18/05/2017

Penso che siamo

Post n°2194 pubblicato il 18 Maggio 2017 da namy0000
 

“…Penso che siamo a un livello di tale confusione nella società, che forse chi ha le idee un po’ più chiare è giusto che parli, soprattutto ai ragazzi, ai bambini, per dare un minimo di indirizzo, [per indicare] da che parte guardare almeno. C’è una confusione spaventosa. Tutto sta andando verso l’indistinto, ma quando arriva l’indistinto è il caos. Non c’è più il maschile e il femminile, non c’è più il giorno e la notte perché ormai i negozi sono aperti fino a mezzanotte, non c’è più il riposo e il lavoro: si lavora anche il giorno di Pasqua. È tutto un grande magma in movimento che crea una specie di massa indistinta in cui una cosa equivale all’altra. Ma tutto l’equilibrio del mondo si regge sulla polarità: il giorno e la notte, il maschile e il femminile, la vita e la morte. Nel momento in cui tu annulli la polarità, vai nel caos. Noi siamo a questo, al caos. Ai bambini viene insegnato il caos, si parla del caos come se fosse ordine. Invece bisogna dire: questo è caos, e noi pensiamo che sia importante ripristinare l’ordine, perché il caos non crea, il caos distrugge. Io vado ogni tanto nelle scuole e vedo che in ogni classe ci sono uno, due o tre bambini con l’insegnante di sostegno. Ma come è possibile che tanti bambini abbiano disturbi neurologici? Non ci sarà dietro un enorme vuoto educativo che si trasforma poi in un disturbo? Quando ero professore, al collegio docenti mi dicevano già a quei tempi, anni Ottanta: «Professore, non deve parlare di educazione, noi non siamo qui per educare, siamo qui per istruire». Erano i miei colleghi della Cgil che ci hanno dato questa tradizione. Mentre l’educazione è tutto un insieme…
Esatto, è tutto un insieme. Le maestre che abbiamo avuto noi negli anni Sessanta erano durissime. Quando vado nelle scuole e racconto delle mie maestre i bambini ridono come pazzi. Però non c’erano i bulli all’epoca, non c’era spazio per i bulli, perché le maestre con due schiaffoni li mettevano a posto. Adesso impazzano [i bulli], perché non c’è nessun ordine, è tutta una follia che genera follia in continuazione. È la mancanza del senso del limite.
L’idea di base malata, dal punto di vista educativo, è questa: che il bambino sia naturalmente sapiente, che sia naturalmente capace di crescere in armonia. Non è assolutamente vero. I bambini vanno aiutati a crescere, ognuno secondo il suo carattere naturalmente, ma vanno aiutati nel loro cammino, reprimendo le cose negative e esaltando le cose positive, cosa che chiamasi educazione. Questa idea che il bambino è onnisciente, depositario di una sapienza che nessuno può toccare, è una follia che deriva da Rousseau, da tutta questa cattiva educazione, o anche da un mito sentimentale del bambino, e che ci porta alla catastrofe. Questi ragazzi che a 16-17 anni non sono neanche in grado di scrivere una frase in italiano e però passano all’esame di maturità, cosa faranno nella vita? Sarà la vita a fermarli. Gli taglierà le gambe. Questo non va bene: tu che avresti il compito di educarli, di metterli in grado di essere autonomi, di lavorare, stai scaricando il problema sul loro destino individuale. Poi li proteggiamo [da tutto]: non devono vedere i morti, non devono vedere la delusione, non devono vedere il dolore, non devono vedere il sangue…
Non devono vedere niente. Ma non rispondere alle grandi domande dei bambini è una tragedia. I bambini vogliono sapere perché si muore, dove si va a finire… Il bambino ha grandi domande a cui si deve cercare di rispondere in modo più o meno consapevole. Se tu non gli rispondi e cancelli quella parte della vita, lo metti in uno stato di ansia. Se tu che sei grande non gli sai dire come vanno le cose, come può farlo lui che è piccolo? E così si fa educare dai media, ad esempio. Domani andrai a Ferrara in una scuola a cui hai fatto leggere Etty Hillesum. Perché?
Forse si saranno anche scandalizzati, non lo so, perché c’è anche molto sesso lì dentro… però Etty era una persona estremamente viva, curiosa, in continua trasformazione, in movimento. Ha avuto una vita molto breve ma piena di ricchezza, di apertura, di passione. Allora in questo mondo di apatia, di banalità, di ricerca del benessere, mi sembra che far leggere a dei liceali il diario di una ragazza poco più grande di loro ma con quella ricchezza interiore, può essere un modo per aprirgli delle porte.  Penso che ai ragazzi adesso bisogna offrire questa possibilità di vedere una vita che può essere libera. Non può essere una vita costretta dai media, da quelli [che ti dicono] cosa devi fare. Pensate solo alle ragazze, a quanto sono costrette a pensare all’apparenza fisica e quanto questa le determini nella felicità o nell’infelicità. È una prigionia terribile.  Poche settimane fa sono andata al Bambin Gesù a incontrare delle ragazze anoressiche: c’erano bambine di otto anni! Adesso l’aspetto fisico è determinante per i ragazzi. Per le ragazze è un’angoscia pazzesca. Tu sei quello che appari, e questa è una catastrofe se non hai dietro il sostegno di una famiglia, se non sei nutrito da altre cose. Devi correre continuamente dietro [alle mode] per apparire sempre come gli altri ti dicono che devi apparire. C’è tanto da fare, tanto da dare ai ragazzi.  Cuore di ciccia è il mio primo libro in cui c’è la parola “cuore”, è molto antecedente a Va’ dove ti porta il cuore. È la storia di un bambino che ha dei problemi di peso, come si capisce dal titolo, ed è un libro profetico, perché all’epoca ancora non si parlava di bullismo eccetera. Da più di vent’anni è lettissimo e amatissimo dai bambini di tutto il mondo: l’ho trovato anche in cinese.  Il libro mette a fuoco il vuoto educativo, la solitudine dei bambini che si aggrappano al frigorifero come unico dispensatore di affetto e di stabilità. Chi ha la mia età si ricorda che noi, se andava bene, facevamo la merenda, che ci veniva data, e comunque era pane e burro o pane e marmellata; adesso i bambini hanno a disposizione cibo 24 ore su 24. Se uno ha un minimo di vuoterello affettivo è chiaro che il frifgorifero diventa il totem da cui nutrirsi.  L’ultimo (mio libro) si intitola Salta, Bart! ed è la storia di un bambino che vive in una casa domotica in cui la mamma e il papà compaiono soltanto sullo schermo e tornano tipo ogni quindici giorni. La sua vita è tutta controllata da apparecchiature [che misurano] quanta pipì fa, quanto mangia: il controllo totale di adesso. Poi lui troverà una via di liberazione da questo mondo, la mamma tornerà a casa e farà le lasagne, arriverà il papà… La storia è meravigliosa, i bambini ne vanno pazzi. Ho fatto degli incontri in Toscana dove per una o due ore ho firmato libri ai bambini che dicevano: «Grazie, grazie, questo libro l’ha scritto proprio per me!». Questo vuol dire aver toccato il cuore dei bambini, non è una storia che li ha svagati: è una storia che ha toccato il loro punto di fragilità.

(Luigi Amicone - Susanna Tamaro, Tempi, 18 Maggio 2017). 

 
 
 

La burocrazia non

Post n°2193 pubblicato il 18 Maggio 2017 da namy0000
 

“La burocrazia non piace a nessuno, eppure sembra che in un modo o nell’altro ce ne sia sempre di più. Ne vediamo gli effetti in ogni aspetto della nostra vita. La burocrazia è diventata l’acqua in cui nuotiamo: ci riempie le giornate con le sue scartoffie e con i suoi moduli sempre più lunghi e complicati. Semplici bollette, multe e moduli d’iscrizione sono ormai regolarmente accompagnati da pagine e pagine di documentazione in legalese. Almeno fino all’ottocento, l’idea che l’economia di mercato fosse indipendente e contrapposta al governo è stata usata per giustificare misure economiche improntate al laissez faire, con l’obiettivo di limitare il ruolo dello stato. Questo effetto, però, non c’è mai stato. Tanto per cominciare, il liberismo inglese non ha portato a una riduzione della burocrazia statale. Anzi, è stata la proliferazione di consulenti legali, cancellieri, ispettori, notai e funzionari di polizia a rendere possibile il sogno liberale di un mondo di liberi contratti tra individui autonomi. E non ci sono ormai molti dubbi sul fatto che per mandare avanti un’economia di mercato servono mille volte più scartoffie che nella monarchia assoluta di Luigi XIV. Viviamo in un’epoca di “burocratizzazione totale”. C’è una scuola di pensiero secondo cui la burocrazia tende a espandersi seguendo una logica interna, perversa ma inesorabile. L’argomentazione è la seguente: se per risolvere un problema si crea una struttura burocratica, questa struttura invariabilmente finirà per creare altri problemi che, a loro volta, sembreranno risolvibili solo per via burocratica. Una variante di questa teoria dice che una burocrazia, una volta creata, farà in modo di rendersi indispensabile, cercando di esercitare un potere a prescindere da quello che vuole farne. “Ogni burocrazia si adopera per rafforzare la superiorità della sua posizione, mantenendo segrete le sue informazioni e le sue intenzioni. Nella misura in cui ne è capace, nasconde le sue informazioni e le sue azioni allo scrutinio critico”, scrive Max Weber, uno dei maggiori intellettuali tedeschi vissuti tra l’ottocento e il novecento. Come osserva la stesso Weber, un effetto collaterale è che quando si crea una burocrazia è quasi impossibile sbarazzarsene. Le primissime burocrazie di cui siamo a conoscenza risalgono alle civiltà della Mesopotamia e dell’antico Egitto, e rimasero praticamente intatte per secoli, resistendo al succedersi delle dinastie e delle élite dominanti. In modo simile, ripetute ondate di invasioni non bastarono a sradicare l’amministrazione cinese che, con le sue strutture burocratiche, le sue relazioni e i suoi sistemi di valutazione, rimase saldamente al suo posto a prescindere da chi, volta per volta, rivendicava il mandato del cielo. L’unico modo per sbarazzarsi di una burocrazia consolidata, secondo Weber, è semplicemente eliminarne tutti i componenti, come fecero Alarico e i goti nella Roma imperiale o Genghis Khan in alcune zone del Medio Oriente. Il fascino delle procedure burocratiche sta nella loro impersonalità. I rapporti burocratici, freddi e impersonali, sono molto simili alle transazioni finanziarie: da un lato sono privi di anima e dall’altro sono semplici, prevedibili e trattano tutti più o meno allo stesso modo. La burocrazia ci permette di interagire con altre persone senza doverci impegnare in complesse ed estenuanti forme di relazione. Questa sicuramente è una parte del fascino della burocrazia. Le relazioni impersonali, favorite dalle burocrazie, non sono solo comode e convenienti. Se Weber ha potuto descrivere la burocrazia come l’incarnazione stessa dell’efficienza razionale è perché nella Germania dei suoi tempi le istituzioni burocratiche funzionavano davvero. L’istituzione simbolo, l’orgoglio dell’amministrazione tedesca, era l’ufficio postale. Alla fine dell’ottocento, il servizio postale tedesco era considerato una delle grandi meraviglie del mondo moderno. La sua efficienza era leggendaria e gettò una specie di ombra spaventosa su tutto il novecento. Storicamente, i servizi postali emergono dall’organizzazione degli eserciti e degli imperi. In origine erano un modo per trasmettere rapporti operativi e ordini a lunga distanza. L’impero romano aveva un sistema simile, e più o meno tutti gli eserciti adottavano sistemi di corrieri postali finché nel 1805 Napoleone non passò all’alfabeto semaforico. In Europa, molte delle istituzioni centrali di quello che sarebbe poi diventato lo stato sociale (dalla previdenza sociale alle pensioni, dalle biblioteche pubbliche agli ospedali pubblici) non sono state create dai governi, ma dai sindacati, dalle organizzazioni di quartiere, dalle cooperative, dalle associazioni  e dai partiti operai. Cos’è l’email se non un gigantesco ufficio postale elettronico superefficiente? Non ha forse creato a sua volta l’illusione di una nuova forma di economia cooperativa che nasce dalle spoglie del capitalismo, per poi inondarci di truffe, pubblicità e offerte commerciali indesiderate, dando la possibilità allo stato di spiarci in modi sempre nuovi e più creativi? È significativo che, pur nascendo in ambito militare, il servizio postale e internet siano considerati entrambi strumenti che impiegano tecnologie militari per scopi squisitamente antimilitaristi. In tutti e due i casi, una forma di comunicazione minimalista e ridotta all’osso, tipica dei sistemi militari, si trasforma in una piattaforma invisibile per costruire tutto quello che non è: sogni, progetti, dichiarazioni d’amore e passione, effusioni artistiche, manifesti sovversivi e qualsiasi altra cosa. Ma questo vuol dire anche che la burocrazia ci attrae e ci sembra più liberatoria proprio nel momento in cui scompare: quando, cioè, diventa talmente razionale e affidabile che ci illudiamo di poterci addormentare su un letto di numeri e di ritrovarli al risveglio tutti al loro posto. I computer hanno avuto un ruolo cruciale in tutto questo. Il guaio è che tutto questo è successo dopo la caduta dell’orribile e antiquato socialismo burocratico e il trionfo della libertà e del mercato. Certamente è uno dei grandi paradossi della vita contemporanea, ma a quanto pare siamo diventati sempre più restii ad affrontare la questione. La burocrazia incanta quando diventa una sorta di tecnologia poetica. Per gran parte della storia, questo potere è stato in mano agli imperatori o ai comandanti degli eserciti vittoriosi, perciò potremmo addirittura parlare di una democratizzazione del despotismo. Un tempo, il privilegio di alzare la mano e far sì che un esercito invisibile di ruote e ingranaggi si organizzasse da solo per soddisfare i propri capricci era riservato a pochi eletti. Nel mondo contemporaneo può essere suddiviso in milioni di pezzi piccolissimi e messo a disposizione di chiunque sappia scrivere una lettera o schiacciare un interruttore” (David Graeber, antropologo, Financial Times, Regno Unito, da L’utopia delle regole, pubblicato in Italia da Internazionale n. 1104 del 29 maggio 2015).

 
 
 

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