Creato da pensierostraziato il 22/07/2010

Nuvole antiche

Il serpente oltre lo specchio

 

 

L'anima s'è messa in viaggio

Post n°17 pubblicato il 24 Ottobre 2010 da pensierostraziato
 

Tra i rami di una quercia

un violoncello squarciato

decifra il dolore di un uragano.

Era il giorno in cui il vento impazzito

spaventava gli alberi,

tanto che negli animali sprizzava

un'anima di fuoco oscuro

che solo il terrore poteva eccitare.

Una ragazza seguì la danza immobile

di una rosa di cristallo:

uscì dal tempo; un angelo di marmo

le tendeva la mano.

Il raggi del sole amareggiavano

i libri più antichi, modificando

caratteri e senso. La memoria

s'è incrinata, l'anima s'è messa in viaggio.

 
 
 

Anche gli angeli sono stati sconfitti

Post n°16 pubblicato il 10 Ottobre 2010 da pensierostraziato
 

Anche l'esercito celeste è stato sconfitto.

Raggi di sole grigi avvolgevano

come una bandiera che appassisce

un angelo insanguinato, dalle ali spezzate,

che si trascinava a stento 

fra le macerie degli alberi vinti e delle nuvole

uccise. La psiche di una rosa morta

sussurrava le ultime parole raccolte

dal messaggero celeste che non poteva

più volare. 

 
 
 

Un gioco di prestigio e il nazismo non c'è più

Post n°15 pubblicato il 25 Settembre 2010 da pensierostraziato
 

Il nazismo ricondotto alla mimetologia. Atto di semplificazione, con il quale  il movimento di Hitler viene sussunto con eleganza e semplicità persino pericolose nello schema principe dell'imposizione greca di modelli. Nessuna originalità quindi in Hitler, nemmeno nella gelida, inaudita violenza che ha contraddistinto il nazismo. Ma questo è un solo un modo per semplificare il problema eludendolo. Fu Heidegger nazista? Il nazismo è comunque un fenomeno che s'inscrive in un tracciato preesistente. La conseguenza di Lacoue-Labarthe è una filosofia pro domo sua, una forma di autotutela del pensatore che si autocertifica estraneo, con la propria filosofia della differenza, a un movimento storico-ideale. Heidegger? Anch'egli inchiodato al vecchio modello: nazista o no. Così si preservano gli elementi del gioco del pensiero, comunque ulteriore, ma li si macchiano d'ombre oscure che poi impediscono il gioco stesso. La riduzione al modello greco non può funzionare: se non altro perché prima del pensiero ateniese classico tutto era stato deciso. Amleto-Heidegger è più antico è più nuovo.

 

 

 

 
 
 

L'Olocausto non era vero e proprio Olocausto: solo eliminazione pura e semplice

Post n°14 pubblicato il 07 Settembre 2010 da pensierostraziato
 

L'Olocausto non è stato un Olocausto. Nessun meccanismo arcaico vittimario. Solo un'operazione d'igiene. Che cos'erano gli ebrei? Pidocchi, scarafaggi. I nazisti hanno usato lo Zyklon B. La battuta revisionista è orrenda ma calzante. La terribile tragedia dello sterminio di massa degli ebrei è in questa freddezza. Il tema ritorna nel libro di Lacoue-Labarthe "La finzione del politico", dedicato al rapporto fra Heidegger e il nazismo. Nell'era della "morte di Dio" e del compimento del nichilismo l'Olocausto come tale non è possibile. La sua essenza è quella dell'eliminazione delle vittime "pura e semplice". Ma perché gli Ebrei? Per la loro significazione metafisica. 

 
 
 

L'eterna guerra sociale e l'eterna sconfitta dei contadini

Post n°13 pubblicato il 06 Settembre 2010 da pensierostraziato
 

Nessuno ha rappresentato i contadini durante il Risorgimento, per quanto abbiano combattuto una "guerra sociale eterna", pronti alla ribellione come nessun altro ceto, eppure disorganizzati, anarchici, refrattari a ogni inserimento in un ordine sociale. Una vicissitudine tormentosa, priva di giustizia. Anche perché senza di loro l'unità nazionale non sarebbe stata possibile.

Jacquérie anarchiche, dicono i francesi. Così era anche durante la spedizione dei Mille. I contadini si alleavano facilmente col generale liberatore, ma tendevano a non rispettare la legge, con la conseguenza che persino l'Eroe dei due mondi - personaggio storico maltrattato dai luoghi comuni contemporanei a noi ma in realtà capace di far scaturire comportamenti carichi di generosi ideali rivoluzionari, e senza arricchissirsi con la politica per quale non era affatto portato - persino Garibaldi dopo aver rovesciato l'ordine costituito doveva allearsi con gli agricoltori per il rispetto di un ordine. Così i contadini vedevano combattere una guerra civile fra ceti emergenti diversi, erano protagonisti per l'impulso che sapevano dare (sempre pronti a bruciare un catasto, deviare l'acqua del mulino del padrone, appropriarsi di terre altrui ecc. spinti dalla miseria) ma finivano ai margini della rivolta. E degli onori conseguenti. 

Non sono riusciti per tutto l'Ottocento a unirsi in sindacati. La miseria li ha resi diffidenti l'uno dell'altro. Solo nel Novecento è maturata l'opportunità di un riscatto, prima che la Grande guerra prima, che li ha sterminati con l'infernale strategia del criminale di guerra Luigi Cadorna (come definire chi pratica strategie belliche così catastrofiche?), e poi il fascismo e l'industrializzazione più spinta li facesse sparire dalle campagne. In fondo alla società italiana sembra però che la maledizione sia rimasta. La situazione descritta dalla "Storia d'Italia" di Denis Mack Smith (Editori Laterza) cambia attori sociali ma non muta stile.  

 

 
 
 

Principessa di sogno, angelo nero

Post n°12 pubblicato il 01 Settembre 2010 da pensierostraziato
 

Tu dove pareti di ghiaccio

memorie non traspirano

aleggiavi angelo d'ombra,

né ti catturavano intuizioni

o paradossi errabondi

nel tuo planare senza storia

come foglia d'eden

come pensiero sfuggito

a una mente divina e incrinata,

finché insensibilmente un greco

sulla vetta inviolabile

del gelo hai raggiunto

abbracciandolo, e frasi gli sussurravi

intessendole a rimandi concentrici e vorticosi,

scurendo il suo sguardo dorato.

Le nubi ti decifravano, angelo oscuro,

principessa che non torni, principessa di sogno,

angelo, angelo nero d’un universo da sempre estinto;

le nubi s'affoltivano attorno a te, principesssa,

il tuono ruggiva memorie

ma gli occhi greci

sopportarono la tempesta che t'involse,

principessa nera,

poiché rimasero le stelle più lontane,

gli astri d'un enigma inspiegabile.

La tempesta è nel cuore,

la serpe nel cuore che brucia,

la principessa nel nero fuoco del cuore.

(aprile 2008)

 

 

 
 
 

Tchaikovski, sinfonie per l'era ulteriore

Post n°11 pubblicato il 01 Settembre 2010 da pensierostraziato
 

Mancano solo le ascisse e le ordinate, eppure nulla sembra più serenamente in ordine come l'ambiente mozartiano: fonte di pace interiore, terreno di palpitante vitalità orientata a un lieto, gratificante, quieto sviluppo. Sembra che così apparisse a Tchaikovski: un miraggio illegittimo dalla genesi autogiustificata, prodotta sulla via del rifugio della sua gloriosa follia creatrice. La villa palladiana, il salotto ottocentesco, il giardino francese, l'ambiente dominato dall'architettura, dalla pace dell'ordine, come un eden umanizzato, civilizzato. Un miraggio tuttavia indifeso. Irrompe la furia degli incubi confessati nelle ultime tre sinfonie (la Quarta, la Quinta e la Sesta). Incubi, visioni diaboliche, orribile, che sconvolgono l'animo. L'isola mozartiana, quello stile settecentesco che spunta qua e là, quella grazia che affiora nei balletti, in alcuni brani sinfonici, viene travolta. Imperversa la furia, che s'impossessa della potenza del genio russo, esaltato, entusiasta, posseduto da una torbida gioia creatrice noire. Sembra potenza infernale, che però si salva lanciandosi nel volo di quelle melodie altissime, travolgenti, vertiginose. Che ne è più del romanticismo? Si apre un orizzonte sconvolto e irregolare. Il romanticismo si squarcia a uragani passionali. E' il tempo delle rivolte di massa dei servi. Dei moti rivoluzionari in Europa. Le sinfonie di Tchaikovski sono scritte per un tempo ulteriore.

 
 
 

Ombra preesistente

Post n°10 pubblicato il 30 Agosto 2010 da pensierostraziato
 
Tag: bozza

E' l'ombra che preesisteva
alla creazione della luce
di cui rimane aroma di cenere
nel dolore dei raggi taglienti
Lo spazio è esplosione di direzioni
l'architettura è iniqua utopia 

 
 
 

Morte d'angelo

Post n°9 pubblicato il 27 Luglio 2010 da pensierostraziato
 

Ricordo i tuoi pensieri generarsi
tra la follia dei riflessi del sole, furioso
per le sue immani utopie.
Forse solo tu hai decifrato
i corruschi bagliori e il pensiero
che l'astrale intelletto multiformemente
esplodeva perché tu ardevi, tu bruciavi
tu imago intellectualis
turris eburnea imaginalis
tu che rosa non sei
tu che mente sublunare non eri.
Ma dove l'idea è perseguitata
dalla sua cenere e l'istante
dall'ombra che l'inghiotte
io più che aggregare spuri umori
e le macerie della luminosità
che nel sublunare si concedono
che altro potevo apparecchiare
per i nostri pensieri intrecciati?
Eri tu l'angelo che a volo
come un lampo l'universo attraversava.
Persino nella vulcanica psiche
dall'astro di fiamme
come Empedocle ti gettasti
per amor d'enigma.

 
 
 

Crocevia senza uscita

Post n°8 pubblicato il 26 Luglio 2010 da pensierostraziato
 

Senza vento, ciascuna foglia iniziò a sussurrare
tra aromi oscuri e scomposte visioni. Da alberi cavi
fluivano suoni smarriti; cespugli di pentagrammi
attendevano un viandante dimenticato.
Ma dell'anima solo ospiti non tollerati
percorrevano i sentieri ignoti.
Vi si erano inoltrati vecchi pensieri
fuggiti da una nave di ghiaccio
che da altri mondi era approdata:
fra loro serpeggiava un guerriero, delirante
d'una principessa contesa dai folli cavalieri
in cui s'era moltiplicato un poeta impazzito.
Dall'ascolto stupito del viandante
che giunse a quel crocevia senza uscita
le foglie apprendevano la sua lingua,
intercettando congetture e suggerendo
impervie varianti. Dolci parole mute
si diffondevano destando, all'eco
che rimbalzava nell'anima spaesata,
antichi concetti disarmonici.
Tu non sai più pensare, tu sei assediato
da parvenze d'idee che non sono più tue.
Tu non sei più tu lungo il sentiero
che si frantuma in mille bivi.
Lo sapevo che mi avresti trovato:
ma per questo non sei tu. Qui
non c'è orientamento. I cespugli grigi
decifravano i segnali delle case
abbandonate. I cantieri costruivano
soltanto i loro elementi secondari,
poiché l'architetto discuteva
in un parlamento di ombre.
L'infinito è chiuso nelle straziate
asimmetrie del finito.

 
 
 

Tu eri e io non ero

Post n°7 pubblicato il 26 Luglio 2010 da pensierostraziato
 

Tu eri e io non ero e lo sentivo in quel fruscio

di sussurri intrecciati, porte che si chiudono,

passi nei cortili, e parole traspirate dai muri.

Solo tu esistevi, una voce che seguivo

e da dentro mi raccontava: era la tua dolce malinconia,

il tuo autunno, il tuo sole dai raggi che ormai affaticati strisciavano

in quella sera che variava ogni sera, dalle sfumature

color caffé e le passioni raccontate dal violinista

che mi avevi presentato quel giorno lontano,

dal quale non so se oserei ripresentarmi con quella giacca

strapazzata dalle note. Lo so, lo conosco

il colore dei tuoi occhi quando pensi quelle cose.

La temperatura è salita dentro di noi,

dentro e lontano forse, nel nostro Paese,

laggiù, dove troverai il sole, il tuo sole,

i riflessi dei tuoi alberi che conosci credo

per nome, che ti confidano vicissitudini

narrate da piogge curiose, affettuose, invadenti!

Io lo so che qui si specchiava la luna.

Non te n'eri accorta, ma per questo l'aria era così dolce fra noi.

 
 
 

Il serpente oltre lo specchio

Post n°6 pubblicato il 24 Luglio 2010 da pensierostraziato

L’ultimo respiro cambiò il colore delle assi di legno della sua camera, dal marrone scuro sottratto agli alberi che ancora ne pativano, lasciando una macchia alabastro in mezzo al bosco, a un viola variegato, un caleidoscopio di sfumature del nero più amaro e profondo. Piangevi per lui, e lui era, lo sentivo. Faceva l'operaio e non sapevamo bene nemmeno come si chiamasse. Quello sguardo ti faceva male, per quanto fosse sereno. "Entrava in una fabbrica degli anni Cinquanta, concentrandosi su una vecchia foto" ci avevano raccontato. Riappariva di sera con la tuta sporca, stravolto. Si diceva che a casa avesse un laboratorio, dove di notte costruiva un meccanismo magnetico vegetale composto di ibridi spesso inaccettabili. 

Eppure proprio lui aveva visto quei personaggi che ti seguivano e di cui nemmeno conoscevi l'esistenza: la signora con l'ombrello da sole e la borsetta rosa, che cambiava anch'essa colore, come l'ombrello, non sai se per l'umore o il clima. Vedeva anche il 14enne che componeva musica e si avventava su ogni pianoforte che trovava e la ragazza innamorata seguita da pettirossi saltellanti, da colombe, persino da fiori. Non ci potevo credere ma così raccontava colui che aveva preparato una piccola valigia dicendo che sarebbe servita alla sua anima. Ormai la valigetta era sparita: nemmeno questo si comprende. Barbara sostiene che era stata proprio l'anima a portarla via. La psiche che era rimasta ancora piccola, con l'altezza di un ragazzo. Così lo immaginava colei che mi avrebbe voluto sposare, alla quale non potevo credere nemmeno questa volta. Faceva l'operaio, è vero, questo solo era certo. Solo di rado lo incontravo. Arrivava un gabbiano lungo la spiaggia. Quel gabbiano, sempre lo stesso. Pensai anch'io, come diceva Barbara, che venisse mandato da lui. Eppure ogni volta lui mi aspettava. Dico lui.  Penso "lui". Eppure sono io. Io e lui. Mi aspettavo. Mi avvicinavo a me stesso. 

 Al funerale non avrei invitato i tuoi fantasmi inconsapevoli, se avessi potuto comunicare con loro. Venne il cielo, ma disunito, spaccato, come fosse stato spezzato. Era disorientante vederlo dominare su ogni cosa altissimo e scardinato, come una porta impossibile.

Fra le presenze del tuo dramma la ragazza sembrava circondata da stelle polari, al punto da non poter camminare. Sedette in riva una roggia, confortata dalla madre.

Quel che più meravigliava erano le condizioni della salma dell'operaio, poiché avevano inifinite ubicazioni sul pianeta. Ciascuna cellula del suo corpo si era scomposta e come per un'insospettabile forza reattiva e disgregatrice le une erano finite immensamente lontane dalle altre. 

Vidi una fabbrica nel deserto fustigata da opposti venti prima fischiare poi emettere suoni d'organo.  Suonò una sirena. Cantò una sirena. Vidi un uomo non lontano piegarsi in due dal dolore e lo udii parlare di un mare lontano. Il suo sguardo sembra ribollire di memorie. 

Si aprirono i cancelli della fabbrica. Vidi uno sconosciuto uscire, un operaio.

Uscii e vidi uno sconosciuto, e non lontano un uomo contorcersi dal dolore.

Vidi uno sconosciuto uscire dalla fabbrica e avvicinarsi a me. 

Uscii dalla fabbrica e vidi il proprietario. 

Mi guardai negli occhi. Mi chiesi: "Chi sei?" con due voci in due deserti e i cieli si sdoppiarono e l'organo impazzì di una musica che costringeva le stelle a muoversi. I due deserti danzarono. La terra si muoveva nel vuoto. L'uomo piegato in due dal dolore si rialzò e corse disperato verso uno spicchio di mare.  Io ed io ascoltammo i silenzi di due lune spezzarsi per due deserti.

Era il nostro cielo di due lune rosse e delle stelle sdoppiate che danzavano follemente per amore della musica che ogni cosa strappandone l'essenza aveva attraversato.

Fu la musica a uccidere il proprietario della fabbrica.  Prima di spirare delirava di un cielo con due lune e di una musica d'organo e di stelle che danzavano sdoppiate. Nessuno udì il colpo di pistola.

 
 
 

Principessa nera

Post n°5 pubblicato il 24 Luglio 2010 da pensierostraziato
 

Argentea farfalla notturna

che il sogno attraversi

sino al fiore amaro di psiche,

tu che ignota e intima trascorri

l'anima a sé estranea,

guida nella terra

dei riflessi estremi

me che fra polvere e macerie

come un cieco vago smarrito,

e fa' che la danza d'ombra del tuo palpito d'ali

io possa decifrare

nell'uragano del tempo.

La lunga corsa verso il sogno

si arresta qui, dove l'ultima oscurità

invade il cuore,

ombra di memoria, tepore d'assenza.

Poi il balzo senz'ali oltre l'orizzonte,

nel regno del sogno

che infinite intesse lontananze.

Rivolta alla tua ultima eco

sboccia, fra le pietre d'un chiostro

al confine del pensiero, la rosa

della superstite follia, che diffonde

il silenzio d'una preghiera

nel cimitero del mondo.

Mi scaldo al tepore della luna,

ti chiamo, t'invoco,

eternamente lontana

principessa nera.

Un'onda di memoria

inquieta l'intimo abisso

che ti protegge,

fragranza d'anima in lacerazione.

Alberi immensi sovrastano il dolore.

L'ansia del vento abbraccia

in fuga rami e foglie, la luna nera

sta per tramontare.

Io sono nel regno della morte,

dove senza rumore

seguo l'argentea farfalla del sogno.

Tu principessa incantata,

del lago ghiacciato del cuore

sei prigioniera, dove specchi deformanti

si susseguono senza fine.

Costellazioni spente

irradiano echi

di disarmonia celeste.

Piove nella mente

la grigia acqua

del lago di morte

ove tutto s'acquieta.

Nel delirio del tempo,

nel futuro senza tempo,

le nostre anime s'abbracceranno,

ombre fiammeggianti

nel silenzio del mondo.

 
 
 

Profugo di Babele, poemetto ebraico abusivo

Post n°4 pubblicato il 24 Luglio 2010 da pensierostraziato
 

Profugo di Babele, guidato da uno stomaco veggente
attraverso il deserto cartesiano, quivi approdò, in un non-mondo,
sotto il regno di una regina disperata, affamato di cenere,
poppante di orologi e di lune adolescenti.
Regina improvvisata, tremebonda, scampata alla morte,
priva di memoria, prostituta post-euclidea, la cui esistenza si ricongiunge
all'infinito ad ogni altra esistenza, cucinò lui e gli diede in pasto se stesso,
e lo trasformò in una iena isterica, ed egli si partorì,
sicché nemmeno colei che partisse ora per Zurigo
potrebbe deliziarlo altrettanto, nemmeno se glottologa edenica
nonché destinataria di epistole ovvero esistenze
connesse da una sintassi invisibile, come un bosco caldo
di confessioni abitato da eremiti fanciulli.
E ugualmente acerbo per lui stato sarebbe il mare della donna altra in sé,
divorziata da se stessa, diseredata ed espulsa dalla Città della Luna.
Né di conforto nutricato l'avrebbe la provvida visita
antelucana d'un marxista notturno, zelante di falci e martelli vellutati,
che, a passo di danza, redenta dal rumore avesse la lotta di classe:
"Cotal fia la vera rivoluzione, onorevoli colleghi, con Marx e Della Casa sotto il braccio,
dall'inferno al galateo, dall'acciaieria vampiresca al luna park sul ciglio del burrone,
dalla miliardaria barbarie laureata all'infanzia, che inganna gli dèi
pregandoli nella lingua cifrata delle nuvole".
Ma non era affatto questo che volevo dire, nulla di tutto questo,
tanto più che dell'autodivorziata vedova di se stessa,
orfana di matrimonio e madre d'angoscia, avrei voluto tacere
sino alla morte. Ma il babelico cuore, tradotto in infinite lingue
seppure analfabeta perverso, giacché loquace,
per quanto nudo d'intenzionalità, residente in un dizionario senza limiti,
godette dell'errore, unico suo sapere e unica sua fede,
fingendo forse più per malignità di schiavo fuggiasco
che per virtuosismo combinatorio.                              
 
 
§ 2
 
Babele è là, all'ombra psichica dei geroglifici,
nell'aula ginnasiale alla deriva nell'infinito, travolgente
democrazia di lapsus in consonanza privi di senso,
ma comunque corpo pieno di città,
se tu non fossi stato uomo ovvero un ospite colpevole.
Per questo il tempio si suicidò: poi le macerie
furono digerite dalla terra e dal cielo, fin quando
ne esplose una primavera fiorita di biciclette rosse entusiaste,
di scolari illuministi, di gelati, di ragazze dall'ampio repertorio,
ed eventualità marxiste, treni in abiti popolari
e dollari nei campi, non granoturco,
e fermentavano poemi anarchici nelle viscere della terra,
e spudorate si celebravano abbuffate in luoghi consacrati
da masse con patente di libero pensatore.
Il tempio si suicidò, perciò nessuna cosa mantenne il suo nome:
la conobbi allora, il primo giorno di scuola dopo la fine del mondo.
 
 
§ 3
 
Piangeva come se si fosse resa conto solo in quel momento di esser nata.
Ma era morta come tutti, e i suoi occhi vedevano il nulla, che avanzava raggrinzito
sotto forma di professore di greco. Sei forse tu il messaggio nella bottiglia?
"No, il messaggio è l'oceano fuori dalla bottiglia,
l'ubriaco imbottigliato, invecchiato, stappato, spumeggia, debutta in società,
sposa un cardinale scomunicato, gioca a golf, muore e risorge per fondare il partito.
Aderiranno solo un poeta a oltranza, che perseguirà lo scopo della morte del lettore,
e un organista drogato, che progetterà un nuovo manicomio razionalista in re bemolle maggiore,
e vorrà crocifiggere Sacco e Vanzetti al diesis di una modulazione".
Ma una ballerina cristologica sedusse anche lui, come ogni utopista-poliziotto fallito,
e lo deportò a Babele.
"Dunque il caso è la vera utopia?", te lo chiedo con ironico odio,
giacché sono un teppista di altolocata famiglia ginevrina.
 
§ 4
 
Merito ne riscuotano le professioniste dell'angoscia,
che spacciano abissi in confezione parrocchiale
sulle bancarelle di Saturno e là, nelle discariche concettuali da salotto,
esaltano l'autogodimento perverso della mente senza mondo.
"Gustate quant'è soave l'intenzione!" motteggiano in coro
le corrotte dai filosofi astronaute fatali, sulla luna in missione pedagogica,
a maieutizzar le pietre orfane di Orfeo.
Meglio perciò limitarsi a verbi all'ottativo, a formule augurali
cosmopolitiche, a confutazioni masochistiche,
a scientifici motti di spirito, ad allusioni vincenti,
ad iniziative ai confini comunali della decenza
[peripezie in viuzze ombrose e periferiche, odissee
e romanzi picareschi, fra il boccaccesco e il pirandelliano, con le più democratiche
fra le donne che fanno poker in questa valle di lapsus francobollati],
meglio, con siffatte femmine, l'autostupro sovvenzionato dalla Regione Lombardia,
o la metamorfosi in formica teorica sul fondo dell'oceano.
Ma per chi vide la torre di Babele contorcersi come una serpe, là è la donna:
un velo sospeso nel vuoto febbrile.
                      
 
§ 5   
 
La donna macella il poeta, che al galoppo del ciclone
sfonda l'orizzonte, educando bombe atomiche all'endecasillabo
e dèi da manicomio. Ma un giorno il poeta verrà,
e canterà per le pietre assolute di Babele,
dove la donna non germoglia e la gramigna romantica eccita il cielo.
Ed egli stuprerà la luna, e tu, donna,
corteggerai il terremoto, tanto grande sarà la tua gelosia!
Ma il poeta va col cinema ambulante
in viaggio sull'anelito melodico dell'asfalto,
accompagnato da cardellini planivolumetrici
e da flauti monodimensionali suonati da farfalle,
affinché un'assorta burocrazia in preghiera nichilista
assista dal palcoscenico alla commedia,
e proverbi popolari lo confortino come un violoncello di saggezza,
e donne a forma di fontana o di vino impensabile
esplodano deviando l'Apollo 11 addosso a Lenin,
convertendolo così a un'illegale divinità;
mentre la luna, dal volto arduo come la retorica,
con le sue fontane impossibili aggrega concetti al canto dei dissimulati deserti,
in cui la Chiesa Eterna affonda inghiottita da un organo di nebbie cesellate.
Ma un giorno ritorneremo io e te all'ombra di tutte le ombre,
al tepore del nulla come due cipressi greci in rima,
e un dio comparato suonerà mentalmente
il pianoforte del tempo, alla fine di questa eternità,
nel primo e unico Giorno, in cui splenderà
una vela nell'oceano che ondeggia nel nulla,
laddove la nave di Babele approderà,
eidos di nave ulteriore.

 
 
 

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