Negli angoli di casa
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Post n°388 pubblicato il 27 Gennaio 2011 da Midnight_Raver
Io vivo con un negro |
Post n°387 pubblicato il 23 Gennaio 2011 da Midnight_Raver
Tra un mese e tre giorni saranno due anni che vivo fuori dall'Italia. Comincio a rendermi conto solo ora che mentre io sono qui il tempo va avanti anche là. I miei nipoti crescono, i miei genitori invecchiano, gli amici si accoppiano e si scoppiano, figliano, vivono. E come un astronauta guardo quella palla azzurra e mi sento lontana. Guardo il formicolio e l'agitarsi di questi giorni e trattengo il fiato, sospesa. Dal mio esilio volontario seguo e aspetto. Ma nel frattempo vivo, e così siamo stati di nuovo a Novi Sad, per l'Epifania che è poi la vigilia del loro Natale, e a Belgrado, e a Požarevac, e tutti, tutti quelli con cui abbiamo parlato mi hanno fatto pensare con insistenza che chi dice "serbi" e "zingari" con l'intento di insultare è un minorato mentale, un po' come chi usa come insulto "comunisti". Bisognerebbe conoscere le persone, vivere nei luoghi, ma si sa, è più facile cibarsi di surgelati sul divano. E poi il tempo di rifare le valige e siamo ripartiti per Bratislava, e da lì Břeclav, e poi di nuovo a Praga. In un paese civile di cui nessuno parla perché non fa comodo si sappia che c'è un modo, semplice, per stroncare un bel po' di proventi della malavita. Viaggio e incontro un mondo che mi chiede "Ma che succede nel tuo paese?" E io mi trovo sempre più in difficoltà a rispondere. Quando l'extraterrestre aveva ascoltato il mio richiamo e m'aveva tirata via dal seminterrato, invece che una stella tutta mia m'aveva dato un monolocale sgarrupato su un viale patrimonio storico dell'umanità. Io lo so che arriverà il momento in cui gli chiederò di riportarmi a casa. Il problema sarà quando. E come convincerlo a restare anche lui. Ma non è questo il momento di preoccuparsene. La primavera, è noto, tarda ad arrivare. |
Post n°386 pubblicato il 03 Gennaio 2011 da Midnight_Raver
Chissà cosa pensi tu, nelle tue notti lunghe. Chissà se le stesse ombre ti mordono le caviglie, mentre io respiro pesante e affronto paure e desideri trasfigurati. Nelle mie notti lunghe io discorro con la morte. Non so perché abbia deciso di venire a farmi visita tanto spesso proprio ora. Ma è lì vicina, seduta in fondo al letto, leggera che neanche schiaccia la trapunta, e mi guarda. Non ha bisogno di parlare, lo so cosa mi sta dicendo. Non porta la falce, per quella c'è tempo, ma a volte mi mostra una clessidra. Poi si mette comoda sulla sedia dei vestiti e con un colpo di pollice fa partire la proiezione. Così sulla parete di fronte al letto vedo il momento in cui non potrò più lavorare, ma è sfocato, appena suggerito, e non faccio in tempo a fissarlo nella mente che arriva quello in cui non riuscirò a fare le scale, e mi prende l'affanno come quando torno da qualche viaggio e ho perso l'abitudine ai novantanove scalini. Cambia canale, l'ospite non invitata, e mi mostra sola in un deserto, mi mostra guardare affamata la vetrina di un fornaio, mi mostra la mia stessa mano raccolta a coppa, e i miei denti dentro. Mi mostra te, anzi la tua assenza, mi mostra la tua faccia dietro una rete di protezione, il tuo sorriso storpiato da una cannula nel naso, e qualche volta quando è in vena di scherzare la tua figura di spalle che si allontana per non tornare. Nelle mie notti lunghe non vale a niente pensare alla grande famiglia che mi sostiene, a tutti quei bambini che un giorno saranno grandi e forse, chissà, per la zia matta faranno qualcosa, perché non abbia fame davanti a una vetrina. Non vale a niente pensare che ci penserà mamma, perché mamma - eccola lì nella tv improvvisata, ma non ho voglia di descriverla, fa male - non ci sarà per sempre, e su papà non si è mai potuto contare. Non vale a niente sentire il tuo respiro, la tua vita accanto alla mia. Chissà se ce le hai anche tu, quelle notti lunghe, quando l'unica cosa che ti aiuta a dormire è pensare che sì, forse sarà proprio così, ma che soffocarsi di angoscia ora regala solo granelli sprecati alla clessidra. E alla domanda "Perché proprio ora?" è facile rispondere. Non si può avere paura di perdere quello che non si ha. |
Post n°385 pubblicato il 20 Luglio 2010 da Midnight_Raver
Un tempo questa pianura infinita era il fondo di un mare. C'erano i pesci sopra la mia testa, e dovevano essere pesci ben strani, magari con sei occhi, o forse non erano nemmeno pesci, creature lontane che si possono solo immaginare. C'erano metri e metri d'acqua, e alghe, e magari molluschi e crostacei. Doveva esserci un grande silenzio. Come c'è adesso le domeniche pomeriggio, quando tutti scappano al lago, perché il mare, quello che era sopra la mia testa, non c'è più da un pezzo, e in città si schiuma di calore. Doveva essere tutto diverso, un tempo. Di sicuro non c'erano i negozi 24 ore. O magari ce n'erano di meno. E se non c'erano campi, nessuno poteva coltivare, e così niente palinka che fa venire voglia di cantare anche ai più stonati. Eh sì, doveva esserci proprio un bel silenzio. Io però penso che il mare, tutto sommato, ci sia ancora. Perché cos'era se non navigare il nostro correre verso sud, ora vicini, ora lontani dal Danubio, ora in silenzio ora battendo il ritmo sulle portiere. E cosa se non immergersi il veder scorrere mais e girasoli per tutta la grande pianura pannonica, e ritrovare il Danubio, e la Sava, che si fondono in un amplesso sotto la fortezza della città bianca. E cos'è, se non acqua salata, questo tepore liquido in cui galleggio, in cui non ho motivo di aver paura, in cui mi dondolo e sorrido indolente, e quando arrivano, perché lo fanno ancora, i brutti ceffi dalle nebbie del passato, che cos'è, se non acqua, a impedire che mi giungano le loro voci? Spiriti inquieti che aspettano dietro le porte, che provano ad afferrarmi le caviglie quando vado a spegnere la luce, che mi fanno sfuggire le posate mentre ho le mani a mollo nel sapone. Mi basta guardarli aprire la bocca e richiuderla (so leggere il labiale) per sapere cos'hanno da dire. Sbadiglio. Io so che qui una volta c'era il mare. E adesso ci siamo noi. |
Post n°384 pubblicato il 01 Aprile 2010 da Midnight_Raver
Mi capita di sera, quando non c'è nessun altro in casa, o anche dopo pranzo, quando la sigaretta si mischia all'ultimo sorso di caffè. Mi capita di aver voglia di scrivere, così, come un tempo, buttare le parole una dietro l'altra e vedere dove mi portano. Un'idea, un concetto, un'idea... Lo sapevate che a Roma si sente l'odore del mare? Ve ne accorgete quando ci tornate da un posto che il mare ce l'ha a centinaia di chilometri, e si chiaman tenger, che peraltro è una bella parola. Qui, però, abbiamo un vero fiume. Non come il Tevere flavio, che biondo non è più da un pezzo. Un fiume possente, largo, che si impone e taglia in due il mondo. E di là ci sono le colline, e le ville dei ricchi, i parchi, il castello, la fortezza. Di là c'è Buda e la gente perbene. Mentre di qua è tutto piatto all'infinito, non una salita, non una discesa. Le increspature della pelle della terra si sono fermate di fronte al fiume. E qui, brulica il mondo. Le strade di Pest sono un tripudio sonoro. Ungherese, certo, ma anche francese, inglese, spagnolo, italiano, arabo, cinese, tedesco, e tutte le lingue slave. "Se non hai ancora trovato il tuo posto nel mondo, lo puoi trovare qua", mi disse una delle mie più care amiche, che adesso mi insegna la lingua magiara, dalle sei alle otto martedì e venerdì. Budapest è una buona base. Il cuore pulsante d'Europa. Con sei ore di pullman sei a Praga, con sei ore di macchina a Berlino. C'è un viavai di persone che tornano e ripartono, chi va a casa per le feste, chi a fare una tourné. C'è un brulicare di arte e di vita, come se ancora non si fosse dimenticato che la creatività è un dono di ognuno, e svilupparla per ognuno quasi un dovere. Non ho mai visto così tanti giovani camminare per strada con uno strumento in spalla. No, niente pianoforti (però ne ho uno in casa), ma chitarre, violini, bassi, contrabbassi, viole, sassofoni, trombe, clarini... Un mio amico serbo ma cittadino ungherese mentre veniva a cena qui tempo fa ha visto un falconiere sul tram. Con il falco. Che nutriva con pezzi di carne cruda. Davanti agli occhi allibiti dei presenti. Con un copricapo mongolo in testa. E se ne vedono, di cose, solo a camminare per strada. Soprattutto adesso che è primavera, e tutti fanno capolino dai portoni con un'aria dubbiosa, guardano il cielo, varcano la soglia, si guardano intorno e sorridono: è arrivata davvero, non nevicherà più! E spuntano ovunque i tavolini, e i parchi si riempiono di comitive di tutte le età. Per scrollarsi di dosso il riscaldamento artificiale dell'inverno, e il gelo che ti aggrediva sulla porta quando decidevi a malincuore di rinunciare alla pizza a domicilio. Budapest è un posto in cui puoi essere esattamente chi sei. Chiunque tu sia. Oddio, in realtà non è esattamente così, ma della questione del razzismo contro gli zingari non mi interessa parlare questa sera. Diciamo che puoi essere quello che sei se non sei roma. La città invece si scrive con la Ó: "Róma, per carità!" non manca di raccomandarsi la mia insegnante, e una volta eravamo a Eger con T. per una serata e lui aveva la felpa della Roma che gli avevo regalato io. Bell'effetto: un nero che proprio nero nero non è con una felpa con su scritto "zingaro" in una cittadina con forte presenza di skinhead. Che infatti sono venuti nel locale, ma pare ce l'avessero con un tipo in particolare e hanno lasciato che T. suonasse le sue 3 ore senza problemi. Budapest è un gruppo di amici variegato per età, origine, occupazione. Siamo americani, italiani, ungheresi, francesi, serbi, colombiani, africani, australiani, inglesi, irlandesi, austriaci, russi... e ogni discorso è un mondo che prende senso, visto da così tante prospettive. Budapest è una lingua così diversa che cominciare a capirla dà una strana emozione. Che è più forte quando ti sei appena seduta al tuo posto sull'aereo, e hai allacciato la cintura e aperto il libro. Cominciare a capire. Riconoscere le parole, sempre le stesse, ma sempre meglio. E i meccanismi di questa lingua non possono non affascinare. Geniale. Semplicemente geniale. Frutto di un altro tipo di logica, e per questo li guardo e so che pensano in modo alieno. Sentirsi aliena tra gli alieni dà un senso di equilibrio, in un modo che non starò a spiegare. Budapest è, lo posso dire ormai dopo un anno, il mio posto nel mondo. Allora perché calcare gli stessi passi e riscrivere su questo blog? Così, perché certe volte, la sera, mi viene voglia di scribacchiarmela un po'. E non ho in testa una trama che sia una. |
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(I am large, I contain multitudes.)
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