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La Grande Bellezza

Post n°607 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Arvalius

Ieri sera ho visto La Grande Bellezza. Uno sforzo sovrumano, perché dopo un decina di minuti avevo già capito tutto e la voglia di cambiare canale era tanta. Ma avevo fatto una promessa. Parto subito dal regista, che dice d’essersi ispirato a Fellini: La Grande Bellezza sta a La Dolce Vita e a Otto E Mezzo come 4 salti in padella Findus stanno a un piatto di spaghetti alle vongole veraci. E tra l’altro a me Fellini neanche piace molto. Ma tutto sommato a lui quando parte per la tangente lo puoi perdonare, qualcosa ha pure dato al cinema italiano. La Grande Bellezza è un film mediocre sulla mediocrità. Dicono che è profondo. Sì, profondo per quelli che hanno uno spessore culturale che va dal Medico in Famiglia ai Cesaroni. È un film girato a Roma ma sembra ambientato a Milano, la Milano da bere, dei Craxi con nani e ballerine, solo che qui sono nane e spogliarelliste che ti viene voglia di dire: svegliati Sorrentino sono passati trent’anni. Altro che Fellini, il vero ispiratore e non si capisce perché non l’abbia ringraziato è il D’Agostino della Roma Godona, del trash. Ecco. A proposito di trash anche la Ferilli avrebbe meritato un Oscar come una delle peggiori interpretazioni di tutto il film, e non bastano un paio di primi piani sulle cosce prosciuttesche e culo botulinico a salvarla dalla catastrofe. Recita meglio quando vende i divani. C’è questo Jap Gabardelli o un nome simile che mezzo secolo prima ha scritto un libro di successo e poi non ha fatto più una mazza nella vita a parte scrivere articoletti sulle cartomanti per una rivista, che non si sa come fa a permettersi un attico e superattico con terrazza olimpionica vista Colosseo, roba da 150mila euro a metro quadro, che forse all’epoca aveva venduto qualche miliardo di copie e va avanti con le royalties o gli pagano gli articoli a botte di chili d’oro a parola. Questo per dire la profondità della sceneggiatura. Dicono: ma gli americani gli hanno dato l’Oscar. E ti credo, dopo Vacanze Romane agli americani gli fai vedere una Roma notturna da cartolina e loro sono contenti. Un Oscar non lo negano a nessuno, a parte a DiCaprio. Il loro peggiore regista è meglio del nostro miglior regista. Si intitola La Grande Bellezza, ma poteva benissimo intitolarsi Il Fascino Discreto della Sinistra. A Veltroni e Franceschini sarà sicuramente piaciuto. Solo che Bunuel era nel suo tempo, Sorrentino arriva tardi. 35 anni fa (forse 45) magari sarebbe stato un film d’avanguardia, ma questo film lo hanno già fatto. Mi viene da pensare al Ken Loach di Terra E Libertà. Un bel film se l’avesse girato 20 anni prima. Se mi fai vedere le cose quando sono già avvenute non mi dici niente di nuovo. Come Sorrentino. Che ci ha pure inzeppato un po’ di Jodorowsky e di Arrabal, e mettici pure un paio di scene alla Eyes Wide Shut tanto per dargli quel pizzico di simbolismo intellettualoide che ha fatto gridare alla profondità culturale i cultori di Ho Sposato Uno Sbirro, che adesso si sono precipitati a vederlo perché quando uscì un anno fa avrà avuto sì e no 12 spettatori. È tutto un già visto, un deja vu, e non serve chiamarle citazioni. Dura un paio d’ore, ma se t’addormenti una mezz’ora o per un’oretta non ti sei perso granché. A un certo punto avresti voglia di dire, dai, Sorrentino rilassati, lascia che Verdone e Buccirosso sparino qualche cazzata che ci divertiamo di più. Tutto il resto è noia, come direbbe il Califfo. La parte migliore sono i titoli di coda. Musica adeguata mentre una barca scivola molle sul Tevere e Roma s’affaccia dai muraglioni. L’Oscar glielo hanno dato per quei due minuti.

 
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Peregrino

Post n°605 pubblicato il 02 Maggio 2013 da Arvalius

Assisi trabocca di pellegrini vocianti. Nella piazza, giovani del posto, musica techno a palla, tracannano birra, si ubriacano e ballano; con ostentazione. Rivendicano il territorio, come a dire portate i soldi ma siete di troppo, siamo stanchi di vedervi qui ogni giorno. Ho una guida del Touring Club del 1950. Leggo: Assisi è una città solitaria e silenziosa, che infonde al visitatore un sentimento di mistica serenità.

Lungo le vie una sequela di bottegucce con finte pistole e balestre, falso artigianato e artigianato di Deruta con prezzi per quelli che pensano sempre di fare un affare, prodotti tipici ormai tipicizzati, e collane su collane di rosari e croci tau made in China. Ma l’atmosfera è gaia.

Nel ristorante dopo la volta fatta affrescare da Paolo IV che è sulla piazza di fronte al tempio di Minerva si mangia bene. La signora ci racconta del terremoto, la paura, dei soldi della ricostruzione mai arrivati e delle spese che dovette sostenere per rendere antisismica la sua casa.

 La basilica di san Francesco stupisce per la sua imponenza. E' un insieme stupefacente di edifici. Il grande rosone centrale della basilica superiore pare fatto all’uncinetto, le vetrate istoriate trapunte sotto le quali potresti dormire, le decorazioni sugli archi grattacieli di colore più potenti di una via notturna di Las Vegas. E poi Cimabue e Simone Martini, le scene di Giotto con le architetture squillanti di città che dipinse a cavallo del 1300. Quadri che mozzano il fiato. Almeno a me; perché la folla sciamante chiacchiera come al mercato, nonostante le continue esortazioni al silenzio.

Ora gli affreschi stridono con l’ambiente esterno, con i palazzetti di un grigiore uniforme e piatto, i vecchi intonaci spicconati per lasciare la pietra faccia a vista così da dare il senso dell’antico, ma dove tutto sembra falso come un film sul medioevo di quart’ordine.

Il medioevo, quello vero, è nella basilica. Esplosioni cromatiche come fuochi d’artificio e stelle filanti. Pavimenti che sembrano usciti dai riflessi di una palla stroboscopica, e volte da sballo come sotto gli effetti dell’acido lisergico. Tutto è colore all’ennesima potenza; dopotutto si usciva dai secoli bui.

 A sera, per le vie una trentina di ragazzi suonano i tamburi marciando come un plotone contro il mondo. E' un rumore cupo che rimbomba dappertutto, sembra un terremoto. Ma l’hotel ha finestre spesse e nella saletta del bar puoi servirti da solo. Domani andremo all’eremo a fare altre file.

 
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Roma e il Tevere

Post n°602 pubblicato il 21 Gennaio 2013 da Arvalius

 

 
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Voglie.

Post n°585 pubblicato il 07 Dicembre 2011 da Arvalius

 

Ho una voglia irrefrenabile di gridare un grosso, potente,

VAFFANCULO!

Posso?

 
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Equità

Post n°584 pubblicato il 02 Dicembre 2011 da Arvalius

Mai come in questo periodo si è sentito parlare di equità.

Ma cos'è l'equità?

 

L'equità, intanto, non è una percentuale da applicarsi a qualsiasi reddito, mettiamo il 10 % a tutti, sia a chi guadagna 1.000, sia a chi ne guadagna 100.000.

 

L’equità è data da questa formula:

E = (R – 10%R) x(A)

Dove “R” è il reddito, “A” il senso di benessere che si vive in base al proprio reddito.

 

Per spiegarmi meglio faccio un esempio.

 

Mettiamo che uno abbia un reddito di mille euro, per il concetto di equità siccome A è negativo, mettiamo un meno 3, dovrà avere un aumento del reddito.

Uno che guadagna 10.000 euro, siccome A è di un certo spessore, mettiamo un valore 3, dovrà sacrificare 3.000 euro.

Chi ne guadagna 100.000, invece avrà A ancora più alto, diciamo 5, dovrà sacrificare 50.000 euro.

 

Ditelo a Monti.

 
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