Creato da aranciovitamina il 29/05/2006

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La mia notte bianca

Post n°103 pubblicato il 11 Settembre 2006 da aranciovitamina
 
Foto di aranciovitamina

Una notte così.

Abbiamo deciso di andare a Roma per farci un bagno di folla, un bagno di luci, un bagno di fuochi, un bagno di eventi, un bagno di storia, un bagno di bei negozi e vita nella capitale.

La Notte Bianca. La prima che vedo, la prima che vivo.

Ci siamo regalati un sogno a Cinecittà, che apriva le sue porte al pubblico, a noi sognatori che di solito siamo al di qua dello schermo e che per una volta abbiamo potuto spiccare un salto e finire DENTRO ai film. Come Alice nello specchio.

La notte è stata calda, tutti giravano allegri con le maniche corte, noi in canottiera, ma negli zaini una felpa, perchè per arrivare indenni alle cinque del mattino bisogna partire attrezzati...

Siamo partiti da qui alle 10 e mezza. Circa tre ore e mezza di autostrada, poi, finalmente, il casello di ROMA EST. Da lì, è partito il Calvario. DUE ORE a vagare per strade e superstrade e autostrade INTORNO e dentro Roma. Milioni di cartelli che ci indicavano la via più contorta per arrivare dove volevamo andare. Cartina alla mano, la strada era molto più semplice di quel che si dimostrava; poi in realtà: decine e decine di cartelli rossi e bianchi e blu e bianchi ci obbligavano a compiere deviazioni e involuzioni al nostro percorso, e ci costringevano a elaborazioni disumane di percorsi alternativi semplici e sicuri per arrivare a destinazione facendo un sapiente slalom tra ZTL e divieti di accesso...

Un'impresa.

Ci siamo persi otto volte, naturalmente. Però ce l'abbiamo fatta da soli.

Wanted e MP3 davanti, a guidare e guardare la strada l'uno, a leggere indicazioni e cartelli l'altro. Io e Anna, dietro, sepolte sotto una montagna di stradari e guide turistiche, dietro un paravento di nomi di strade e piazze e "M" rosse e bianche della metropolitana. Dai posti anteriori ci arrivano indicazioni a conferma che la strada che abbiamo suggerito è quella giusta, oppure - più spesso - deludenti informazioni che c'è l'ennesimo cartello di obbligo a svoltare a destra quando noi dobbiamo andare a sinistra, oppure dritto...

Qui il navigatore satellitare è d'obbligo, ma noi non ce l'abbiamo. Così arriviamo a scendere dalla nostra quattroruote in territorio romano solo alle quattro postmeridiane. Sei ore in auto... Pensare che l'ultima volta ho impiegato cinque ore per scendere in Puglia da Firenze!!!!

Mentre siamo ancora lì che vaghiamo, ormai prossimi alla nostra meta, passiamo davanti alla "pensione" che abbiamo prenotato via Internet.

L'edificio è nero di smog, il portone di legno cade a pezzi, le finestre - quelle poche aperte - lasciano intravedere dalla strada pochi agi e molta decadenza. Cerchiamo un posto per l'auto su quella strada, ma siamo in pieno centro e sarebbe forse più facile veder passare un pinguino sullo scooter, o mia nonna in tenuta da jogging.

Arriviamo indenni, per miracolo, davanti alla stazione Termini e là c'è molto posto perchè c'è un parcheggio a pagamento. Anzi, due. L'uno è recintato, con tanto di cartelli blu e ufficializzazioni da parte del comune di Roma. Proprio affianco ce n'è un altro... Niente recinzioni, solo tigli e marciapiedi. Non ci sono neanche le linee blu a terra, e la cosa potrebbe far pensare "Che botta di c**o", però non ci sono neanche quelle bianche, e la cosa è sospetta.
Parcheggiatori di certo abusivi provenienti da vari paesi del MedioOriente si avvicinano chiedondoci 1 euro a ora.

"Quanto, per una giornata intera?"

Il tipo non capisce l'italiano e l'unica frase che sa è "1 euro 1 ora", così continua a ripeterci quella, nella speranza che prima o poi, a forza di ripeterla, noi smettiamo di domandargli cose di cui lui non coprende il significato.

Alla fine proviamo a trovare un compromesso tra il suo linguaggio e il nostro e gli diciamo: "Ok. Un euro, un'ora. Ventiquattro ore?".
Lui alza gli occhi al cielo, ci pensa un po' su, poi spara l'offertona da saldi di fine stagione: "Sette euro!".

Ma sette euro io ce le ho spese, una volta, solo per pagare un'ora e dodici minuti di parcheggio sotto la stazione, a Firenze... Possibile che sette euro, qui a Roma, bastino per un'intero giorno? La cosa mi puzza, e non solo perchè c'è puzza davvero (di sporco, di merda, di fogna e non so che altro), ma anche e soprattutto perchè non vedo linee nè bianche nè blu nè gialle, a terra. Qui o ci portano via la macchina dopo sei miuti di sosta vietata, o ci spaccano il finestrino, ripuliscono ben bene l'auto di ciò che c'è dentro e si prendono il resto dei sette euro che gli abbiamo pagato.

Chiediamo così al parcheggio accanto, quello che sembra più "serio". Ci dicono che la tariffa giornaliera è di diciannove euro, per venti ore. Diviso quattro, quanti ne siamo, viene un prezzo decente. Perlomeno siamo più sicuri di dove lasciare l'auto.

Decidiamo di dividerci i compiti, così io e MP3 ci avviamo verso la pensione carichi degli zaini di tutti e quattro perchè dovevamo presentarci là all'una e sono già le cinque del pomeriggio, mentre Anna e Wanted (ribattezzato così perchè è ricercatissimo, e il suo telefonino squilla con una media di quindici volte ogni venti minuti... altro che Moggi...) rimangono al parcheggio a trattare col tipo e ad aspettare che io e MP3 gli diamo l'ok per parcheggiare là oppure che li chiamiamo per dirgli che la pensione è dotata anche di parcheggio (cosa altamente improbabile).

In auto, la pensione sembrava molto più vicina alla stazione. Fare la stessa strada a piedi, con sette borse sulle spalle è tutt'altra storia. A tratti, mi sorprendo a pensare che Roma è cambiata molto dall'ultima volta che vi sono stata: è più lurida, nera, sporca. E puzza. Non sembra nemmeno di essere in Italia, e nel raggio di otto chilometri dalla stazione ci imbattiamo solo in:
a) Cinesi;
b) Pakistani;
c) Marocchini.
Ma che succede? mi chiedo inizialmente, ma subito mi rendo conto che non c'è da stupirsi, perchè tutte le città d'Italia ormai sono così. Una lenta invasione senza armi nè violenza. E' così che si conquistano, oggi, le nazioni, mica come all'epoca dell'Impero Romano.

Esausti e sudati, arriviamo al 75 di via Napoleone III. Nessuna insegna di pensioni, ostelli o affittacamere... Solo una serie di campanelli su una piastra di finto metallo. Su quello più in basso c'è scritto: "ALADINO". E' il posto che cerchiamo. Già il nome mi sembra la dica lunga su quello che troveremo...

Apriamo il pesante portone devastato dalle tarme e ci ritroviamo in atrio non tanto fresco come invece dovrebbe essere. Saliamo le scale, a intuito, perchè in realtà non c'è nessuna indicazione per l'ostello. Al primo piano, una porta aperta. Entriamo.

Già al primo sguardo si capisce come la "pensione" (continuo a metterla tra virgolette per validissimi motivi che già dovrebbero iniziare ad esser chiari anche per voi) sia in realtà un appartamento adibito ad albergo. E la "hall" è solo l'ingresso di un appartamento buio e sciatto. Ad accoglierci viene un essere androgino con gli occhi a mandorla. Secondo me è una donna, neanche troppo femmiile, ma a guardarlo meglio potrebbe essere soltanto un uomo imberbe coi capelli lunghissimi fino al sedere... L'ipotesi più corretta si rivela la seconda, non appena il tipo apre bocca per chiederci cosa desideriamo.

MP3, che si è preoccupato di trovarci dove dormire a 20 euro, gli consegna il foglio che ha stampato come ricevuta. L'occhio a mandorla scorre sul foglio, mentre la lunga chioma si allontana e sparisce in un corridoio sulla sinistra. Io e MP3 ci guardiamo... La curiosità ci spinge a sbirciare in una stanza che dà proprio lì, sulla "hall"... Dieci metri quadrati occupati all'80% da tre letti a castello con le lenzuola bianche disfatte e per il restante 20% da giocattoli sparsi, vestiti sgualciti e poi ciabatte, borse...

Io e MP3 ci guardiamo ancora... Ritorna la chioma fluente a consigliarci di andare nell'altro ostello, proprio di fronte a questo: "Forse per voi sarebbe meglio", dice, sottolineando il significato della frase con un gesto della mano rivolto verso lo stanzino in cui abbiamo sbirciato. Sopraggiunge una donna - uno strano incrocio tra una pakistana e una coreana - a dirci col suo miglior sorriso che non è così, ma semplicemente la stanza che noi abbiamo prenotato è in quell'altro ostello. Così prendiamo le nostre cose e torniamo in strada, a cercare il civico 58 proprio lì di fronte.

Nel frattempo Anna e Wanted ci hanno chiamato già tre volte per avere notizie del parcheggio... Ma che dirgli? Qui è ancora lunga!

Il 58 di via Napoleone III sembra molto meno fatiscente del 75, ma ancora nessuna traccia di cartelli recanti la scritta "pensione", "ostello" o roba simile. Stesso campanello e stessa scritta: "ALADINO". La vendetta?

Stavolta ad accoglierci c'è una signora, marocchina, pakistana o nonsoche (non sono capace di definire la nazionalità di una persona solo dalla sfumatura di colore della pelle). Ci mostra la nostra stanza...........

Sei posti letto, di cui quattro a castello. Pareti bianche ma nemmeno tanto bianche. Sarebbe più corretto dire maculate... Materassi sottilissimi, luridi. Lenzuola colorate da offerta speciale al supermercato. Una puzza stomachevole di disinfettante che fa venire mal di testa.

Non un solo armadietto con la chiave per lasciare la roba. Andrebbe bene anche senza chiave, a questo punto, ma... manca proprio un armadietto!!!
"Dove lasciamo la roba?" le diciamo.
La donna ci guarda interdetta, stupita della nostra domanda.
"Qui, qui, qui..." ci dice indicando con la mano vari punti del pavimento della stanza, mentre si affretta a togliere (senza neanche troppa fretta) il sopra di un lenzuolo
evidentemente più sporco degli altri.
"...A terra!" conclude, col tono di chi ti ha rivelato una cosa ovvia e lampante, assolutamente naturale per tutto il resto del mondo tranne te... Poi va via, con passo felpato e veloce. Ci lascia soli con quei letti sudici, con quella puzza stagnante e rivoltante e col pensiero che lì non ci dormiremo neanche una notte. Passiamo più di dieci minuti a meditare su quello scempio, poi ci risolviamo ad andar via.

Tutte le nostre seghe mentali sul cosa dire o non dire per dileguarci, si rivelano inutili: alla signora basta guardarci con le borse davanti all'uscita per capire. Col suo solito sorriso ci riconsegna il nostro pezzo di carta e ci lascia andare senza far storie. Tanto, dieci euro se li sono guadagnati comunque con la prenotazione. Dieci euro per venire a respirare disinfettante (almeno SPERO fosse disinfettante).

Vi risparmio il resoconto delle altre due ore di peregrinazioni in su e in giù per Roma con le nostre borse a cercare un altro alloggio. Alla fine riusciamo a trovare una camerata da sei in un ostello (questo sì può essere definito tale) nel centro di Roma a 20 euro a posto letto.

L'ostello ha un portone stregato. E' pesante, di legno massiccio, ed è anche un po' tetro, perchè si apre e si chiude da solo, lentamente, con un lungo cigolio. Tutte le volte che entro o esco da lì mi aspetto di veder spuntare Learch e lo zio Fester ad accoglierci.

Comunque. Un po' di riposo, una lavata, cambio d'abito e alle otto siamo pronti per uscire. La nostra Notte Bianca è iniziata!

Un piccolo assaggino di quello che abbiamo visto l'ho pubblicato nella mia Fotogallery, che vi consiglio di visitare al più presto perchè non so per quanto tempo terrò le foto. Per il resto, non posso non rendervi partecipi del fatto che ho visitato Cinecittà, la fabbrica dei sogni, e camminato per le strade del film Gans of New York e seduto sull'automobile dei Flinstones...

Ma l'evento più inquietante in quel frangente è stato una specie di infinitometraggio proiettato in una sala completamente buia su due pannelli, uno grande, nel quale si vedeva uno sfondo rosso sangue con un minuscolo buchino dal quale continuava a cadere, a tempo di una lugubre musica, una goccia bianca che andava a formare una piccola pozza bianca in basso, che diventava man mano sempre più grande, finchè, ad un certo punto, raggiungeva la sua dimensione massima e il processo si invertiva: la goccia iniziava a risalire nel buchetto e la pozza spariva, per poi ricominciare a scendere daccapo in un periodo di tempo praticamente infinito.
Sul pannello accanto, veniva proiettata l'immagine in bianco e nero di una bambina vestita di bianco coi capelli lunghi e neri (avete presente la bambina-fantasma di Gothica? ecco, uguale a quella, perfino stessa camminata... BRRRRR!) che si muoveva con movimenti strani ed inquietanti (anche se in realtà voleva solo ballare), su uno sfondo completamente nero, a tempo di quella inquietante musica da film horror. Da brivido.

In realtà, poi ho scoperto (leggendo sul volantino informativo, e non perchè ci fossi arrivata da sola con le mie facoltà intellettive) che l'infinitometraggio (come l'ho ribattezzato io) era una rappresentazione dello spazio-tempo: la goccia che scende scandisce lo spazio, la bambina si muove - e scopre - lo spazio, "misurandosi con la sua libertà, che è più grande di lei". Sarà...

Ad ogni modo, ci sono stati momenti molto più divertenti di questo, e quelli ve li lascio intuire dalle immagini in Fotogallery... Buona visione!!!

 
 
 
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