Creato da roby.floyd il 31/01/2014
un'anima alla ricerca di un chissà
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« Fatica | Presunzione » |
L'angelo guardò giù.
E non vide nulla, solo un tappeto grigio di nebbia e di nuvole.
Ma l'angelo sapeva cosa c'era sotto quella nebbia, quelle nuvole.
C'era il chiasso e il fragore del mondo della pianura, quel mondo che lui conosceva bene perchè a lungo ci aveva vissuto, tanto da volersene allontanare per raggiungere la vetta di quella montagna che sovrastava la pianura.
E quel fitto tappeto grigio di nebbia e di nuvole impediva agli abitanti della pianura di vedere la montagna.
Ma l'angelo, anche quando aveva vissuto laggiù, con loro, in mezzo al chiasso e al fragore sapeva della montagna, dei suoi colori, del rumore che il vento faceva fra i suoi picchi e che la sgombrava dalla nebbia e dalle nuvole.
Allora l'angelo puntò in alto il suo sguardo di occhi chiari color del cielo e profondi come il mare.
Rosa dovette urlare per farsi sentire, e strattonare la folla, per raggiungere un amico che lei credeva la stesse aspettando, ma non le riuscì a trovarlo.
Rosa pensò allora si fosse spostato in un'altra zona della pianura.
Si mise in cammino ed entrò in tutte le case e attraversò tutte le piazze, e ovunque andasse domandava di quel suo amico.
Quando la sua voce riusciva a levarsi sul fragore, qualcuno le rispondeva, ma nessuno sapeva dove il suo amico fosse.
Nessuno lo aveva mai incontrato, nessuno conosceva il suo nome.
Com'era bello lassù, sulla sua montagna, pensò l'angelo.
E più quello spazio infinito sgombro dal fragore e dal chiasso della pianura gli piaceva, più si domandava come avesse potuto vivere laggiù.
Mai sarebbe tornato in quella pianura, mai più avrebbe contaminato i suoi occhi chiari color del cielo e profondi come il mare con il grigio della nebbia.
Mai più.
L'angelo voleva godere pienamente della bellezza della sua montagna e la montagna sembrava accoglierlo come se fosse completamente sua.
Avvilita e disorientata per la sua vana ricerca, Rosa si fermò stanca nel centro di un giardino pieno di folla vociante dove una grande ruota colorata girava portando ora in alto ora in basso chi vi saliva, e chi saliva aveva l'illusione di essere in alto, tanto in alto da toccare quasi quel tetto di nebbia e di nuvole.
Improvvisamente un raggio di sole bucò la coltre delle nuvole e colpì Rosa talmente forte da farla quasi cadere a terra, ma fu allora, in quel rapido e preciso momento, attraverso quello squarcio tra le nuvole, che Rosa la vide, che Rosa vide la montagna.
L'angelo era felice lassù, sulla sua montagna, nel suo silenzio.
Quel cielo chiaro, come i suoi occhi, lo invadeva con la sua bellezza.
E di bellezza, lui stesso magnifico e solitario, era composto, nulla gli mancava e nessuna nostalgia sentiva per il chiasso e il fragore di quella pianura dove aveva vissuto.
Solo ogni tanto gli sembrava di sentire il profumo di qualcosa provenire da laggiù, dal tappeto grigio di nebbia e di nuvole, un profumo che lo incuriosiva: mai, quando aveva abitato nella pianura, ne aveva sentito uno simile, così, quando ogni tanto capitava che quel profumo oltrepassasse il tappeto grigio di nebbia e di nuvole, l'angelo lo respirava a fondo, ogni tanto.
Da quando Rosa aveva intravisto la montagna oltre il tappeto grigio di nebbia e di nuvole aveva pensato che forse era proprio lì che il suo amico si era rifugiato, così chiese a tutti gli abitanti della pianura di indicarle la strada per la montagna, ma nessuno sapeva che ci fosse una montagna, e se lo sapevano, ne ignoravano la strada.
Disperata, Rosa continuò a chiamare il nome del suo amico a gran voce, affinchè quel nome riuscisse a bucare il tappeto grigio di nebbia e di nuvole, ma il chiasso e il fragore coprivano le sue parole e Rosa, stanca e indebolita, aveva quasi deciso di rinunciare alla sua ricerca quando in un angolo di una strada rumorosa vide per terra un megafono d'oro.
Lo prese e continuò così a chiamare il suo amico per ogni dove, infilando in quel megafono d'oro le sue parole.
L'angelo era seduto su uno sperone di roccia; sopra di lui il cielo e sotto di lui il fitto tappeto grigio di nebbia e di nuvole.
Improvvisamente gli parve di udire un suono provenire dalla pianura; un suono indistinguibile all'inizio, un suono però che gli ricordava quel profumo che ogni tanto sentiva.
L'angelo prestò maggiore attenzione: più che un suono una voce, mai dagli abitanti della painura gli era giunta fin lì una voce così chiara.
Il chiasso e il fragore in cui vivevano le rendeva tutte indistinguibili, e il tappeto grigio di nebbia e di nuvole impediva loro di raggiungere l'aria pulita della montagna.
Ma il suono di quella voce si fece per lui sempre più distinto; a tratti gli sembrava talmente vicino, da bucare quel tappeto grigio di nebbia e di nuvole, e cominciò così a piacergli molto il suono di quella voce.
Rosa continuava imperterrita a infilare parole dentro al suo megafono d'oro, mai stancandosi di chiamare per nome il suo amico; lo chiamava con mille toni diversi e in mille diversi modi di dire quel nome a lei caro.
E non perdeva la speranza di trovarlo; sopra la sua testa sempre quel tappeto grigio di nuvole e nebbia.
Quando Rosa si accorse che procedere le procurava un pò più di fatica e un pò più di affanno, capì che era giunta alle pendici di quella montagna intravista attraverso lo squarcio del sole.
Non si perse d'animo e cominciò lentamente ad arrampicarsi; il terreno cominciava a farsi scosceso, irto di spine, pieno di sassi sdrucciolevoli e Rosa dovette fermarsi spesso per riprendere fiato, ma non smise mai di chiamare per nome il suo amico a gran voce, infilando le sue parole dentro quel megafono d'oro.
L'angelo completamente incuriosito, quasi soggiogato da quella voce, rimase in ascolto giorni, giorni e giorni, mai cessando di prestare ascolto a quelle parole che si avvicinavano sempre di più.
Conosceva il nome che quella voce cercava, ma sentirlo pronunciare in maniera così cristallina lo faceva sorridere.
Lasciato il megafono d'oro su uno sperone di roccia, Rosa continuava la sua arrampicata affannosa; dell'amico chiamato a gran voce, nessuna traccia.
Si fermò nuovamente per riprendere fiato e guardò giù, verso quel tappeto grigio di nebbia e di nuvole, e si domandò come avesse fatto a viverci immersa per tanto tempo.
E quando all'angelo quella voce parve talmente vicina, quasi da toccarla, si fermò ad aspettarla seduto su uno sperone di roccia; da lì guardava Rosa salire e ne ascoltava il profumo.
Rosa, a capo chino, era tanto impegnata nella salita, che quasi dimenticava di chiamare ancora il nome del suo amico.
Volle farlo di nuovo, e fu allora che alzò gli occhi chiari color del cielo e incrociò quelli dell'angelo profondi come il mare.
Si fermò entrando in quegli occhi e pronunciò ancora un'ultima volta quel nome: "Amore".
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