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COLONNA SONORA

 

 

« MARZOFILO DI LANA »

IL VIAGGIO DEL CUORE

Post n°115 pubblicato il 11 Marzo 2017 da rozappa
Foto di rozappa

Quando mi proposero questo tema, di getto mi venne in mente un periodo molto lontano e condizionato dall'aver ritrovato qualche mese prima, proprio la colonia dove avevo passato alcune settimane, ho scritto questo breve racconto, col cuore, in ricordo di tutti gli amici di allora, persi e mai più ritrovati.

All'epoca si ascoltavano queste canzoni

                                   

 

LA COLONIA

   E quando meno te lo aspetti, in giro in auto per lavoro, quasi ci vai a sbattere contro al tuo passato, e invece è di nuovo lì con le sembianze di una casa marina in rovina.

   Miramare, colonia Bologna, la scorgo dal finestrino e la riconosco subito a dispetto degli anni trascorsi e dei decenni di abbandono che hanno ferito le scale, i balconi, il giardino... perfino il piazzale dell'alzabandiera.

   Mi fermo, decido di entrare ma non posso farlo dalla strada, la rete metallica è una barriera improponibile a quell'ora del giorno e allora avanzo ancora un po' finché non trovo un varco che porti in spiaggia, così posso sembrare solo una persona che ha voglia di una passeggiata per vedere il mare d'inverno.

   Invece percorsi un centinaio metri mi ritrovo all'altezza del vecchio edificio, c'è la rete pure qui, ma trovo facilmente un varco usato da qualche vagabondo o qualche vandalo ed entro anch'io. La prima emozione è il balcone da cui si affacciava la direttrice e la sera che lo fece con la bambina tedesca che avevamo trovato in spiaggia piangente perché si era persa, fu un'avventura a lieto fine perché i genitori arrivano la mattina seguente e lei ritrovò il sorriso perduto. Io ero lì, fermo vicino al pennone della bandiera dove circa 300 bambini, divisi in squadre da 10/11 componenti occupavano ciascuno lo spazio a loro assegnato e arrivavano marciando per cantare l'inno di Mameli, mi sembra di vederli, di vederci, ogni gruppo con la sua divisa: la Poa (noi), la Fedick e l'Enpas che aveva un cappello bianco da cowboy (quanto ho invidiato quel cappello).

   Mi fermo ancora qualche minuto guardandomi attorno, il mare è più vicino di quanto mi ricordavo. Poi entro dalla porta sfondata.

   Appena dentro il contrasto fra luce e buio mi gioca un brutto scherzo, mi sembra di vedere il refettorio pieno di bambini, il loro vociare e le loro risa, ricordo anche il profumo del sugo dei maccheroni... ma è stato solo uno scherzo dei colori. Nel seminterrato c'è un salone dove ci annoiavamo durante le rare giornate piovose, a meno che non proiettassero un film. In quel salone ho ascoltato per la prima volta "Il ragazzo della via Gluck" e "La coppia più bella del mondo"... evidentemente il DJ (che allora non esisteva) aveva un debole per Adriano Celentano. 

   Lasciandomi coccolare dai ricordi sulle note di quelle canzoni, sento un rumore assordante di zoccoli che scendono le scale, sembra il rombo di una mandria di bisonti e poi ci sono le grida sempre difficili da disciplinare dalle Signorine... ma è solo un'illusione acustica; lì non ci sono più bambini.

   Salgo le scale e arrivo alle camerate, non riesco più a trovare la mia, sono tutte uguali, spoglie, con gli intonaci gonfi di sale e umidità che si scrostano, c'è odore di muffa e di salmastro. In ogni camerata dormiva una Signorina, protetta da tenda, si spogliava prima di coricarsi, ma una bajour alle sue spalle ci lasciava intravedere i primi profumi di cose proibite, di inconfessabili pulsioni che ancora non sapevamo definire.

   C'è il rumore di un aereo, poco lontano c'era l'aeroporto militare e qualche volta ci portavano a vedere gli F104 che atterravano. Ricordo che dalla colonia partiva un sentiero che usavamo per alcune escursioni verso l'interno e costeggiava l'inizio della pista di atterraggio. Restavamo aggrappati alla rete e aspettavamo quei grandi uccelli metallici che uno dietro l'altro in pochi minuti atterravano tutti; arrivavano dalle montagne e si abbassavano velocemente virando per allinearsi alla pista e poi giù a terra rombando sopra le nostre teste, il calore dei motori nella loro scia riscaldava l'aria davanti ai nostri volti sbalorditi.

   Mi ritrovai fuori dalla colonia ancora pieno di quelle emozioni e con i nomi di due amici di allora che esplodevano nella testa: Piero e Caneda, non li ho mai più rivisti... che strana la vita,  può celare ricordi importanti ma alla fine ciò che conta trova sempre il modo di tornare a galla.

Sorrido pensando a cosa direbbe Caneda leggendo queste mie righe: "Uei Rosario, tu se propri un pataca".

Rosario, aprile 2016

 

 

 

 
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