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il giorno della memoria (anche se un po in ritardo)

Post n°80 pubblicato il 31 Gennaio 2014 da nevermorelove

Che cosa strana conoscere persone, farle entrare nel tuo cuore ed accorgerti che è come se ne avessero sempre fatto parte, parlare e scoprire che dietro quegli occhi si nascondo storie che si perdono nella memoria e tu vuoi scoprire, conoscere, perché il loro segreto è nel sangue nel respiro, in quello che sentono è quello che sono e, quello che sono scorre nel tuo sangue , fa parte anche della tua storia. Ma quanti vogliono conoscere o conoscono il proprio passato, quella della propria famiglia quanti si fermano soltanto alla loro misera esistenza dimenticando purtroppo che è grazie a quel bagaglio, grazie al sacrificio dei nostri padre, dei nostri nonni, che oggi possiamo vantarci di vivere in una democrazia. Cosa che credo piu importante è non dimenticare quello che è stato, ma la stragrande maggioranza delle persone a questo che fa perché è molto più facile dimenticare è molto più facile voltare la testa dall’altra parte, chiudere gli occhi per non vedere come se l’oblio dell’ignoranza possa poi giustificare le proprie azioni e questo non fa altro che farci commettere gli stessi errori. In qualche modo io sono stato fortunato, ho avuto delle testimonianze dirette come quelle di mio nonno ed ancora di più quelle di mio padre che ha vissuto in modo attivo tutto il periodo della seconda guerra mondiale. Sono nato in un periodo dove c’era la voglia di ricominciare, dove in qualche modo, si stava bene, anche se con fatica, mentre i nostri genitori, avevano visto e vissuto una guerra incredibile, assurda, così come sono sempre assurde tutte le guerre. Da piccolo, curioso ed affamato come ero di conoscenza, mi fermavo a sentire quello che i “vecchi” raccontavano, mi piaceva ascoltare mio padre perché per me erano come delle favole, non potevo credere che realmente fossero successe quelle cose, pensavo che solo nei film di guerra potessero prendere vita quei suoi racconti e a me piacevano i film di guerra anche se spesso ne uscivo turbato ma, quelle cose non potevano essere avvenute, ed invece, proprio le persone che mi erano accanto le avevano vissute realmente. A Roma abitavamo sopra una merceria gestita da una famiglia di ebrei, mio padre era amico del proprietario il “sor Davide” conosciuto anche come “sor Dino” ed io ero amico del figlio, Romolo, con cui spesso mi fermavo a giocare a pallone sotto casa. Papa e sor Dino, nei pomeriggi estivi, si fermavano a bere qualcosa nel giardino dietro casa, un luogo fresco dove, il ponentino che arrivava da mare, rendeva piacevoli momenti che solo Roma riesce a donare. Mentre noi giocavamo loro parlavano, di tutto, così come fanno dei vecchi amici… chiacchieravano delle partite di calcio, mio padre del Napoli e sor Dino della Roma, delle donne, a bassa voce per non farsi sentire da mamma ed anche del loro passato, molto pesante per entrambi. Erano queste le storie che mi affascinavano e, quando questo succedeva, sia io che Romolo smettevamo di giocare e ci sedevamo ad ascoltare. Tralasciando quelle di papa, che come ho detto fu membro attivo della resistenza napoletana nelle 4 giornate di Napoli e successivamente ufficiale del rinato esercito italiano fino alla liberazione del nostro paese, (dopo la sua morte, ritrovai dei documenti, che mi fecero scoprire cose cha mai, credo, papa mi avrebbe raccontato) quello che piu rimane nella mia memoria è un numero…un numero tatuato sul braccio “der sor Dino”. Un numero che si intravedeva solo quando, seduto al tavolino, prima di prendere il caffè, si arrotolava la manica della camicia scoprendo parte del braccio sinistro, un numero, il “marchio dell’infamia dell’uomo sull’uomo” un numero che con il tempo era diventato grigio ma che aveva segnato una profonda cicatrice non solo nel cuore ma nell’anima di quell’uomo e della sua gente. Sor Dino fu uno dei pochissimi a tornare dopo la retata dei nazzisti del 16 ottobre del 43 al Ghetto di Roma. Tutta la sua famiglia fu sterminata come milioni di altri esseri umani nei campi di concentramento. Quel pomeriggio mi soffermai su quel numero e chiesi al sor Dino che cosa fosse, ricordo lo sguardo di mio padre come se volesse fulminarmi ma, quell’uomo, dopo aver fatto cenno a papa, cominciò a raccontare ….come se fosse successo soltanto il giorno prima ed il tutto in modo molto particolareggiato, dalla sua cattura fino alla liberazione e noi ragazzi, non riuscivamo a capire come si potesse arrivare a commettere quelle barbarie. Mentre raccontava non vedevo emozioni negli occhi di quell’uomo, il suo sguardo era perso nel vuoto come se stesse rivivendo per l’ennesima volta ogni momento, ma non c’era odio, non c’era nulla, come se ogni cosa fosse morta dentro di lui e forse era così, lui era vivo ma la crudeltà dell’uomo, la sua organizzata malvagità lo aveva ucciso dentro. Quando fini di raccontare, mise una mano tra i miei capelli e, dopo aver incrociato lo sguardo di mio padre, ci dette un “buffetto” sul viso dicendo: “non dimenticatelo mai” perché è questo che purtroppo l’uomo fa, dimentica e, quello buffetto, brucia ancora sulla mia faccia specialmente dopo aver vissuto sulla mia pelle in giro per il mondo, certe esperienze. Ora che ci penso non ricordo di aver mai visto sor Dino sorridere.

 
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Dal profondo della notte che mi avvolge buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro, ringrazio gli dei chiunque essi siano per l'indomabile anima mia.

Nella feroce morsa delle circostanze non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia. Sotto i colpi d’ascia della sorte il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo di collera e lacrime incombe ma l’orrore delle ombre e ancora la minaccia degli anni mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto sia stretta la porta, quanto piena di castighi la vita. Son Io il signore del mio destino. Son Io il capitano dell'anima mia.

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