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Lev di Muta Imago
Tornare a teatro, dopo molte settimane, in veste critica, implica
decisioni da prendere: cosa andare a vedere? Non è indifferente. A Roma
il teatro va a ritmo alterno: i grandi eventi veltroniani si alternano
ad un fermento, ad un pullulare di iniziative, rassegne, spettacoli di
grande intensità. Piccole cose che trovano ascolto in spazi non
convenzionali (come il Rialto occupato, minacciato di sgombro) o in
teatri più attenti al contemporaneo, come il Palladium, che ha aperto
le proprie porte al progetto "ZTL".
Progetto da tenere in
debita considerazione, in effetti, perché è una sorta di consorzio
produttivo di varie realtà giovani e giovanissime: l'acronimo sta per
"Zone Teatrali Libere", associazione nata nel 2004 come rete informale
e diventata, nel volgere di tre anni, capace di intervenire nella
produzione e nel sostegno delle emergenze artistiche.
A far da
motore sono, oltre il Rialto Occupato, anche l'Angelo Mai (altro centro
sociale già sgombrato dalla giunta comunale), il teatro Furio Camillo,
la compagnia Triangolo Scaleno e il collettivo Santasangre, attivo
all'interno del Kollatino Underground (stranamente non ha ancora
ricevuto intimazioni di sgombro). A queste realtà hanno dato slancio il
Romaeuropa Festival con il Teatro Palladium e la Provincia di Roma.
Insomma:
una piccola ma vivacissima macchina da guerra, capace di dare una
pulsione colorata e appassionata all'ingrigita scena istituzionale
capitolina. Esiste dunque un sommerso nuovo e incandescente, pronto a
prendere il testimone dalla generazione precedente - quella, per
intenderci di Ascanio Celestini, Accademia degli Artefatti, Roberto
Latini, Werner Waas e altri - che indaga nuovi territori ed inventa
circuiti paralleli: un mondo davvero ricco, recensito con cura da
Graziano Graziani nel bel volume Hic sunt Leones, scena indipendente romana: 15 spazi scandagliati, e 50 compagnie presentate (edito da Editoria&Spettacolo. N.d.T.).
C'è
da armarsi di penna e taccuino e provare a rincorrere un movimento già
abbondantemente in marcia: dunque, il critico di ritorno in città non
ha dubbi, e punta subito alla prima di Lev, nuovo spettacolo del gruppo Muta Imago,
forse uno dei fiori all'occhiello di questa nuova scena romana. Lo
spettacolo si avvale della produzione di ZTL e debutta al Palladium:
tanta gente in platea, un pubblico coetaneo degli autori e
dell'interprete.
Che cosa è Lev? Già segnalato al
Premio "Dante Cappelletti", il lavoro è la terza tappa del percorso di
crescita di Muta Imago, formazione nata nel 2004 dall'incontro della
regista Claudia Sorace, classe 1970 e diploma alla "Paolo Grassi", con il "dramaturg" Riccardo Fazi e con lo scenografo Massimo Troncanetti cui si è aggiunto l'attore e performer Glen Blackhall.
È
un gruppo che si muove bene nei territori inquieti della ricerca,
nell'invenzione dello spazio, con drammaturgie che hanno toccato
ipotesi innovative, originali, con aperture alle visionarietà di arti
performative che guardano più alle istallazioni della contemporaneità
che non al consolidato mondo del repertorio classico. E Lev è
uno spettacolo raffinato, che conferma la qualità del gruppo: con tre
soli pannelli di plexiglas, uno spazio nudo pieno di farina, tre
lampade, si disegnano immagini e prospettive, storie e fantasie.
Blackhall è Lev, uomo colpito da una pallottola, che ha perso la
memoria: stimolato da una voce misteriosa, cerca di ricordare, cerca di
capire.
La solitudine dell'uomo si rifrange in immagini
bellissime, commoventi, stupefacenti: frammenti di un passato, ricordi
della gloriosa conquista sovietica dello spazio, suggestioni
d'infanzia, amori perduti. Tutto scorre nella vertigine di Lev, che fu
realmente un paziente di Alexander Lurjia: e per Muta Imago è un
creatore di immagini, un essere sospeso e sorpreso dalla bellezza di
tracce, ombre, curve, linee, ipotesi, nuvole. Il gioco visivo dello
spettacolo è eccellente, una costante accelerazione di suggestioni e
prospettive, e trascina un piano narrativo che invece risente di
qualche appesantimento.
di Andrea Porcheddu
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No te conoce el toro ni la higuera,
ni caballos ni hormias de tu casa.
No te conoce el niño ni la tarde
porque te has muerto para siempre.
No te conoce el lomo de la piedra,
ni el raso negro donde te destrozas.
No te conoce tu recuerdo mudo
porque te has muerto para siempre.
El Otoño vendrá con caracolas,
uva de niebla y montes agrupados,
pero nadie querrá mirar tus ojos
porque te has muerto para siempre.
Porque te has muerto para siempre,
como todos los muertos de la Tierra,
como todos los muertos que se olvidan
en un montón de perros apagados.
No te conoce nadie. No. Pero yo te canto.
Yo canto para luego tu perfil y tu gracia.
La madurez insigne de tu conocimiento.
Tu apetencia de muerte y el gusto de
su boca.
La tristeza que tuvo tu valiente alegría.
Tardará mucho tiempo en nacer,
si es que nace,
un andaluz tan claro, tan rico de aventura.
Yo canto su elegancia con palabras que
gimen
y recuerdo una brisa triste por los
olivos.
Di
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Es un silencio ondulado,
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donde resbalan valles y ecos
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hacia el suelo.
Federico García Lorca