C’è una cosa di bello che hanno gli ingegneri, questa va detta a onore della categoria: possiedono il talento dell’organizzazione. Così ogni cinque anni un ingegnere del cuore che si chiama Bruno lancia un appello al quale è impossibile rispondere di no. Dalle parti più impensate, ormai sparsi nel mondo, chi può fa di tutto per esserci ancora una volta a raccontarsi la vita: il corso di ingegneria civile del 1979. Questa volta siamo arrivati a 30 anni dalla data del primo giorno di università, cominciano ad essere una bella cifra, ma siamo ancora in tanti a partecipare con entusiasmo a questa iniziativa che periodicamente ci riavvicina. Una serata che vale la pena di raccontare per me, ed ecco perché provo a tradurre in parole qualcosa di molto personale, è un tentativo goffo, ma vorrei riuscirci per il senso di calore che mi ha accompagnato. Per qualcosa di bello che vorrei offrire, come si offre una pietanza gustosa. A causa di vicissitudini varie, non ultime il desiderio di frequentare anche la lezione di Kendo perfino in una ricorrenza simile, sono arrivato sabato sera a Bologna, luogo canonico del raduno, con un piccolo ritardo. Così entro titubante nel ristorante per vedere i sorrisi indimenticati salutarmi con la consueta salva di pacche sulle spalle. Mentre attacco il cappotto ecco la cosa più bella: c’è una sedia vuota tenuta apposta per me, è un gesto piccolo, molto semplice, ma a distanza di così tanti anni è una sensazione tiepidissima sapere che qualcuno ti aspetta e lascia un posto vicino perché anche tu stia vicino a lui, perché fai parte delle cose piacevoli della sua vita. Quella sedia per me è stato davvero il regalo inatteso più incredibile che potessi mai ricevere. Iniziata così è già una serata magica, aspetta solo di essere perfezionata con i racconti del presente, le cose costruite che piacciono tanto agli ingegneri, ma dopo l’antipasto professionale iniziano anche i ricordi condivisi, i tempi della frequenza in una facoltà dallo stile monastico, quasi claustrale, sconvolta dall’intemperanza giovanile di qualche scapestrato che organizzava barbecue nel parco attorno alle aule, vestito di camicia hawaiana e armato di chitarra invece che di regolo calcolatore. Attorno al tavolo sono così iniziate a girare foto come questa che hanno permesso il perpetuarsi di quell’esperienza relativistica quando il tempo torna indietro sui suoi passi e si ferma ad un giorno trascorso da lustri. La visione che rimane dopo questo cena, consumata fin troppo in fretta, è il disegno di una amicizia molto solida che sfida impavida anche gli anni che imbiancano i capelli, ed è quel tipo di amicizia che vale la pena coltivare, nei giardini della vita. Il commento sonoro che pare avulso dalla narrazione è semplicemente la canzone che stavamo cantando nella foto.
Inviato da: bisou_fatal
il 17/10/2024 alle 19:32
Inviato da: Zero.elevato.a.Zero
il 03/10/2024 alle 10:31
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il 03/10/2024 alle 10:31
Inviato da: cassetta2
il 22/09/2024 alle 21:03
Inviato da: surfinia60
il 22/09/2024 alle 17:12