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Eurythmics, "17 Again"

Post n°6 pubblicato il 06 Agosto 2007 da fattodiniente

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Poco più di vent’anni fa, Joe Jackson dichiarò che il rock era morto. Non fu il primo a dirlo, né l’ultimo, ma era ed è rimasto il più convinto nell’affermazione. Se ci mettiamo d’accordo sul suo significato, dirò che la condivido. Che ci sia gente, e parecchia, vecchia e nuova, che continua a far dischi, è un fatto; ma è altrettanto un fatto che di discorsi nuovi, di forme diverse di rock, non ce ne sono da una quindicina d’anni o giù di lì. Quel che si sente è in sostanza sempre un rifacimento, una reinterpretazione, quando non un omaggio esplicito, a qualcos’altro che qualcun altro ha fatto prima, e generalmente meglio. La cosa non mi dà noia, perché io passo il tempo ad ascoltare cose che quando va bene hanno minimo vent’anni. Del resto, tra il 1960 ed il 1990 è stata prodotta una tal quantità di dischi, di tutti i generi (che da parte loro son stati del resto quasi tutti codificati in quel lungo periodo), che ad ascoltarli tutti per bene non basta una vita intera, per cui c’è sempre qualcosa da scoprire, e ancor più da riscoprire.
Questa è poi solo una delle due ragioni per cui, parlando di musica, finisco quasi sempre per parlare del passato – del mio passato –, della mia giovinezza. L’altra, ovviamente, è che avendo ormai una certa età, viene naturale guardarsi indietro, e ripensare a ciò che è stato o non è stato, e come e perché.
17 Again degli Eurythmics parla proprio di questo stato d’animo, di questa seconda ragione, mentre conferma la prima: niente che non sia già stato sentito (oddio, ha già otto anni… una cosa molto recente comunque, per i miei standard), anche se è un gran bel risentire; una melodia ariosa, nostalgica e suggestiva, un gran arrangiamento, e un cantato maturo, pacato ma sentito. E la chicca della citazione finale del loro primo grande successo, Sweet Dreams, ma sul tempo molto rallentato del resto della canzone, a segnare la consapevolezza del tempo passato, delle cose che son cambiate nel frattempo, con lo sguardo malinconico sulle rabbie e i desideri di un tempo. Ciò che eravamo, ciò che siamo diventati, ciò che non siamo più… Tutto l’album del resto è su questo tono, ed è un gran bell’album, belle canzoni, arrangiamenti suggestivi: niente da dire.
Il testo è piuttosto semplice, parla di me come parla di chiunque altro, perché tutto sommato prima o poi a tutti capita di dire ‘mi sento come avessi diciassette anni di nuovo’. Nel mio caso, forse, non ho mai smesso di sentirmi così, sotto molti aspetti quantomeno, e chissà se è una cosa bella o che.
Ma gli anni passano. E me ne rendo conto davvero quando ascolto questa canzone…

 
 
 
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