Questa canzone è un mantra indiano; una canzone religiosa quindi. Ma in una interpretazione rispetto all’originale molto sui generis, con quel misto di piglio rock, humor britannico e libertà creativa che ci si deve aspettare da uno che ha fatto parte del Pianeta Gong, suonando la sperm guitar (!) tra teiere volanti, pixies dalla testa a forma di vaso, mantra dedicati ai lavabo per signora, e tutto il resto.
Il che non vuol dire che questa di Hillage sia una interpretazione dissacrante, tutt’altro: solo che trasforma un canto di sottomissione (‘om nama shivaya’ significa pressappoco ‘mi prostro ai piedi del signore Shiva’) in un canto di libera felicità. Ed è per questo che ho detto che si tratta di una canzone religiosa e non del canto di una religione. Non è la stessa cosa. Tra la religiosità e la religione organizzata passa la stessa differenza che corre tra uno sportivo e un tifoso: il primo apprezza la bellezza dello spettacolo, l’altro si identifica in una parte ritenendola superiore alle altre, cercando di convincere gli altri di questa superiorità e magari cercando di imporla se gli riesce.
Che si possa essere le due cose, non è escluso: io, ad esempio, sono tifoso e sportivo, ma sono anche abbastanza onesto dal riconoscere che identificarsi in una parte falsa la prospettiva, e porta a vedere le cose in una luce piuttosto particolare e assai poco universale. Posso essere d’accordo sul fatto che assistere ad una partita senza tifare sia una cosa con poco sugo, ma c’è poco da fare: tifare vuol dire cercare di far andare le cose secondo i propri desideri; lo sport del resto è nato per divertire gli dèi, i quali da parte loro favorivano i propri beniamini arrivando a danneggiare gli altri con modi e metodi che Moggi nemmeno se li sogna. È così che son diventato non credente, che è una cosa molto diversa dall’esser ateo.
Che poi è la stessa ragione per cui diffido dei credenti, tutti, di ogni credo religione, quelle laiche comprese, né più né meno di quanto diffido di uno juventino. Perché so che prima o poi il modo di vita di un credente tenderà a farsi, da regola di vita individuale, regola universale. Ora, se uno vuole inchinarsi tutti i giorni verso la Mecca, o recarsi tutte le feste comandate in Chiesa, personalmente non ho niente in contrario. La libertà – nello specifico religiosa – consiste anche di questo. Però l’esperienza insegna che presi in gruppo, nella loro totalità, i fedeli sono una cosa un po’ diversa, e come avviene nelle curve degli stadi, essi tendono a voler imporre la loro legge anche al di fuori degli spazi deputati, e farla diventare legge tout court, in nome di superiori ideali. I loro. E questo mi garba assai meno, da qualunque parte provenga. In Italia, ad esempio, i cattolici non ci fanno mancare nulla; con gli islamici ci stiamo attrezzando, accoglienti come siamo…
I fedeli poi, come i tifosi, oltre che potenzialmente aggressivi (e una minoranza di decisamente aggressivi c’è sempre), sono anche tendenzialmente noiosi, e spesso banali. Lo stesso discorso vale anche per la musica religiosa; il Divino cantato dalla Mahavishnu Orchestra è molto più interessante de Signore sei tu il mio pastore… Ok, esagero… dopotutto il gospel è una gioia all’ascolto, anche se ho la quasi certezza che esso canti ben di più che delle lodi al Signore. Ma allora la questione va rovesciata: quando una canzone riesce a cantare il sentimento del Divino va sempre oltre a qualunque intendimento laudatorio iniziale. E diventa buona musica. Che è esattamente quel che si può dire di qualunque opera artistica, di qualunque discorso e infine di qualunque atteggiamento.
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il 09/04/2016 alle 19:49
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il 26/06/2013 alle 08:37
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il 14/06/2011 alle 18:22
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il 13/06/2011 alle 14:48
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il 17/01/2011 alle 15:35