Creato da fattodiniente il 01/06/2007

Gloriosa spazzatura

31 canzoni più qualcuna

 

 

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Queen, 'Somebody to Love'

Post n°29 pubblicato il 20 Gennaio 2008 da fattodiniente

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L’idea di parlar di canzoni per parlar anche d’altro non è una idea mia; non è neanche questa idea poi così originale, se vogliamo, ma in ogni caso non è mia. Nella fattispecie, l’ho presa da una bella (e abbastanza famosa) raccolta di articoli di Nick Hornby, 31 canzoni: se l’ha fatto lui, mi son detto, perché non farlo anche io? “Beh… perché lui è per l’appunto Nick Hornby, e io non sono un cazzo” poteva essere una buona risposta, ma al momento non m’è venuta in mente. Scarseggio di buone idee ultimamente, pare… Ad ogni buon conto il debito pensavo d’averlo pagato col sottotitolo, cui ho prudentemente aggiunto un “più qualcuna” nella stravagante ipotesi che fossi mai riuscito a raggiungere quella soglia. Essendo arrivato contro ogni aspettativa alla ventisettesima canzone, ho il dubbio che i debiti che questo blog ha, debbano essere onorati.
E allora devo anche dire che nemmeno Gloriosa spazzatura è una definizione mia, e anche questo pensavo (beata ingenuità) fosse noto ai più (i meno evidentemente non contano mai un cazzo), ma pure in questo credo d’esser stato smentito. I meno sono i più, e a questo punto non se spiacermi per i più, o per i meno, o se considerare sia i più che i meno più o meno dei boccaloni. Per farla breve, “gloriosa spazzatura” è la definizione che Gino Castaldo diede – or sono parecchi anni – della musica dei Queen. Splendida e calzante definizione. Non che io abbia niente contro i Queen: tra l’altro possiedo la loro discografia quasi per intero (in edizione speciale ecc ecc). Oddio, questo magari non è un fatto dirimente, vista la quantità discutibile di discutibili dischi che riempiono i miei scaffali. Ci sono molte cose dei Queen che mi piacciono… molte: diverse, ecco. Qualcuna, ad esser precisi.
Beh, tanto il punto comunque non è questo. Non è un blog sui Queen, e s’era capito, né ispirato in alcun modo a qualcosa dei Queen. Mi affascina la cosa della spazzatura, e trovo semplicemente che la definizione sia appropriata per la musica pop nel suo insieme. Dopotutto, abbiamo scoperto che la spazzatura è un bene, produce ricchezza ed è ricchezza in sé. E per il resto, il pop è indiscutibilmente una musica gloriosa: nella sua accezione peggiore arriva ad essere pomposa; in quella migliore, è gloriosa in un modo che Somebody to Love (toh, dei Queen, guarda un po’…) illustra benissimo.
Ora, la caratteristica della spazzatura è di essere composita, e per quanto possiamo ingegnarci a differenziarla, una scatoletta di tonno, una lametta e del fil di ferro arrugginito stanno insieme esattamente come gli animali dell’enciclopedia cinese di Borges, che fece tanto ridere e tanto fu utile a Michel Foucault, che da essa prese spunto per Le parole e le cose (giusto per far capire che l’ascoltatore del pop non è necessariamente un imbecille incolto). La musica pop è esattamente questo: cascàmi. Prendi un genere, uno stile, un periodo musicale; spoglialo del suo riferimento e del suo significato, del suo valore cioè, raccogli gli scarti che ne restano, mettili insieme con altri, ed ecco fatta una canzonetta pop. Di spazzatura trattasi, neanche tanto riciclata – semilavorata diciamo, ma ricca di storia e che brilla di gloria, un po’ propria e un po’ riflessa.
Poi, è solo questione di dichiarazioni, esattamente come i barattoli e i quotidiani di Warhol stanno agli scaffali di supermercato e alle croste da mercatino delle pulci. Frank Zappa, ad esempio, dichiara esplicitamente le sue fonti, le magnifica per dir così, e dimostra che si può far arte anche con la monnezza, come del resto i décollages di Mimmo Rotella, il Marzbau di Schwitters o i rottami di John Chamberlain dimostrano in modo inequivocabile.
Certo, non tutto il pattume è arte: a nessuno verrebbe in mente di considerare le strade di Napoli un’opera d’arte, tanto per dire. Per cui nemmeno tutto il pop lo è: lo diventa nel momento in cui si guarda ai detriti riutilizzati con occhi e prospettive diverse. Il resto è colore locale, folklore industriale, cui gli antropologi del futuro guarderano per capire meglio un’epoca, esattamente come gli archeologi considerano un tesoro un buco di cesso dell’Antica Roma, e guardando gli stronzi fossili capiscono un milione di cose sull’alimentazione, sull’origine dei cibi, i loro spostamenti e le dinamiche degli scambi economici e commerciali, e chissà che altro, di duemila anni fa.
Ma questo è un aspetto della faccenda che non mi interessa: già mi frega poco cosa pensa di me il mio vicino di casa, quando guarda la mia collezione di cd (‘soldi ben buttati via’), figuriamoci se m’interessa quello dei suoi pronipoti. Preferisco i poster ai posteri.
Ah, in ogni caso Somebody to Love è un coro gospel.

 
 
 
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