PREMIO
Questo blog si fregia del premio
assegnatogli da me medesimo con la seguente motivazione:
"Per il divertimento che ho provato nello scriverlo, e per esser riuscito nell'intento iniziale, parlar di musica per parlar anche d'altro. Con un riconoscimento speciale a Nick Hornby e al suo libro 31 canzoni, di cui il presente blog costituisce una mimesi dello stile di scrittura."
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C.S.N.&Y., "Chicago"
Post n°44 pubblicato il 05 Novembre 2008 da fattodiniente
Ok, mi sono commosso, lo ammetto. Alle 6 di mattina, dopo una notte di attesa, vedere quella famiglia di neri sul palco di fronte ad una folla in tripudio (e ad una miliardata di persone davanti alla tv), mi ha commosso. Certe volte, le cose anche le cose più annunciate riescono a sorprenderti, pure se hai passato la sera (cioè, la notte) a ripeterti come un mantra “va bene, è una competizione politica: contano le idee, e conta la realtà…” E invece no. Certe immagini hanno una forza dirompente che non c’è discorso che la spieghi, né tantomeno che sappia scaturirla. E non avrei mai pensato di vederle, questo è un fatto: me l’avessero detto anche solo sei mesi fa, non ci avrei creduto. Semplice. Non avrei mai creduto di vedere una folla di gente del terzo mondo sfilare danzando e manifestando una gioia bellissima e naif dietro ad una bandiera americana; a raccontarlo non ci si crede, e magari staremo a cercarne tutti i perché e i distinguo. E poi, Chicago, il Grant Park: Martin Luther King, e la Convention Democratica del ’68 – il sindaco Daley e tutto il resto. Tout se tien, peut être, compresa la simbologia delle date – 45 e poi 40 anni fa. E fu all’incirca in quell’epoca che presi coscienza per la prima volta della questione razziale; non avevo neanche dieci anni, ma l’assassinio del reverendo King toccò eccome anche noi bambini, che andavamo al doposcuola delle suore. E subito l’ondata della canzoni e dei dischi che hanno raccontato in questi quattro decenni il problema: Think di Aretha Franklin (scritta subito dopo l’omicidio), Graceland di Paul Simon, il Martin Luther King’s Dream degli Strawbs, e poi Bruce Springsteen, Pride degli U2, e Ohio di Neil Young, e Chicago, appunto, di Graham Nash; e innumerevoli altre cose. Musica che raccontava un mondo migliore possibile; ma chissà quando, e chissà dove. E invece… Invece la cosa più improbabile, il plot da commedia amara e grottesca, magari dall’happy ending beffardo, che diventa realtà: eccola lì, non ci credi? Guardala in tv! E dopo averla vista in tv, alle sei e mezza di mattina, Chicago ha iniziato a girare sul piatto, per dire che sì, poteva, e ha potuto. Da non crederci. Io non so se sarà un presidente all’altezza delle aspettative, o semplicemente all’altezza della situazione: non m’interessa e non me ne curo, e dopotutto da questo punto di vista abbiamo visto tante di quelle cose incredibili nell’altro senso, che peggio non potrà mai essere, neanche lontanamente. Ma il fatto è che, semplicemente, il punto non è questo. Il punto è che è successo, è successo davvero. E quarant’anni di incertezze, o di amare certezze al contrario, di disincanto, di senso della realtà, assumono un altro senso, ed è un senso persino inquietante, di vago rimprovero per non averci creduto davvero – a questa e a chissà quante altre cose. Strano anno, questo 2008, in cui succedono cose che speri giorno per giorno con la quasi certezza che non accadranno mai: i Celtics che rivincono l’anello dopo oltre vent’anni, l’Inter che vince tre scudetti di fila, Tremonti che dice che il futuro sta nel ritorno del mercato all’etica (eh sì, Herr Heidegger, il sole forse è tramontato sulle certezze metafisiche dell’Occidente, la Terra della Sera, e forse è l’ora di una nuova alba), il ritorno del maestro unico… e ora, questo, la cosa più incredibile. Oggi è un giorno speciale, un giorno di festa; un giorno memorabile. E il difficile sarà spiegarlo, magari un giorno, a mio figlio di otto anni virgola cinque (come scrive lui), l’età che avevo io quando uccisero Martin Luther King, e sentii la notizia correre di bocca in bocca all’uscita da scuola. Non è un giorno di rivincita (verso chi o cosa? Ed è stato bello davvero sentire i discorsi dei due contententi, ed erano molto meno retorici di quanto si possa ritenere: se non altro, dimostrano la capacità mostrata dall’America di scegliersi – se vuole, quando lo vuole – leader mediamente molto migliori di chi li vota). Oggi è un giorno speciale perché, al di là di tutto il simbolismo, qualcuno ha dimostrato che sì, si può. Anche la cosa più bella e apparentemente stravagante. Un giorno a partire da cui, semplicemente, tutti gli uomini sono un po’ più uguali.
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