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Domenico Molinini - Tempo vivente

Concerto per Flauto e Pianoforte
Flautista Michele Bozzi
Pianista Gianni Saponara
29 Giugno 1980 - Corato

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Ildebrando Pizzetti, Concerto dell'Estate

 

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e pensieri...

Post n°51 pubblicato il 19 Luglio 2011 da domenicomolinini

Anni fa, seguendo un telegiornale sono rimasto di sasso.
La giornalista ***, che tra l'altro ritengo una valida professionista, annuncia una notizia che riguarda una ragazzina, quattordicenne o giù di lì, che ha coronato il suo sogno di dirigere un'orchestra.
Segue un servizio di durata impressionante in assoluto e, ancor più, in relazione alla concreta sostanza del fatto.
La ragazza è ripresa mentre taglia l'aria davanti ad un'orchestra (sparuta numericamente) che appare evidente che stia suonando per conto proprio. la musica oggetto di questa congiuntura è la arcinota Serenata Eine Kleine Nachtmusik
di Wolfgang Amadeus Mozart.
Non c'è nulla nel gesto meccanico e monotono della ragazza che faccia pensare, capire, perlomeno
presagire, una sua qualche partecipazione interiore, una  sua qualsiasi forma di comunione con la musica che l'orchestra sta eseguendo.
La fanciulla gesticola con compunzione, ma ciò che va facendo appare scollegato da ciò che i professori dell’orchestra stanno realmente facendo (il direttore d'orchestra ha contemporaneamente diversi compiti quando "dirige" realmente un'esecuzione).

Il servizio continua con tanto di intervista alla fanciulla e alla di lei madre.

E così ci è dato di apprendere che la ragazza studia pianoforte al Conservatorio di ***, dove frequenta il V anno di corso, quindi, è il caso di precisare, non è particolarmente avanti con gli studi pianistici ed è lontanissima da ciò che consente, innanzitutto tecnicamente e poi interiormente ed esteticamente di dirigere un'orchestra.
La signora precisa che la figliola ha sempre desiderato di farlo e che il padre ha fatto sì che questo sogno si realizzasse.
E ancora riprese del termine dell'esecuzione, con applausi, inchini, stretta di mano al Primo Violino...
ma - mi sono chiesto - è il telenotiziario di un'emittente locale (ma proprio di quelle che più autarchiche ed improvvisate non si può) che sto seguendo?
E cosa c'entra il padre nella realizzazione di questo sogno: qui non si tratta di studi compiuti e di chiamate per acclamazione, qui si confonde una mera gestualità (quello che quasi tutti fanno quando vogliono imitare maldestramente un direttore d'orchestra) con ciò che, se proprio vogliamo dirla tutta, è l'elemento "linguistico" attraverso il quale si realizza la comunicazione tra direttore e orchestra. Elemento che rimanda a tutto il complesso lavoro preparatorio che consiste nella concertazione: lavoro certosino di costruzione,
intarsio e cesello tramite il quale il direttore indica, e descrive ai professori d'orchestra la sua idea dell'opera, guidandoli nella lettura (compresi anche aspetti tecnico-strumentali) per giungere infine alla realizzazione ed interpretazione.

Due giorni dopo, lo stesso telegiornale informò presumibilmente gli stessi milioni di telespettatori della rappresentazione della Butterfly in Giappone, proprio nella città di Nagasaky, dove Puccini volle ambientarla.

Potere dei soldi e dell'ignoranza musicale che alligna nel cosiddetto Paese del Belcanto.

 
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Ancora pensieri...

Post n°50 pubblicato il 15 Luglio 2011 da domenicomolinini

Le cicale continuano a cantare.
In verità ci sarebbe poco da cantare con il Paese che appare sempre più come un barcone malandato che va alla deriva e sta lentamente affondando.
Ma si vede che è destino e così dovrà essere.
Gli italiani (termine che di giorno in giorno mi sembra sempre più vuoto di significati), in special modo quelli più tartassati, continuano a credere che gli asini volino, epperciò stanno col naso all'insù e plaudono (non tutti, ma ancora una gran parte) proprio chi li sta turlupinando ben benino.
Ciò che mi rattrista è che quando ci sarà il disastro neppure le formiche si salveranno, poiché tutti, cicale ebbre di stolido ottimismo e formiche piene di inutile saggezza, saremo travolti dalla cieca furia degli accadimenti.
Spero di essere stato tanto tanto pessimista.
E adesso me ne torno ad orchestrare. Questa volta tocca alla Salve Regina, sempre di Nino Rota.

p.s. Le formiche talvolta provano ad essere cicale, ma proprio non ce la fanno.

 
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Pensieri...

Post n°49 pubblicato il 11 Luglio 2011 da domenicomolinini

Sono le 20. 36 dell'undici luglio.
Il canto delle cicale è assordante. Cleo è sdraiata nel balcone pronta ad attentare alla salute fisica di qualche zanzara impudente che si avvicini troppo al suo musetto.
Una lunga sedutra d'esami si è protratta costringendomi a "pranzare" alle 15,30 con contorno di un fastidioso mal di testa.
Adesso sono al computer. Ho letto la posta, poca. Sono quasi tutti in ferie (meritate o meno).
Domattina mi dedicherò all'orchestrazione di un motetto di Nino Rota (la Messa l'ho finita). E trascorrerà così un'altra giornata e molte altre ancora così saranno.
E le cicale continuano a cantare...

 

 
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Pensiero...

Post n°48 pubblicato il 07 Luglio 2011 da domenicomolinini

Occorre una rivoluzione: che sia pacifica ed altrettanto severa.
L'onestà non deve continuare ad essere una condizione che arreca più che altro disagio a chi la professi; e tutt'altro che premiante.
C'è bisogno e penuria di esempi di civiltà, di educazione... di stile.
Altro che i cialtroni al cui teatrino farsesco assistiamo ogni punto e minuto...

 
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IDEM...

Post n°47 pubblicato il 28 Giugno 2011 da domenicomolinini

Per la felicità di chi ha scritto che un post, seppure breve, brevissimo, ed apparentemente (apparentemente?) insulso, possa risultare interessante e coinvolgente eccone un altro.

 
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SINE NOMINE

Post n°46 pubblicato il 23 Giugno 2011 da domenicomolinini
 

Ho deciso di chiamare questo post Sine nomine, poiché scriverò (se scriverò) mano mano che mi verranno delle idee da fissare sulla carta.
Per adesso non ho altro da aggiungere.

 
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LA DEMAGOGIA

Post n°45 pubblicato il 19 Maggio 2011 da domenicomolinini
 

Questa mattina, spulciando tra vecchi documenti salvati nel secondo disco rigido del mio processore, nel tentativo (è follia, ma ogni tanto mi prende)) di mettere un po' di ordine, ho ritrovato un (interessante?) epistolario.
Tra le tante cose scritte ho trovato una lettera che inviai qualche anno fa agli studenti del mio conservatorio il cui contenuto ritengo sempre attuale.
Il titolo che ho dato a questo post non è casuale: l'ho scelto perché più volte il termine "demagogia" compare nel mio scritto di allora, sollecitato dall'uso che parecchi studenti del conservatorio ne fecero in quel momento, pronunciandosi in merito a problematiche che ancora oggi sono all'ordine del giorno nel mondo accademico.
Ecco la lettera:

Cari lettori,
elimino malvolentieri il "cari ragazzi", poiché potrebbe sembrare "demagogico".
Personalmente quando mi rivolgo ai miei coetanei, ultracinquantenni ed oltre, dico: ragazzi ascoltate questo, oppure, facciamo quello, e così via.
Quindi, il termine ragazzi non è un modo paternalistico di rivolgersi a chi ha un'età anagrafica, e sottolineo anagrafica, inferiore, ma, almeno per quel che intendo (e con me un sacco di gente normale), un verso colloquiale che, in questo caso, vuole mettere a proprio agio chi legge, da parte di chi scrive.
Come avrete modo di verificare, con il passare degli anni, non muterete il modo di rivolgervi agli altri, quando questo vorrà essere amicale, o informale, e scoprirete di utilizzare il termine ragazzi.
Ho sottolineato età anagrafica, poiché ci sono spesso, troppo spesso, persone che, pur essendo giovani, con il loro modo di fare e di esprimersi, rivelano fin da subito l'intolleranza che li caratterizzerà più o meno pesantemente nel futuro.
Non mi soffermo sui toni. Anch'io sono piuttosto colorito nelle espressioni. La fortuna è riuscire a capire quando si sta rischiando di eccedere, cadendo nel puro manierismo , perdendo di vista il fine della comunicazione e trasformando il discorso in uno sfoggio grossolano.
Non so se debba sentirmi chiamato in causa ed accusato, quindi di demagogia. Personalmente ho maturato una particolare antipatia verso quella pratica, lontanissima dalla mia ideologia. Non sono solito, infatti, mettere in atto lusinghe, che solletichino l'amor proprio dei miei interlocutori, allo scopo di ottenerne il consenso, né sono solito promettere ciò che non posso mantenere.
Non vado in cerca di voti (le ultime vicende che mi riguardano ne sono la dimostrazione più veritiera) per raggiungere incarichi politici, attraverso i quali, magari, deformare per obesità il mio portafoglio.
Quello dell'assessore è un abito che non mi si addice minimamente, vista la mia sindrome pragmatica.
Vorrei aggiungere che dire cose giuste, belle e, per giunta razionali, è contraddittorio con la pratica demagogica. A meno che non vogliamo considerare demagoghi: Gesù, Maometto, Gandhi e tutti quegli uomini e donne che hanno fatto della loro esistenza terrena (se vogliamo ammettere anche un'idea dell'ulteriore, metafisico e trascendentale) un luogo per dire e fare cose giuste, belle e razionali, a costo proprio della loro vita "terrena".
Nessuna sicumera, da parte mia, sul linguaggio politichese da adottare all'uopo. Nessuna discesa dal Castel del Monte con il decalogo fresco fresco, contenente le regole del buon studente, professore, ausiliario.
Il bravo Cofferati lasciamolo dov'è. Quando si ha la mia età, se si impiega parte del proprio tempo a cercare di coniugare la materia con lo spirito, pensando, si matura l'idea di non voler essere paragonati a nessun coetaneo, per quanto attiene alla capacità di affermare e difendere con dignità, ed in piena autonomia, le proprie idee ed i propri princìpi.
Piuttosto, mi meraviglia, l'ideologia che si paventa, quasi una condizione di antitesi tra Professori e Studenti, alla stregua di Classi, Stati Antagonisti, ripresi in un luogo ed in un momento storico, per fortuna lontani, seppur rimasti vivi ed indelebili nella nostra memoria, ad indicarci la sostanza di quella parola, fin troppo usata ed abusata che è proprio: Democrazia.
No. La Democrazia è o non è.
Non esiste una declinazione soggettiva della Democrazia, che possa permetterne l'insegnamento ad uso e consumo dei personalistici comodi di chicchessia.
La Democrazia non la si insegna se non la si pratica.
Ed uno dei modi di praticarla è quello, difficilissimo, di imparare a rispettare gli altri.
Senza travestimenti, o maschere, sotto cui celare l'intolleranza in tutte le sue molteplici facce. Aspetti che portano verso la dittatura, bianca, gialla, nera, o rossa che sia.
Firmo sempre i miei scritti, per essere identificabile a chiunque voglia dialogare con me anche in altre sedi.
Lo facevo anche nel '68 (e ho pagato un conto salato, proprio perché 37 anni fa le cose andavano diversamente).
Dopo quel momento mi sono ripromesso che, se fossi diventato professore, mi sarei comportato con i miei studenti come mi sarebbe piaciuto che i miei professori si fossero comportati con me.
E' stata una delle tensioni che mi hanno animato. Un principio al quale mi sono sempre sforzato di attenermi.
Ottenere il rispetto degli studenti, rispettandoli e comprendendoli.
Il che non significa venire meno (perdonami Antonio) ai doveri deontologici, etici e morali di chi insegna, che devono essere diretti anche verso il Sapere e la Materia che s'insegna.
Mi dispiace, che un giovane, del quale non mi è dato di conoscere l'identità (visto che firma con uno pseudonimo orografico), dica cose che possono sembrare pesanti, con un tono che sembra ignorare quanto è avvenuto, proprio 37 anni fa, con il Sessantotto.
Allora cercavamo il dialogo con i Professori, la maggior parte dei quali (chissà per quali problemi psicologici ed ambientali) sembravano avere dimenticato di essere stati a loro volta studenti.
Oggi, ironia della sorte, con i mezzi di comunicazione multimediale, che dovrebbero abbattere differenze e distanze, ci sono Professori che cercano il dialogo, e Studenti che, per uno strano gioco del contrappasso, glielo negano.
Domenico Molinini

 
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Datemi il La

Post n°44 pubblicato il 28 Aprile 2011 da domenicomolinini
 

Datemi il La è il sottotitolo che Raffaella Leone, responsabile della casa editrice Secop e della Libreria Secopstore, ha voluto aggiungere al titolo, Dialoghi Musicali, che ho scelto, con grande  sfoggio di fantasia , per la mia conferenza-dibattito che avverrà sabato 30 aprile, alle ore 20.00, presso la suddetta libreria, alla via Monte Vodice, 6, in Corato.

L'annuncio recita:
"Domenico Molinini, coratino di nascita, barese di adozione, compositore, direttore d’orchestra e di coro, direttore artistico, saggista, didatta, dedito a studi musicologici, umanistici, storici e filosofici, insignito del prestigioso Premio Abbiati nel 2000, dialogherà con i presenti sulla musica e dintorni senza partire da un tema prefisso, ma secondo i suggerimenti e le provocazioni del pubblico stesso."

Spero di divertirmi!

La maggior parte di voi risiede in città lontane dalla mia, ma vi invito ugualmente. Non so se riuscirò a fare un resoconto della serata, ma sicuramente, e in ogni caso, qualcun altro ne scriverà. Naturalmente sul suo blog...

 

 
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Riflessione...

Post n°43 pubblicato il 15 Aprile 2011 da domenicomolinini

Guardo la pagina del mio blog.
Ho scritto l'ultimo post un mese fa, e lo stesso è accaduto per il penultimo.

Mi sento quasi in colpa: vado poco a leggere quello che scrivono gli altri amici di questo sistema, alcuni dei quali (devo dirlo, sennò faccio torto alla mia franchezza) non vengono punto a leggere i miei scritti: segno che sono molto presi da altro, ovvero che avendone letti alcuni, dei miei post, sono giunti a determinazione che quello che scrivo non sia interessante.

Guardo la pagina, so e mi dico che avrei tanto da scrivere, raccontare, denunciare, ma poi mi scuoto e DEVO iniziare un altro giorno di studio e di ricerca con l'angoscia di dover finire e di non riuscire a farcela...
Mia moglie mi dice che dovrei visitare tanti blog. Navigare, se non sbaglio, si dice. Navigare per invogliare gli altri a venire a leggermi.
Ho provato a navigare e, salvo lodevoli eccezioni, ho scoperto che dietro nomi di fantasia, e barocchismi vari, spesso c'è il nulla. E così ho rinunciato.
Eppure sono un navigatore.
Viaggio, spessissimo, ma con la mente. E dovunque io vada, come accade per un film che si rispetti, scrivo una colonna sonora.
Ma sono geloso dei miei viaggi; delle terre che visito; dei cieli in cui volo e dei mari che penetro.

Amo la solitudine e ancora di più la compagnia. Ma per quest'ultima solo di quelli che mi capiscono davvero, che sono pochi.
Spesso sono attorniato da tanti, ma sento di essere solo, e riconosco nella calca quelli, pochi, che stanno davvero con me.  Accade quando dirigo e riconosco i professori d'orchestra che "ci sono" e quelli che fanno finta d'esserci, come quando tengo le mie lezioni e riconosco gli studenti avvinti dal mio discorso e quelli "vinti" dal sonno.

Si dice che ognuno abbia quel che si merita. Ebbene, se così è, allora vuol dire che quello che ho è quel che merito.

 
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Compagni di classe

Post n°42 pubblicato il 15 Marzo 2011 da domenicomolinini
 

Ricordo certi compagni di classe che non ho mai visto ridere, né commuoversi, né infiammarsi, né pronunciarsi su un qualsiasi argomento.
Sono, questi, "ricordi concettuali". Così mi viene di chiamarli, poiché in verità attraverso gli occhi della memoria non riesco a visualizzare alcuna scena che li abbia visti protagonisti, né un'interrogazione, né una qualsiasi discussione. Nulla.
Talvolta un sorriso, cortese e condiscendente ed allo stesso tempo troppo riservato per la loro età, compariva brevemente sui loro volti senza tuttavia riuscire ad illuminarli.

Riconosco al telefono le voci di persone che ho incontrato poche volte o che non sento da molto tempo. Eppure non ricordo le loro voci, né ricordo alcuna impressione di ammirazione o invidia che possano avermi suscitato le risposte da loro date nel corso di un'interrogazione o un loro intervento in una qualsiasi discussione. Non ricordo le loro interrogazioni.
A me è capitato sia di prendere cattivi voti, sia di tradurre dal greco o latino sfiorando il 10.
Loro no: prendevano solo buoni voti, anche se mai alti.
E' come se fossero riusciti a convincere tutti di essere  in qualche modo "perfetti", ma senza fare veramente nulla per dimostrarlo.
Taciturni,
non li ho mai visti partecipare ad un corteo, né ad un'assemblea. Eppure si percepiva come fossero allineati e schierati.
La loro presenza serviva quotidianamente a rimarcare la loro assenza.

Mi chiedevo se almeno a casa gioissero dell'affetto dei genitori, se
sentissero bisogno di coccole, se giocassero con qualcuno,  se volessero bene a qualcuno, e se ci fosse qualcuno o qualcosa capace di farli sorridere, a lungo, e finalmente ridere.
Me lo chiedo ancora e aggiungo: sono sposati? hanno figli? hanno giocato con loro? hanno finalmente imparato a sorridere e ridere?

Hanno finalmente capito che ridere non sminuisce, non toglie alcuna dignità?

Non so adesso cosa facciano, né dove siano, né come siano.
Provo ancora oggi uno stato quasi di inquietudine e di rammarico nel cercare di ricordarli.

 
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Ricordi

Post n°41 pubblicato il 11 Febbraio 2011 da domenicomolinini
 

Ogni tanto torno con la mente a quando ero scolaro. Un periodo, quello delle Scuole Elementari, che ricordo sereno e spensierato; solo a tratti velato dalle piccole ombre e segnato dai dispiaceri tipici di quell'età.
Forse per ragioni dovute a carenza di aule, io ed i miei compagni frequentavamo le lezioni presso la casa della nostra Maestra,
una palazzina ad un unico piano, posta su via ****, una via principale del mio paese.
La palazzina aveva due ingressi laterali, due portoncini uguali che si aprivano su due stradine che sboccavano sulla strada più importante. Noi dovevamo bussare al portoncino posto a destra di chi guardasse la facciata della palazzina. Una scala ad un'unica rampa, piuttosto ripida, ci portava ad un ampio pianerottolo. Di fronte l'altra scala, identica che scendeva all'altro portoncino.
A destra una zona dell'abitazione nella quale sono entrato un'unica volta. E' stato quando la Maestra è morta
. Ma questo è accaduto tantissimi anni dopo.
A sinistra un'ampia stanza dava ancora a sinistra in una cucina, che giudicavo enorme e dalla quale ogni giorno a metà mattinata provenivano profumi appetitosi, ed a destra in un'ampia stanza nella quale si svolgeva la nostra vita scolastica.
La cucina era il regno di una signora della quale ricordo e non ricordo il viso, brizzolati i capelli prevalentemente bianchi, una sorella o una cugina della Maestra. Mi era molto simpatica. Elargiva grandi sorrisi che diventavano comprensivi  nel caso fossimo stati ripresi per qualche nostra manchevolezza, sia nel profitto, sia nella condotta, senza mai, tuttavia intervenire, con una parola o un vezzo consolatorio: la Maestra non ammetteva alcuché considerasse come interferenza con il suo concetto educativo.
La stanza nella quale facevamo lezione probabilmente aveva le stesse misure della cucina e, priva dell'enorme camino, dei vari fuochi della cosiddetta cucina economica, delle credenze e delle suppellettili, risultava davvero vasta. L'arredo consisteva in un lungo tavolo centrale ed in un tavolino rotondo al quale sedevamo in due. Quest'ultimo era posto davanti ad un'ampia finestra a tutto tondo che si affacciava su un ampio terrazzo (così come le altre due stanze, l'anticamera e la cucina).
Il tavolino circolare era praticamente il mio "banco". Avevo i vetri alla mia sinistra. Potevo toccarli.
Era un posto magnifico: guardavo il cielo, ascoltavo il canto degli uccellini e seguivo con gioia il volo delle rondini  che sfrecciavano garrendo durante la primavera e la prima estate. Quando pioveva seguivo il movimento delle gocce d'acqua che rigavano i vetri e mi perdevo in mille fantasticherie e, quando la neve copriva il terrazzo ed i vasi delle tante piante che vi fiorivano in primavera, pregustavo il ritorno a casa al tepore.
C'era una figura centrale in quella casa: il padre della Maestra. Era molto anziano ed il mio ricordo, ormai vago, è di un vecchio, alto, bianchi i capelli e la barba, con indosso un'ampio scialle ed una papalina in testa. Lo chiamavamo con affettuoso rispetto "il nonno". Ogni mattina lo trovavamo in piedi, ad attenderci sulla soglia dell'anticamera e lo salutavamo con un bacio sulla guancia. Stessa cosa facevamo andando via al termine delle lezioni.
Era la seconda metà degli anni '50. Ma il clima che si respirava in quella casa, clima col quale "il nonno" si fondeva perfettamente, era quello della seconda metà dell'Ottocento.
Alle pareti ritratti di uomini e donne, la foggia degli abiti e delle pettinature dei quali rivelava come alcuni quadri fossero stati dipinti prima dell'Unità d'Italia, altri durante il periodo post risorgimentale, altri ancora nel tardo '800 e nei primi decenni del '900.
Una pendola, quietamente, segnava il tempo e scoccava le ore.

La Maestra si chiamava Maria ********* , era nubile, ci riferivamo a lei dicendo "la Signorina *********". La severità con cui applicava il suo insegnamento non escludeva che ci volesse bene e il suo affetto traspariva da piccoli gesti e parole. Anche a lei davamo il bacio sulla guancia arrivando il mattino e adando via al finis.








Al termine delle lezioni non uscivamo mai tutti assieme, magari vociando e spintonandoci, ma uno alla volta secondo un ordine che decideva lei e che poteva far sì che tra il primo e l'ultimo ad uscire potesse esserci anche uno scarto di un quarto d'ora.
Quando m'accadeva di restare da solo in attesa del permesso di uscire, nel silenzio accompagnato dai battiti della pendola


mi mettevo ad osservare minuziosamente i ritratti alle pareti e le tante foto dai bordi ingialliti dal tempo.
Facce tutte austere quelle degli uomini, come se ognuno d'essi
, nel momento di mettersi in posa, avesse voluto mostrare d'avere sulle proprie spalle tutto il carico delle problematiche del mondo.
Più naturali i visi delle donne, alle volte un sorriso appena accennato, con riserbo. Le donne, almeno la gran parte, non hanno bisogno di recitare la parte dei "grandi" per sentirsi importanti.
Guardando quei visi mi prendeva un senso di curiosità venata da profonda tristezza.
Pensavo a quelle persone, chiedendomi quante di loro fossero  ancora vive. Avrei voluto sapere di loro, dei loro atti e dei pensieri e dei sentimenti che le avessero animate e che non riuscivo a tradurre dai loro visi, fissati sulla trama della tela o sulla carta ingiallita in un attimo intraducibile della loro esistenza.Il permesso di andare mi sorprendeva, quasi disturbandomi, assorto in quei pensieri, forse troppo grandi per la mia età. Ma una volta scesa la ripida scala ed uscito dal portoncino m'avviavo a casa e presto rientravo nel clima seppure provinciale di un paese della seconda metà degli anni '50.
Non c'era ricorrenza, compleanno, onomastico, Prima Comunione, che non fosse degnamente festeggiata.
Alle volte non sapevamo che quel giorno fosse il compleanno d'un nostro compagno, ma poi la notizia trapelava (eravamo una quindicina) e sotto la calma che dovevamo mostrare, eravamo tesi come molle. Di solito a metà mattinata sentivamo bussare e poi qualcuno che saliva. Sbirciavamo e la sagoma dei vassoi che riuscivamo a vedere, prima che fossero rapidamente poggiati in cucina, era inequivocabile. Seguiva una anticipata conclusione delle lezioni, che ci sembrava eterna e guai a chi  di noi avesse mostrato segni di giubilo o, peggio, di fretta.
Un breve discorsetto della Maestra riferito alla festeggiata o al festeggiato che sorrideva compuntamente (in quel momento  da noi considerato come un essere speciale) faceva da preludio alla festicciola.
Focacce, pizze, panzerotti e rustici vari e poi dolci o, se si trattasse di un compleanno, la torta con le candeline, facevano bella mostra di sé nei vassoi sul tavolo, opportunamente spostato contro la parete di fronte alla finestra, prima che potessimo dare sfogo al nostro appetito.
Dopo aver fatto onore alle tante leccornie, ci era consentito di giocare.
Con il tavolo addossato alla parete la stanza recuperava e mostrava tutta la sua ampiezza, per cui si prestava al nostro gioco preferito: Il Musichiere.


Prendevamo spunto dal celebre programma televisivo di quegli anni, codotto da Mario Riva. Due compagni costituivano la prima coppia di contendenti e chi dei due vincesse si misurava con un altro, fino all'ultimo.
Chi ricordi quel fortunato programma sa che si trattava di indovinare un motivo musicale del quale in prima battuta era accennata solo qualche nota.
La parte musicale era compito mio. Miracolosamente appariva lo strumento (spesso "qualcuno" faceva in modo di fare arrivare a scuola una sorta di tastiera, a metà strada tra uno xilofono ed un glockenspiel, che avevo a casa), io accennavo il frammento iniziale di un motivo, e tutti, nessuno escluso, ci divertivamo davvero... 
Tanti anni dopo, dopo la morte della maestra, seppi che quella palazzina di dignitosa architettura della seconda metà dell' 800 sarebbe stata abbattuta. Rimasi male alla notizia.
Da tanti anni, ormai, lì sorge una indefinibile costruzione che ha contribuito ad arricchire il palazzinaro che l'ha edificata, e gli eredi della Maestra e ad imbruttire, assieme a tante altre costruite in quel periodo, la "non architettura" che caratterizza tutta l'edilizia urbana del dopoguerra.
Seppi con rammarico  e troppo tardi, che nell'abbattimento erano andati persi tutti i nostri quaderni, quelli nei quali la Maestra ci aveva fatto  ricopiare in bella grafia i nostri compiti dopo averli corretti e averceli fatti imparare a memoria.







La Maestra li custudiva gelosamente  e chissà quante volte li avrà riletti rivedendo con la memoria i nostri visi.
Aver memorizzato uno di quei compiti, mi fruttò, in seguito, una cospicua borsa di studio triennale.


 

 

 
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PENSIERI PER 60 ANNI

Post n°40 pubblicato il 01 Febbraio 2011 da domenicomolinini
 

Mi piacerebbe parlare di fatti musicali e nel contempo continuare a far sì che le cose possano andare meglio, prima di arrendermi del tutto e, seppur avanti con gli anni, allontanarmi magari anche fisicamente, da tutto.
Ci sono degli individui che hanno fatto talmente disordine che non siamo più in grado di scoprire la convergenza dei nostri pensieri, delle nostre idee.
A qualcuno piace e fa comodo che, come spesso fanno i tifosi del calcio, ci attacchiamo feticisticamente ed acriticamente ad una squadra e ad un emblema, incapaci di riconoscere il buon gioco in assoluto e al di sopra di tutto.
Sono sicuro che le persone sagge, civili, desiderose di onestà intellettuale e morale, siano la stragrande maggioranza della popolazione italiana, e pugliese e, quindi, barese.
Com'é, allora, che le cose non funzionano?
Cos'è che sconvolge tutto?

Vale la pena di porsi ancora certe domande o non sarebbe meglio infischiarsene e cercare di assecondare il balletto, imparando a muovere i passi giusti?

Oggi compio 60 anni. Ho tanto desiderato di dirigere a tempo pieno le opere dei grandi sinfonisti, nella piena consapevolezza di esserne all'altezza.
Mi ritrovo, invece, quotidianamente alle prese con situazioni dove la musica è posta all'ultimo gradino.

Continuo a chiedermi come sia possibile che delle mezze figure, dei furbi matricolati, degli impostori, nemmeno bravi a nascondere la propria incompetenza (forse perché resi certi della propria intoccabilità), quelli che in una parola io definisco Re Nudi, riescano sempre a spuntarla e a continuare a governare barche che fanno acqua da tutte le parti.
Possibile che non ci sia un sistema per cui tutti facciano quello e solo quello che sono davvero capaci di fare?
Ma poi mi chiedo: chi mi assicura che io stesso non sia un Re Nudo?

 
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RIFLESSIONE

Post n°39 pubblicato il 30 Gennaio 2011 da domenicomolinini
 

Tutti i discorsi legati alla creatività, scaturigine della poiesi rimandano a due interrogativi:

 

  1. La creatività (nel mio caso l’attitudine a comporre musica) è una dote innata?
  2. Può, in caso contrario, essere acquisita?

 

A tal proposito, ricordo che, circa quarant’anni fa, sulla Nuova Rivista Musicale Italiana, ebbe luogo un acceso dibattito sulla necessità, o meno, degli studi di Composizione.
Nei Conservatori è opinione diffusa che chi studi Composizione diventi ipso facto compositore,
quasi a dire de jure.
Eppure la organicità degli studi musicali compositivi in buona sostanza, a prescindere dai contenuti, non differisce da quella degli altri Saperi
.
Nessuno si sognerebbe di affermare che chi studi Lettere diventi poeta o romanziere o letterato, chi studi Filosofia filosofo, e via dicendo.
Caso mai ci fossero dubbi in tal proposito, i fatti dimostrano che gli istituti superiori di  cultura, Conservatori e Università, non sfornano a pie' sospinto compositori, poeti, scrittori, pensatori, scienziati, eccetera.
In realtà abbiamo tanti, ed ottimi, professori di discipline musicali, letterarie, filosofiche, scientifiche, la cui opera intellettuale non produce tuttavia opere d’ingegno che possano essere intese nel senso più squisitamente “creativo” dell’invenzione intellettuale.
Di contro, ci sono letterati, compositori, pittori, scultori, architetti che tali sono, senza aver frequentato un’accademia e le cui opere hanno l’impronta della creatività.
Ciò avviene perché la padronanza degli elementi strutturali e formali di qualsiasi sapere non è appannaggio solo del laureato.
Il Sapere può essere attinto ovunque ed in qualsiasi momento, poiché i luoghi ed i tempi deputati all’acquisizione della Conoscenza sono oggettivamente molteplici, ma anche soggettivi.
La Conoscenza è tuttavia imprescindibile.
Creativo è chi abbia la capacità di usare la Conoscenza acquisita, plasmandola per dare corpo alla propria invenzione concettuale.
La creatività, quindi, è una dote innata, ma va confermata con quello che sembra un paradosso: acquisendola.
Priva di Conoscenza, la creatività è come una Forma imprigionata: un dettato che nulla può confermare e nulla può innovare, una Tesi che non conosce Antitesi, un pensiero Atonale che non si libera del labirinto Tonale.
La creatività, priva della cultura, incurante del pensiero precedente, aliena dal senso della Storia, produrrà una poetica vuota, esteriore, stentorea, ma priva di echi pregnanti.
Non è, infatti, minimamente possibile pensare che l'uomo possa esprimersi con un linguaggio "nuovo" che nasca dal nulla, lungi da un qualsiasi processo evolutivo e storicistico.
L'armonia, il contrappunto, la fuga, la sonata, e il sonetto, l'ode, la novella, il romanzo, il poema, sono elementi costitutivi, "forme" del discorso, vuoi musicale, vuoi letterario.
La mancanza di consapevolezza della loro esistenza, del loro “compito”, del loro essere mezzo per comunicare un messaggio, il disconoscimento del loro inalienabile portato “cromosomico”, isterilisce il logos e mortifica la poetica, privando l'uno e l'altra della dialettica necessaria all’evoluzione dell’uno e dell’altra.
Conosciamo le Forma non acriticamente, bensì attraverso "ciò" e "Chi" alla Forma ha dato sostanza dialettica, contribuendo con questo a ridisegnare continuamente la sua stessa "forma".
Poiché nulla si crea e nulla si distrugge, mentre tutto scorre.
Essere, non essere, divenire (creativi).

 

 
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SAN SILVESTRO

Post n°38 pubblicato il 30 Dicembre 2010 da domenicomolinini
 

E così il tempo del 2010 è proprio agli sgoccioli.

Il Tempo (i musicisti dovrebbero esserne grandi esperti) esiste solo per gli uomini. È il modo che ci siamo dati per misurare la nostra finitezza di fronte alla grandezza incommensurabile dell’Infinito.

Ed il nostro ancestrale bisogno (paura? superbia?) di rappresentare tutto a nostra immagine e somiglianza ci induce ad antropomorfizzare anche il Tempo. Vediamo quello che chiamiamo 2010 come un Vecchio, e vogliamo sbarazzarcene, poiché affidiamo la soluzione delle nostre paure, insicurezze e bisogni al 2011, cioé al nulla.

Ed anche questa volta, per celebrare il passaggio dal nulla al nulla, dovremo subire il solito rito di scempiaggini, accomunate dal denominatore della vacuità, dal principio di evitare di fermarsi un attimo a pensare. Pensare fa paura. Pure, è l'unico vero atto che parrebbe distinguerci dagli altri animali e può metterci in contatto con l'Infinito.

Prepariamoci quindi alla grande Sagra della Pagliacciata Sonora.

E’ la Musica a farla da padrona in queste occasioni. Ma... quale musica.

La sera del 31 dicembre, temo che, chi vorrà sintonizzarsi con qualsiasi emittente, assisterà allo stesso spettacolo che avverrà anche in ogni locale che si rispetti

Il brulichio di varia umanità allegra e ridanciana (poiché una è la parola d’ordine: bisogna, per forza, mostrarsi ed essere allegri, a tutti i costi) riempirà studi televisivi (in altri casi ho detto stadi) e discoteche e locali e quant’altro, bercianti d’impostura strapagata. Secondo un  copione trito e ritrito la faranno da padroni menestrelli e guitti (i primi trattati da grandi musicisti, gli altri da grandi attori)  e dove la demenzialità dilagante si accompagna ed accomuna al frizzo ed al lazzo.

Inutile sperare che il peso delle immani tragedie che l’umanità sta sopportando possa non dico fermare, ma, per una volta almeno,  ingentilire l’ottusa baldoria del Circo globale ed "obbligato", poiché sarebbe giusto e doveroso si tornasse a scegliere quando, come e dove ridere, senza che la risata e il tripudio generali continuino a ferire ed offendere i tanti, troppi, che non hanno di che ridere e gioire.

E chissà che anche questa volta non ci sia il conduttore a cui venga in mente di proporre minuti di raccoglimento o riflessioni che, all’interno della bolgia ottusa e stolida, s’incastonerebbero come brillanti in mezzo allo sterco.

Non auspico che domani sera ci si sciolga in lacrime, anzi, auguro a tutti di vivere quelle ore in serena allegria. Intima allegria, con i parenti, o gli amici, ma intima, in luoghi che non siano connotati dalla promiscuità sociale, che non è assolutamente indice di crescita sociale, ma solo di confusione e, paradossalmente di spiccata asocialità.

Brinderò con l'augurio che il mio buono possa coincidere quanto più possibile con il buono degli altri, che il mio successo sia quello degli altri, che il mio spazio non sia mai considerato invasivo di quello degli altri.

Brindate, dunque, ridete, mangiate, ballate, ma, vi prego, PENSATE. Non fatevi strumentalizzare dai cocchieri che guidano le carovane dirette al Paese dei Balocchi.

Scusatemi per questa riflessione un tantino amara di fine d'Anno. Chissà se la leggerete prima che il 2010 finisca.

 

 

 
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PENSIERO DI NATALE

Post n°37 pubblicato il 16 Dicembre 2010 da domenicomolinini
 

Sono legatissimo al Natale ed all’Avvento, il magico periodo che lo prepara. Purtroppo, anno dopo anno, man mano che il tempo è scorso, il senso di intima e fantastica letizia con cui da ragazzino vivevo quel periodo, è stato sostituito dalla amara consapevolezza di tutto quanto di sbagliato quotidianamente accade, richiamandoci alla cruda, aspra e dissacrante realtà, cui siamo ormai avvezzi. Tuttavia, in questa età del ferro, la Musica è ancora capace di riportarmi all’atmosfera del periodo natalizio, e allora torno con la memoria al tempo trascorso, e, come spezzoni di un film, alcuni più vividi, altri più offuscati, affiorano e si affollano nella mente i ricordi: visi, voci, luoghi, suoni.

Nei  miei ricordi di ragazzino, alla fine degli anni ’50, i Natali sono più freddi. Sentivamo di più il freddo. Forse accadeva perché le stagioni facevano meno le bizze, comportandosi più coerentemente, oppure, com’è più probabile, poiché erano poche le case in qualche modo completamente riscaldate, e pochissime quelle che potevano permettersi addirittura i termosifoni. Nella maggior parte delle case per riscaldarsi si accendevano i carboni nel braciere, attorno al quale si sedeva, e dove talvolta si faceva ardere la buccia di un mandarino: produceva un gradevole profumo, che oggi, quando faccio ardere le bucce dei mandarini nel focolare, evoca in me un’ondata di ricordi e di nostalgia.
Sentivamo di più il freddo, ma quanto ci riscaldava la presenza di Quelli che, nel tempo, ad uno ad uno, sono andati via, lasciando vacanti i Loro posti a tavola, e scavando infiniti solchi nel nostro cuore.

La mia città in quegli anni non era granché illuminata. Per questo le vetrine dei negozi, specie di quei pochi e modesti situati in periferia, risaltavano ancor più. Ricordo che nell’Edicola, la cartolibreria posta a metà di via Ruvo, si allestiva un grande Presepe. Se non entravamo per fare qualche acquisto, come la carta per dare forma al paesaggio, o quella per il cielo stellato, o qualche personaggio del nostro Presepe, restavamo fuori, intirizziti, con il naso schiacciato sui vetri, a guardare le lucine calde e ammiccanti nelle casettine, poste lungo le viuzze che portavano alla Grotta.


Per le strade del paese, già prima che albeggiasse, giravano i garzoni dei fornai a richiamare a gran voce. Nessuno aveva il forno elettrico, ma quasi tutti, oltre che il pane quotidiano, preparavano taralli, focacce e dolci (in particolare a base di mandorle) e le strade durante quei giorni erano piene dei loro profumi e della loro promessa.

La musica di quei Natali è, per me, legata essenzialmente alla radio. La mattina, molto presto, andava in onda un corso di lingue straniere, durante il quale, all’approssimarsi delle festività, erano trasmessi canti corali natalizi di tutto il mondo. Le trasmissioni non erano ancora in modulazione di frequenza, e l’audio, per quella sorta di fluttuazione altalenante, caratteristica delle onde corte, medie e lunghe, pareva giungere da spazi lontani e aerei, con il risultato di rendere quella musica ancora più suggestiva.
È stato allora che, crogiolandomi ancora sotto le coperte, ho ascoltato e imparato i canti che, tanti anni dopo, ho elaborato, arrangiato ed orchestrato.


È la fine degli anni ’80 quando, a Natale, nella Basilica di Assisi, Monsignor Pablo Colino, direttore musicale della Cappella Giulia, dirige un concerto il cui programma è costituito da celebri canti natalizi, da lui elaborati, arrangiati ed orchestrati. Decido subito che dirigerò quelle musiche. Trascorro un’intera giornata a casa di Monsignor Colino (a pochi passi dalla Basilica di San Pietro) a scegliere, mettere in ordine, fotocopiare e rimettere in ordine una montagna di spartiti. Sono quelle musiche a costituire il programma del concerto di Natale che dirigo nel 1990.

Come sempre, tuttavia, devo fare i conti con il demone creativo che mi anima: mentre insegno le parti musicali al coro,  inizio a concepire diverse soluzioni melodiche, armoniche, e orchestrali, che costituiscono le fondamenta di una mia raccolta di canti natalizi per coro e orchestra, su cui lavoro per tutto il 1991. Nel frattempo, durante l’estate dirigo concerti in diverse città pugliesi e lucane, raccogliendo successi e inviti per le successive festività natalizie. A dicembre la prima, delle “infinite” versioni di Canto di Natale che seguiranno, è pronta. Il Natale ’91 è segnato da otto concerti, due di questi (il secondo per via del successo ottenuto dal primo) nella Cattedrale di Trani (primi di una lunga serie). La chicca, tuttavia, è rappresentata dal Concerto di Natale del 24 dicembre, che dirigo nel Duomo della mia città: l’esecuzione è mattutina, ma non si tratta di una qualsiasi matinée,  visto che il concerto (in una chiesa che definire gremita è poco) si esegue prima dell’alba: alle 4,30.

La composizione di musica per Natale ha avuto (basti pensare  a Canto di Natale nel mondo, il CD che ho realizzato per le Edizioni Paoline, tra il dicembre 1993 e gli inizi del 1994) e continua ad avere un posto importante nella mia attività. Inoltre, mio figlio Antonio, anch’egli musicista, ha fatto propria, e moltiplicata, la passione per il Natale, scrivendo anche suoi arrangiamenti.

Le registrazioni che accompagnano questo post natalizio sono state realizzate dal vivo. Il video, un mio concerto prodotto da Telenorba, e trasmesso dalla cattedrale di Trani, è costituito da frammenti di miei arrangiamenti, elaborazioni ed orchestrazioni. per Soli, Coro e Orchestra.
A tutti Buon Natale.

 

Aggiornamento: il video che avevo postato ha avuto dei problemi. Cercherò di rimediare al più presto

 
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ritorno al futuro

Post n°36 pubblicato il 01 Dicembre 2010 da domenicomolinini
 

Emilio Fede (di nome e di fatto), alcune sere fa, mentre cenava in un noto ristorante di Milano, è stato preso a pugni dall'industriale Gian Germano Giuliani, proprietario della ditta che produce il noto Amaro, per l'appunto, Giuliani. 
Fede era a tavola con un'allegra brigata quando è stato scazzottato, pare per questioni di donne.
Non conosco Gian Germano Giuliani, se non per il suo noto Amaro e per il fatto che, tantissimi anni fa, la zia dell'attrice Giuliana Loiodice mi raccontò che a Giuliana era stato dato il nome dal suo padrino di battesimo: Gian Germano Giuliani.
Ho preso ad esempio il caso Fede, ma avrei potuto citare, qualche giorno dopo, anche il caso Wikileaks, per tornare con amarezza a ricordarvi quello che si pensa e si dice dell'Italia nelle università statunitensi. Insomma, potrei utilizzare il mio blog (e qualche volta l'ho fatto) come luogo in cui dire la mia sulla cronaca. E questo mi piacerebbe, poiché non vivo distaccato dalle tensioni sociali del nostro tempo. Ma il mio blog è pieno di post promessi e mai scritti.

Giorno dopo giorno la ricerca e lo studio mi assorbono completamente. Sto pensando di trasformare in una serie di post le mie pubblicazioni: in questo caso me la caverei con  un semplice copia e incolla. Però, bisogna vedere cosa ne pensi la mia casa editrice... Per quanto riguarda la cronaca, è più facile che io riesca ad intervenire commentando i post altrui.

All'amico lettore che si chiedesse: ma chi gliel'ha fatta fare di aprire un blog? suggerirei di leggere il mio primo post.
Quindi, torno all'idea originaria: a partire da questo post vi proporrò un brano musicale.
A questo punto sarebbe stato di prammatica aggiungere: "che spero abbiate la pazienza di ascoltare".
Non a caso mi astengo dall'usare il verbo ascoltare, poiché, come mi è già capitato di dire, ascoltare è una forma complessa che non sempre è messa in atto. E se vorrete anche di questo potremo parlare.
Non vi scriverò di cosa si tratti al fine di raccogliere, senza condizionamento alcuno, eventuali commenti, impressioni, sensazioni e dare senso al percorso in-formativo che questo blog si prefigge fin dalla nascita.

 

 
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SINE NOMINE

Post n°33 pubblicato il 21 Novembre 2010 da domenicomolinini
 

Qualche giorno fa, dopo aver letto e commentato il post scritto da Red_Lady sulla vicenda di Franco Califano, avrei voluto scrivere un post sulla legge Bacchelli.
L'avrei scritto dal mio punto di osservazione delle cose nazionali, poiché quella vicenda, emblematicamente, mostra ancora una volta che di musica, in questo paese, non capisce un'acca se non pochissima gente.

Ritenevo e continuo a pensare che la pensione Bacchelli fosse e dovesse essere destinata a figure di reale spessore culturale, ma probabilmente mi sbagliavo e continuo e continuerò a sbagliare fino a che in questa nazione, che è in fondo alla graduatoria mondiale per la cultura musicale, si continuerà a scambiare il grano col loglio. Sono rimasto stupito, perplesso e perché no, indignato nel leggere che riferendosi al signor Califano, qualcuno ha usato il termine "maestro".
Il termine "maestro" è fin troppo abusato e, come tutte le cose abusate si è svalutato. Una volta si dava del maestro a figure come Toscanini, più recentemente Rota, oppure a Picasso e Guttuso, o ancora Bergman e Fellini e via dicendo su questi piani.

So bene che tra i lettori del mio blog ci sono stati parecchi ai quali non è andata giù la mia disponibilità a fare chiarezza su aspetti sintattici, grammaticali e lessicali della musica, prima ancora che estetici: è sembrato (ovviamente mi riferisco solo ad alcuni lettori di passaggio e non ai, seppur pochi, lettori fedeli) che essi si siano sentiti lesi nella loro presunzione di sapere.

Sotto quest'aspetto l'obiettivo che questo blog pretendeva (non so più se usare il presente) di raggiungere non è stato neppure sfiorato. Ho scoperto che anche su quelle cose che sono marginali (parlo della musica per la maggior parte della gente) solo in pochi sono disponibili ad aprirsi alla conoscenza fondata su processi epistemologici. Al momento ad alcuni ho risposto in maniera lieve, accorgendomi che il solo fatto di aver tentato di dimostrare tutta l'insipienza di cui sono pieni certi personaggi che hanno raggiunto fama, notorietà e successo economico del tutto immeritati, poiché in realtà sono re nudi, ha disturbato non poco.

Mi sarei aspettato delle richieste "in-formative": ad un  fisico, ad uno specialista e via dicendo, non ci si sognerebbe (almeno nel 2010) di confutare una dottrina che il fisico e lo specialista in genere non si sono inventata e della quale sono portatori. Ad un musicologo, invece, sì. Questo accade poiché la musica, bella, brutta, comprensibile o incomprensibile che sia, l'ascoltiamo tutti. E tutti ce ne facciamo un'idea soggettiva che deriva dai processi percettivi che mettiamo in atto. Perché la nostra soggettività, pur rimanendo tale, si muova in un ambito oggettivo, occorre, quindi, ascoltare la musica. Ascoltare, tuttavia, non significa sentire, poiché l'ascolto implica una serie di processi analitici che significano un percorso (ear training) che non tutti sono allenati a compiere, per carenze non dipendenti dalla propria volontà. Tali carenze, di fatto, fanno sì che il gusto comune, in ossequio al detto "non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace", diventi un metro assoluto di giudizio, alla faccia di tutta una dottrina plurimillenaria e dei dibattiti sull'estetica della musica degli ultimi due secoli. E così accade che chi voglia portare avanti la conoscenza musicale si trovi, oggi, confutato così come, tre secoli fa, è accaduto a chi ha detto che la terra è rotonda.

Questo e altro avrei voluto scrivere sollecitato dal caso Califano.
Che, poi, il signor Califano ha ammesso che ogni semestre la SIAE gli versa 10.000 euro ed io aggiungo che, e mi meraviglio se il signor Califano non lo sappia, tutti noi che prendiamo diritti d'autore, godiamo di un'assicurazione gratuita (ne ho esperienza diretta) che ci riconosce, per ogni giorno di eventuale ricovero ospedaliero, una diaria di alcune decine di euro, fino ad un massimo di oltre 20.000 euro annui.

Ma non starò a scrivere ancora di questo personaggio che tra l'altro, come dicevo da red_lady, ha fatto
uso veramente irresponsabile  dei suoi più che lauti guadagni, senza fermarsi un attimo a pensare,  ostentando con fierezza lo stendardo dello "sciupafemmine" ammirato da tutta una categoria di uomini che spesso mostrano di avere il cervello sufficiente per le stesse attività che svolgono gli abitanti dei pollai.

Cionondimeno continuerò ad insistere per evidenziare la differenza che c'è tra un Do di petto e
un pernacchio.

 

 
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vox clamans in deserto... ossia appello (probabilmente) a vuoto

Post n°32 pubblicato il 21 Ottobre 2010 da domenicomolinini
 

Vista la scarsa affluenza di lettori del mio blog, figuriamoci se i gestori di Libero leggeranno questo post...

A mio sommesso parere Facebook è un luogo dove si possono esternare anche riflessioni serie, ma rimane, per la sua fisiologia, una piazza; e in una piazza, si sa, c'è ressa, gente che trascorre velocemente, capannelli, saltimbanchi, mercanti che offrono loro merce, bottegucce e bar dove, ai tavolini, siede gente che guarda tutto questo magari sorseggiando un buon caffè.

il blog, invece, per i più, vuole essere un salotto dove c'è chi parla, chi ascolta, chi controbatte, il tutto, in un clima che, fatto salvo si possa anche parlare "leggero", implica una concreta partecipazione.

A chi possegga un minimo senso delle cose, non sarà sfuggito che anche un "timido", su Facebook si ritrovi circondato da centinaia di "amici". Qui, invece, tutto si riduce e, prendete me per esempio, il numero di amici è di gran lunga inferiore (ne ho avuti centinaia su Facebook (tra i quali tanti miei studenti ed ex studenti).

Tutto questo preambolo per significare che se vado a leggere un  vostro post lascio un commento, oppure leggo e, magari con dispiacere, non mi soffermo oltre per mancanza di tempo. Premere il bottoncino per significare che mi piaccia, lo trovo superficiale, ma, ancor più, pettegolo e cialtronesco poiché i nostri salotti si trasformano in quei salotti (sic) dove si ostenta e sciorina coram populo tutto e di tutto, alla faccia della discrezione e, senza usare tanti giri di parole, in pieno clima di ineducazione.

Non so se, alla fine, questa forma di ingerenza sarà il motivo per cui chiuderò il mio salotto.

 
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Cantare...

Post n°31 pubblicato il 23 Settembre 2010 da domenicomolinini
 

Giorgia (alias dodici_scatti), con la sua richiesta sul post di Ilike, mi dà l'occasione per una breve riflessione sulle qualità canore ed interpretative di Ilike e più in generale sul canto ed i cantanti.
Premetto che, essendo molto occupato con la musica, ho poco tempo da dedicare all'ascolto musicale. Infatti, se sto componendo, quella che ascolto e vado costruendo è la mia musica. Se, invece, sto scrivendo e facendo ricerca musicologica, ogni tanto ascolto anche musica.
Tornerò, magari a breve in un altro post, a scrivere sul significato di ascolto.
Per adesso, quello che mi preme significare è che, non avendo molto tempo da dedicare alla complessa pratica intellettuale dell'ascolto musicale, quando sono nelle condizioni per farlo, la musica di Rossini non entra nella rosa, pure vasta, delle mie scelte (e anche di questo prima o poi dovrò scrivere).

E veniamo a Ilike.
Già prima di queste recite, a giugno, avevo notato quanto, in assoluto, la sua voce fosse maturata, sia timbricamente, sia tecnicamente, avendola ascoltata nello Stabat di Pergolesi.
Inoltre, Ilike ha la capacità di stare, e muoversi, con naturalezza sul palcoscenico. Non è da tutti: mi capita di vedere certi elementi che più catatonici e imbranati di così non si può.
Il canto non è una pratica facile, e non mi riferisco solo al canto lirico.
Per cantare, occorrono doti naturali.
Prima fra tutte l'orecchio musicale, ossia la capacità di percepire i suoni, appropriarsene e saperli utilizzare concettualmente (così come facciamo con le lettere del nostro alfabeto).
L'orecchio musicale prescinde e non ha nulla a che vedere con l'alfabetizzazione musicale: si può cantare benissimo senza conoscere la musica.
Ilike ha un buon orecchio musicale. Quindi ha la prima dote che occorre per cantare.
Eppure, continuo ad imbattermi in soggetti che vorrebbero cantare, ma non hanno orecchio musicale. La cosa grave, a mio sommesso parere, è che li si fa cantare ugualmente. Questo avviene poiché nelle scuole di canto (non sempre per fortuna) ci si occupa solo della formazione (intesa come strutturazione) della vocalità canora, senza prima verificare se il soggetto abbia orecchio musicale.
Per intenderci, si fa un lavoro di liuteria, talvolta sopraffino, ma, una volta pronto lo strumento chi lo suona?
Un buon violino suonerà bene solo se affidato alla perizia di un eccellente violinista. Chi abbia impostato una voce eccellente, produrrà suoni timbricamente eccellenti, ma, se non intonato, canterà in maniera straziante.
Affidate uno Stradivario ad un violinista in erba e sentirete che strazio.

Ma non è finita.
Per cantare non basta possedere l'orecchio musicale. Occorre anche possedere senso ritmico, ossia, in presenza di suoni, agire-reagire secondo processi psico-motori, indotti dalla percezione.
Chi non abbia senso ritmico è incapace di procedere, come si dice, "a tempo". E' incapace, praticamente, di coordinare nello spazio tempo l'inizio ed il termine di ogni evento sonoro, ossia di ogni durata, quindi del flusso ritmico nel contesto metrico.
Ilike ha un buon senso ritmico.

Riepilogando, orecchio musicale, senso ritmico, capacità attoriale sono gli ingredienti fondamentali che servono ad un cantante lirico. Ilike ha queste doti alle quali unisce una grande dedizione allo studio.
Già, perché occorre studiare tantissimo per mettere a frutto queste doti e lei lo fa in maniera metodica ed intelligente.

L'ultimo elemento che gioca a favore o a sfavore della carriera di un cantante lirico (ma questo non vale solo per i cantanti lirici) è un tantino di fortuna. Trovarsi al posto giusto, nel momento giusto, essere ascoltati da un direttore artistico o musicale, sono accadimenti che non poche volte hanno aperto gloriose carriere.

Non credo che occorra aggiungere altro se non che, come Ilike, ci sono in Italia tanti validi cantanti lirici. Nel corso degli ultimi trent'anni della mia attività musicale di  compositore, direttore d'orchestra, formatore e direttore di coro e didatta ho conosciuto ed interagito con centinaia di cantanti. A parte quelli già famosi, si è sempre trattato di giovani dai quali ho preteso ed ottenuto la qualità che rispondesse al mio estremo rigore in fatto di esecuzione musicale. Ebbene, con enorme rammarico e sdegno, ho dovuto constatare come molti, troppi, di loro non abbiano ottenuto il giusto riconoscimento per il loro sacrificio.
E così alzo la voce e grido e vorrei scuotere le mura dei palazzi dove indolentemente pasce e ingrassa chi dovrebbe occuparsi meritoriamente della cosa pubblica e dell'istruzione e della cultura e dell'arte e della musica.
Ed allora, additare la mediocrità contrabbandata e propagandata a dritta e a manca come superlativa, diventa l'occasione per fare una denuncia che, come un fiume in piena che esonda dai propri argini, vorrebbe spazzare il letamaio che ci circonda.

 
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Senza titolo

Post n°30 pubblicato il 16 Settembre 2010 da domenicomolinini

Senza titolo, poiché, avendo deciso di seguire il suggerimento di Ilike, ho smesso di scrivere sul Rigoletto.
Ma Ilike mi ha suggerito anche di scrivere e di trattare tutt'altro argomento.
Ma di cosa posso scrivere io, se non di musica?
Pertanto ritengo che scriverò sempre meno post e poi, a poco a poco, mi spegnerò...

Funere mersit acerbo

 

 
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