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Messaggi di Aprile 2021

 

Siamo ombre: le nostre anime sono morte (prima parte)

Post n°36 pubblicato il 29 Aprile 2021 da daniela.g0
 

Gulbahar Haitiwaji (Foto: Emmanuelle Marchadour)          

 

L'arresto di Jimmy Lai e il silenzio del Vaticano         

Lo scorso 2 dicembre è stato arrestato ad Hong Kong il noto imprenditore, giornalista ed attivista Jimmy Lai (pseudonimo di Lai Chee-Ying), 73 anni, uno dei più noti sostenitori del movimento a favore della democrazia della grande metropoli. L'accusa che gli è stata mossa è quella di aver presumibilmente commesso una frode relativa all'uso illecito dei beni della sua azienda. E' già la seconda volta durante il 2020 che Lai viene arrestato dalle autorità locali in circostanze sospette. La prima volta, è stato accusato dalle autorità di aver violato le sezioni della legge sulla sicurezza nazionale recentemente approvata. Rilasciato su cauzione subito dopo il primo arresto, al noto magnate dei media è stata invece negata la libertà su cauzione per le nuove accuse di frode ed incarcerato il giorno dopo, in quanto costituirebbe un rischio per la sicurezza nazionale.      

Molti attivisti, politici e giornalisti hanno espresso profondo rammarico per la notizia dell'arresto di Jimmy Lai, fondatore dell'Apple Daily, uno dei quotidiani più popolari di Hong Kong: il ministro degli Esteri del Regno Unito, Dominic Raab, ha chiesto che "le autorità di Hong Kong e Pechino pongano fine alla loro battaglia per soffocare l'opposizione". Anche il Segretario di Stato Mike Pompeo e il sovietico Natan Sharansky hanno condannato l'arresto del giornalista, mentre Sarah Champion del partito laburista inglese, insieme ad altri membri del Parlamento, hanno sollevato la situazione di Lai alla Camera dei Comuni britannica, come ha riportato il 7 dicembre dello scorso anno un articolo della grande testata americana Wall Street Journal, a firma del giornalista William McGurn. L'arresto del magnate era stato preceduto dall'arresto, nei giorni precedenti, da altri tre eminenti attivisti di Hong Kong.      

Il giornalista americano, nel darne notizia pone una sconcertante considerazione, che non è passata inosservata anche in altre testate americane:      

 

"Ma c'è un posto in cui la prepotenza cinese suscita solo silenzio: il Vaticano. Il che è strano, perché Jimmy Lai non è solo il più noto sostenitore della democrazia di Hong Kong; è anche il cattolico laico più eminente del luogo."        

 

A metà aprile 2021 Jimmy Lai è stato condannato a un anno di carcere per aver organizzato e partecipato a una marcia di protesta non autorizzata nel 2019. Per Lai, che si trova in carcere già da dicembre, è la prima condanna per il suo ruolo nelle manifestazioni a favore della democrazia.       

A processo insieme a Lai c'erano in tutto 9 attivisti per la democrazia. Quattro di loro hanno ricevuto pene che vanno tra gli 8 e i 18 mesi di carcere, mentre altri quattro sono stati condannati, ma la loro pena è stata sospesa: tra questi ultimi ci sono gli ex parlamentari Martin Lee, 82 anni, un rispettato avvocato noto come "il padre della democrazia" a Hong Kong, considerato uno dei fondatori del movimento, e l'avvocato Margaret Ng. E' quanto ha riportato il sito Aljazeera, il 16 aprile.        

 

Il genocidio degli Uiguri in Cina             

Dalle vicende accadute ad Hong Kong ci spostiamo quindi alla vecchia Europa dove, il 25 febbraio scorso, il parlamento olandese ha approvato una mozione non vincolante che definisce "genocidio" i crimini contro gli uiguri in Cina. La mozione è stata presentata da Sjoerd Sjoerdsma, del partito di centrosinistra Democraten 66, il quale ha proposto inoltre di porre pressioni sul Comitato Olimpico Internazionale allo scopo di spostare le Olimpiadi invernali del 2022 fuori dalla Cina. La mozione afferma che "misure intese a prevenire le nascite" e "avere campi di punizione" rientrano nella risoluzione 260 delle Nazioni Unite, nota in generale come convenzione sul genocidio. Lo ha scritto Marco Respinti sulla rivista Bitter winter. Il testo della mozione olandese afferma senza ombra di dubbio che "in Cina si sta verificando un genocidio contro la minoranza uigura". Mentre, dall'alto lato dell'oceano, la Camera dei Comuni del Parlamento canadese ha votato - il 22 febbraio scorso - a sostegno di una mozione che ha riconosciuto in modo formale i crimini del PCC (Partito Comunista Cinese) come genocidio.      

L'ambasciata cinese nei Paesi Bassi ha risposto definendo il genocidio nello Xinjiang "una vera e propria menzogna", diffusa con "totale disprezzo dei fatti e del buon senso", attraverso una mozione che "ha deliberatamente imbrattato la Cina e interferito grossolanamente negli affari interni della Cina". Marco Respinti, caporedattore di International Family News, scrive: «Corteggiando il ridicolo, l'ambasciata cinese ha anche aggiunto che "[negli] ultimi anni, la popolazione uigura nello Xinjiang ha goduto di una crescita costante e il loro tenore di vita ha visto un miglioramento significativo", ribadendo la classica menzogna negazionista del regime: "Le questioni relative allo Xinjiang non riguardano mai diritti umani, etnia o religione, ma sulla lotta al terrorismo violento e alla secessione". Indubbiamente, questa reazione ha confermato che i sostenitori della mozione hanno colpito il PCC dove fa male».          

Secondo quanto ha riportato il quotidiano britannico The Guardian lo scorso 22 marzo, anche Stati Uniti, insieme a Canada, Regno Unito e Unione Europea si sono avviati quindi verso un'azione congiunta per imporre sanzioni verso gli alti funzionari cinesi coinvolti nell'internamento di massa dei musulmani uiguri della provincia dello Xinjiang. E' la prima volta da trent'anni che Regno Unito o Unione Europea abbiano punito la Cina per aver violato i diritti umani.         

In una dichiarazione, la Cina ha affermato: «La parte cinese esorta la parte dell'UE a riflettere su se stessa, ad affrontare apertamente la gravità del suo errore e a rimediare. Deve smetterla di dare lezioni ad altri sui diritti umani e di interferire nei loro affari interni. Deve porre fine alla pratica ipocrita dei doppi standard».           

Mente l'eurodeputato Guy Verhofstadt ha dichiarato: «La Cina ha appena ucciso l'accordo di investimento UE-Cina sanzionando le persone che criticano il lavoro schiavo e il genocidio nello Xinjiang. Come potremmo mai fidarci di loro per migliorare la situazione dei diritti umani degli uiguri se le chiamano semplicemente "fake news"?».           

Molti attivisti ed esperti delle Nazioni Unite hanno affermato che almeno un milione di musulmani sono detenuti nei campi dello Xinjiang. La Cina tuttavia nega le violazioni dei diritti umani e afferma che i suoi campi forniscono formazione professionale e si rendono necessari per combattere l'estremismo.             

 

L'influenza di Pechino sulle università occidentali              

Intanto il settimanale francese Le Point ha pubblicato, lo scorso 26 febbraio, un'indagine clamorosa sulle modalità in cui la Cina sta procurandosi il favore delle università occidentali. Molte scuole inglesi sono ormai sotto la marcata influenza e la propaganda di Pechino. Nigel Farage, il leader del Reform UK Party britannico, ha recentemente twittato che "i miliardari cinesi con collegamenti diretti al PCC stanno comprando le scuole britanniche - e inondando il curriculum con la loro propaganda". Farage ha poi elencato i nomi di alcuni nel Regno Unito "sotto il controllo cinese": Abbots Bromley School, Bournemouth College, Saint Michael School, Bosworth College, Bedstone College, Ipswich High School, Kingsley School, Heathfield Knoll School, Thetford Grammar, Wisbech Grammar, Riddlesworth Hall, Myddelton College, GATTI College.           

Anche il Daily Mail, in un'inchiesta, conferma come molti istituti prestigiosi britannici siano finiti in mano cinese, fornendo in tal modo un'istruzione secondo le linee approvate dal regime comunista. In grave crisi finanziaria innescata dal CoVID, a causa della diminuzione delle iscrizioni o dall'abbassamento delle tasse per la mancata frequenza fisica degli studenti, gli istituti privati - per riempire le casse ormai languenti - hanno accettato di passare sotto il controllo di Pechino, ricevendo in cambio lauti finanziamenti. In quattro anni sono stati conclusi ben 17 accordi tra istituti britannici e società cinesi, molte delle quali sono riconducibili ad alti funzionari del Partito Comunista cinese. Gli studenti cinesi, appartenenti a facoltose famiglie con legami al Partito Comunista, beneficiano di corridoi privilegiati per accedere a queste prestigiose scuole.      

E' evidente come ormai per Pechino l'istruzione - opportunamente orientata - stia divenendo strategica, affiancando tecnologie, risorse minerarie e infrastrutture.       

Fabio Massimo Parenti, professore associato dell'Istituto Internazionale "Lorenzo de Medici" di Firenze, è stato ospite nello Xinjiang, dove si stima che fino a due milioni di uiguri siano stati rinchiusi in "campi di rieducazione". E' quanto ha riportato il sito Scenarieconomici, in un articolo a firma di Giuseppina Perlasca.      

Da settembre 2019, a Urumqi, capitale della regione uigura dello Xinjiang nella Cina occidentale, Christian Mestre, decano onorario della facoltà di giurisprudenza dell'Università di Strasburgo, ha partecipato a un "seminario internazionale sulla lotta al terrorismo, alla deradicalizzazione e la tutela dei diritti umani". Il seminario è stato organizzato dalla Repubblica Popolare Cinese. Le dichiarazioni di Mestre sono state trascritte dai media statali, dall'agenzia di stampa Xinhua e dal quotidiano nazionalista Global Times. Sembra che i metodi usati in Cina piacciano agli accademici francesi; il professore ha affermato infatti: "Spero che la Francia ed altri Paesi europei possano adottare le risposte fornite dallo Xinjiang". Mestre ha fatto riferimento ai "centri di formazione professionale", il nome dato dalla Cina ai suoi campi di rieducazione. "Queste persone non sono in carcere", ha affermato il professore, "ma mandate alla scuola dell'obbligo".           

 

La terribile prigionia di Gulbahar Haitiwaji          

Appartenente alla minoranza islamica uiguri, Gulbahar Haitiwaji viveva in Francia da dieci anni insieme con il marito Kerim e le loro due figlie: erano entrambi uiguri dello Xinjiang. 

La loro vita era scorsa tranquillamente nel loro appartamento di Boulogne, quando Gulbahar riceve all'improvviso una telefonata dalla Cina: l'uomo al telefono dice di chiamare per conto della compagnia petrolifera in cui lei e suo marito avevano trovato il primo impiego come ingegneri, e le chiede di tornare a Karamay per firmare dei documenti. Gulbahar non vuole tornare a Karamay, la città nella provincia cinese occidentale dello Xinjiang dove aveva lavorato per la compagnia petrolifera per più di 20 anni. Ha un brutto presentimento e chiede la possibilità che un amico possa occuparsi dei suoi affari per procura. L'uomo le risponde che l'avrebbe richiamata tra due giorni, dopo aver esaminato la possibilità che un amico di Gulbahar agisse per suo conto. Due giorni dopo, l'uomo richiama la donna dicendole: "La concessione della procura non sarà possibile, madame Haitiwaji. Dovrà venire a Karamay di persona".       

Karamay era il luogo che Gulbahar e il marito Kerim si erano lasciati alle spalle, era il luogo dove si leggeva "niente uiguri" alla fine degli annunci di lavoro, il luogo dove le minoranze riscuotevano buste paga rosse, meno pesanti delle paghe dei colleghi Han, il gruppo etnico dominante. Kerim tuttavia si sforza di tranquillizzare la moglie e alla fine Gulbahar decide di partire. Al suo arrivo si reca presso l'ufficio della compagnia petrolifera a Karamay per firmare i decantati documenti relativi al suo imminente pensionamento. «Nell'ufficio dalle pareti scrostate sedevano il contabile, un Han dalla voce aspra e la sua segretaria, curvi dietro un paravento», scriverà ricordando - anni dopo - Gulbahar.     

«La tappa successiva si è svolta nella stazione di polizia di Kunlun, a 10 minuti di auto dalla sede dell'azienda. Lungo la strada, ho preparato le mie risposte alle domande che probabilmente mi sarebbero state poste. Ho cercato di farmi forza. Dopo aver lasciato le mie cose alla reception, sono stata condotta in una stanza stretta e senz'anima: la stanza degli interrogatori. Non vi ero mai stata prima. Un tavolo separava le due sedie dei poliziotti dalle mie. Il ronzio silenzioso della stufa, la lavagna mal pulita, l'illuminazione pallida: tutto questo catturava il mio sguardo e creava atmosfera. Abbiamo discusso i motivi per cui sono partita per la Francia, il mio lavoro in un panificio e in una caffetteria nel quartiere degli affari di Parigi, La Défense».                  

Ricorda, ancora molto nitidamente, Gulbahar:         

«Poi uno degli agenti mi ha infilato una foto sotto il naso. Mi sono sentita allora ribollire il sangue nelle vene: era un viso che conoscevo bene quanto il mio: quelle guance piene, quel naso sottile. Era mia figlia Gulhumar. Era in posa davanti a Place du Trocadéro a Parigi, infagottata nel suo cappotto nero, quello che le avevo regalato. Nella foto, stava sorridendo, una bandiera in miniatura del Turkestan orientale in mano, una bandiera che il governo cinese aveva vietato. Per gli uiguri, quella bandiera simboleggia il movimento per l'indipendenza della regione. L'occasione è stata una delle manifestazioni organizzate dalla sezione francese del Congresso mondiale degli uiguri, che rappresenta gli uiguri in esilio e si pronuncia contro la repressione cinese nello Xinjiang.      

 

 

Una manifestazione a favore degli uiguri a Hong Kong nel 2019 (Foto: Jérôme Favre / EPA)      

 

Che tu sia politicizzato o meno, questi raduni in Francia sono soprattutto un'opportunità per la comunità di riunirsi, proprio come i compleanni, l'Eid e la festa di primavera di Nowruz. Puoi andare a protestare contro la repressione nello Xinjiang, ma anche, come ha fatto Gulhumar, a vedere amici e raggiungere la comunità degli esiliati. A quel tempo, Kerim era un assiduo frequentatore. Le ragazze saranno andate una o due volte. Io non l'avevo mai fatto, la politica non fa per me. Da quando avevo lasciato lo Xinjiang, ero solo meno interessata.        

All'improvviso, l'ufficiale ha sbattuto il pugno sul tavolo.
"La conosci, vero?"     

"Sì. È mia figlia."     

"Tua figlia è una terrorista!"     

"No. Non so perché si trovasse a quella dimostrazione."       

Continuavo a ripetere: "Non lo so, non so cosa ci facesse lì, non stava facendo niente di male, lo giuro! Mia figlia non è una terrorista! Nemmeno mio marito!"      

Non ricordo il resto dell'interrogatorio. Tutto quello che ricordo è quella foto, le loro domande aggressive e le mie futili risposte. Non so per quanto tempo tutto questo sia andato avanti. Ricordo che quando finì dissi, irritata:     

"Posso andare adesso? Abbiamo finito qui?". Poi uno di loro mi disse: "No, Gulbahar Haitiwaji, non abbiamo finito."»                          

 

Fine prima parte.      

Qui la seconda parte dell'articolo.

 

 

 
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Marcello Veneziani: Uccidete Gentile per educarne cento

Post n°35 pubblicato il 20 Aprile 2021 da daniela.g0
 

Cari Lettori, Vi propongo un articolo dello scrittore e giornalista Marcello Veneziani, nel ricordo del filosofo siciliano Giovanni Gentile. Barbaramente assassinato il 15 aprile 1944, Gentile soltanto poche settimane prima rifiutò la scorta armata, offertagli dal governo fascista repubblicano, con le parole: "Non sono così importante, ma poi se hanno delle accuse da muovermi sono sempre disponibile".      

Per lo scrittore Veneziani, il suo omicidio segna "insieme un avvertimento e un esempio, da seguire seppure in forme incruente in tempo di pace: eliminare chi dissente, cancellare i non allineati; morte civile e infamia. [...] Cominciò così l'egemonia culturale...".     

Egemonia culturale che - attraversando oltre settant'anni di storia - è giunta fino a oggi, intatta e indisturbata nel suo pensiero unico dominante a reti unificate, nel bombardamento mediatico, nel "dialogo" che non accetta contraddittorio ma preferisce trincerarsi dietro etichettature studiate ad hoc per isolare e reprimere ogni forma di dissenso: "negazionisti", "no vax", "no mask", "complottisti"...      

Un'egemonia culturale però senza memoria storica, che dimentica - o vuol dimenticare - come "cospirazionisti" furono definiti anche coloro che osarono dissentire dal pensiero unico dominante della ferocissima dittatura comunista dell'allora Unione Sovietica. E per questo furono licenziati, arrestati o detenuti nei gulag e negli ospedali psichiatrici.      

Ma è noto, certa storia è meglio dimenticarla, magari depennarla anche dai libri di scuola: specialmente quando essa costituisce testimonianza troppo scomoda; atto di accusa e condanna senza appello ad ogni tentativo di sopraffazione dell'altro. Ecco perché, insieme a Marcello Veneziani, desidero oggi ricordarla.             

Buona lettura.   

 

 

C'è una data, un simbolo e un atto da cui prende origine la cancellazione del pensiero avverso, l'eliminazione con disprezzo di chi non si conforma e l'egemonia culturale. È il 15 aprile del 1944. In quel giorno viene ucciso un filosofo, forse il più grande filosofo italiano del Novecento e il più grande promotore di cultura in Italia. Giovanni Gentile fu filosofo del fascismo e la definizione è vera ma riduttiva: la sua filosofia era già compiuta prima che nascesse il fascismo, la sua impronta culturale va ben oltre il regime; fu gran ministro della pubblica istruzione, fece una vera riforma della scuola, fondò l'Enciclopedia italiana, fondò e diresse istituti di cultura. Fu ucciso da un commando di partigiani comunisti. Non ricostruirò la storia dell'assassinio, i retroscena, i colpevoli. Il miglior libro sul tema, il più onesto, resta quello di Luciano Mecacci, La ghirlanda fiorentina, edito da Adelphi.     

Eravamo in guerra, il clima era feroce. Ma a Gentile, prima che il suo passato di ministro e di fascista, non si perdonò il suo appello alla pacificazione e a sentirsi italiani prima che fascisti e antifascisti. Inviso anche ai fascisti più fanatici, fu proprio quel suo appello alla concordia a renderlo ingombrante; avrebbe favorito una transizione meno feroce dal fascismo all'antifascismo.     

Non rivangherò le responsabilità comuniste, l'atto d'accusa di Concetto Marchesi prima dell'omicidio, la "sentenza di morte" emessa contro di lui, poi la dissociazione del Partito d'Azione; e non tornerò sul tema se il mandante fosse Palmiro Togliatti o l'Intellettuale Collettivo. Ne ho scritto abbastanza. Non ci sarebbe comunque da sorprendersi di Togliatti, considerando le sue responsabilità nel massacro degli anarchici da parte dei comunisti in Spagna, sui comunisti italiani rifugiati e trucidati in Unione sovietica, la complicità sulle foibe... Il suo cinismo e il suo allineamento a Stalin non ci impediscono di riconoscere la sua grande intelligenza politica, l'amnistia concessa da Guardasigilli ai fascisti, il suo ruolo di costituente e poi nella repubblica.     

Togliatti avrebbe potuto giustificare l'esecuzione come azione di guerra ma andò oltre, usando parole sprezzanti. Come sarà per Mussolini e i gerarchi, non bastò "giustiziarli", ma vi fu lo scempio di Piazzale Loreto; così non bastò uccidere Gentile, si volle fare scempio della sua figura e del suo pensiero. Sull'Unità del 23 aprile del '44 Togliatti rifiutò il tono rispettoso per un morto, volle scrivere "il necrologio di una canaglia"; "traditore volgarissimo", "camorrista", "corruttore di tutta l'intellettualità italiana" (compreso quella che poi passò armi e bagagli al Pci); "intellettualmente disonesto", "moralmente un aborto", "un gerarca corrotto". Dopo di lui infierirono sul cadavere, con odio, Eugenio Curiel e altri intellettuali: "raccattato nell'immondezzaio", "lenone", "mediocre vacuo"... 

Gentile non aveva nulla da guadagnare nell'esporsi con l'ultimo fascismo di Salò, da cui era rimasto fino allora appartato: aveva tanti contro, non aveva mai amato l'alleanza con Hitler, detestava il razzismo; ma per coerenza e carattere non si tirò indietro, come scriverà in Genesi e struttura della società (un libro che ripubblicai con Vallecchi, ora uscito da Oaks a cura di Gennaro Sangiuliano). Si espose, accettò di presiedere l'Accademia e fu ucciso. Era stato fascista e mussoliniano, aveva avuto onori e onorari dal regime, e grande potere; ma era stato anche attaccato da molti fascisti e intellettuali, fu emarginato dal regime dopo i Patti Lateranensi.      

Per Gentile il fascismo passa ma l'Italia resta, lo Stato viene prima del Partito e la Nazione prima del regime. Aveva difeso e riformato la scuola e l'università italiana, la Normale di Pisa, aveva fondato l'Istituto di studi orientali, l'Ismeo, aveva creato quel monumento alla cultura che è l'Istituto dell'Enciclopedia, la Treccani. E aveva difeso tanti intellettuali antifascisti, dissidenti ed ebrei, ne aveva portati ben 85 - contarono i suoi detrattori in camicia nera - a collaborare all'Enciclopedia; protesse antifascisti militanti come Piero Gobetti che pure lo aveva attaccato e giovani docenti oscillanti tra l'ossequio al fascismo e il larvato antifascismo, come Norberto Bobbio. Era stato, si, paternalista, autoritario, passionale; ma anche generoso, educò ai doveri e al coraggio, difese e diffuse cultura e intelligenza. Il filosofo Antonio Banfi, diventato comunista, commentò sul giornale comunista La nostra lotta l'assassinio di Gentile; dopo una caterva d'insulti, ammetteva trincerandosi dietro un si dice: "Era, si dice, un onesto uomo, affabile, generoso di aiuto, molti protesse e difese in anni tempestosi... Era uno studioso, un filosofo"; ma i tempi erano quelli che erano, richiedevano atti drastici e spietati.    

E dire che Togliatti, come Gramsci, era stato gentiliano all'epoca di Ordine nuovo, come ammise il cofondatore Angelo Tasca. Dopo la guerra, quando curò per le edizioni di Rinascita il profilo di Marx scritto da Lenin, Togliatti cancellò il riferimento a Gentile, unico citato da Lenin tra i filosofi viventi. La censura ideologica cominciò allora...    

Uccidere Gentile fu una bestialità coerente al clima generale. Peggio che sparargli fu però infangarlo e diffamarlo dopo morto, usare il suo assassinio come uno spauracchio, volere la sua eliminazione come premessa per instaurare l'egemonia culturale e liberare gli stessi intellettuali all'ombra del Pci dal debito imbarazzante verso di lui. Condannavano il filosofo della dittatura e poi si piegavano al partito di Stalin e al totalitarismo comunista. 

L'uccisione di Gentile fu un parricidio culturale e insieme un avvertimento e un esempio, da seguire seppure in forme incruente in tempo di pace: eliminare chi dissente, cancellare i non allineati; morte civile e infamia. I meriti, i valori, le verità non contano se sei dalla parte sbagliata. Cominciò così l'egemonia culturale...      

MV, La Verità 15 aprile 2021    

 

 

 

 
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Giovanni Paolo II e quel "pezzetto di cielo"

Post n°33 pubblicato il 14 Aprile 2021 da daniela.g0
 

Papa Giovanni Paolo II accolto da una folla festante ad Assisi, nel 1978             

In Rec News, 29/12/2020

 

 

Poco più di quindici anni fa, nell'ottobre del 2005, a distanza di circa sei mesi dalla morte di papa Giovanni Paolo II - avvenuta il 2 aprile dello stesso anno - feci un sogno, che forse oggi merita di essere raccontato.     

Inizia come un incubo, uno dei peggiori: i ricordi si sfumano, ma quel che appare chiaramente è il fatto che, in un ambiente ostile e buio, sono sola ed in possesso di alcuni preziosissimi documenti che, per nessun motivo, devono finire nelle mani dei molti nemici che mi stanno spietatamente dando la caccia. Il fatto che colpisce, è che non temo per la mia vita, come spesso accade negli incubi: tuttavia la mia preoccupazione rimane enorme, perché non posso assolutamente permettere che quei documenti cadano nelle loro mani. Dopo una fuga lunga e affannosa, sono ormai alle mie calcagna e non mi rimane più molto da fare: in quei documenti sembra esservi racchiuso - in ultimo - ciò che ho di più caro in questo mondo e sto per perderlo per sempre; mentre fuori è notte fonda.   

All'improvviso, con mia enorme sorpresa, l'atmosfera cambia rapidamente: la luce disperde del tutto l'oscurità e diventa giorno pieno, posso ammirare il sole splendere alto nel cielo terso e azzurro. E in quella luce scorgo davanti a me - vicino a me - una figura cara: è Giovanni Paolo II, giovane come lo ricordavo bene quando a tredici anni - era il 16 ottobre 1978 - assistetti alle immagini, trasmesse in mondovisione, del celebre discorso che egli pronunciò affacciandosi dalla loggia che sovrasta l'ingresso della Basilica di San Pietro, subito dopo la sua elezione a pontefice. Con sguardo intenso e rassicurante si rivolge a me, dicendomi: "Non ti preoccupare, nessuno te li potrà togliere!".    

Malgrado siano trascorsi ormai quindici anni, ricordo infatti esattamente ogni parola che egli pronunciò, che qui riporto fedelmente. In quel momento prendo coscienza di ciò che forse avevo saputo fin dall'inizio della mia lunga fuga: non si tratta infatti soltanto di meri oggetti da proteggere, ma di molto di più: quei documenti sono in realtà immagine, figura di tutti coloro che amo più intensamente, ed insieme a loro, anche di quelli che accidentalmente ho incontrato sul mio cammino e a cui pure ho voluto bene. Karol Wojtyla continua quindi con decisione, mostrandomi la parte interna del suo braccio destro, piegato all'altezza del gomito e nudo, come il suo torace: "Guarda! Sono nella mia carne. Nessuno te li potrà togliere, ormai!".  

Capisco che le sue parole sono assolutamente vere: infatti, chi mai potrebbe strapparli dalla sua carne? La sua persona emana una tale forza da sembrare invincibile e, al contempo, rassicurante. Non posso non provare che un senso di serenità: e mi sento felice, come forse mai prima di allora.   

Mi sarei svegliata all'improvviso qualche istante dopo, e la presenza di Karol Wojtyla era talmente concreta e reale nella mia memoria da ricordare bene ogni particolare, anche a distanza di molti mesi, addirittura di molti anni. Una sensazione di pace, di gioia, avrebbe continuato a tenermi compagnia durante tutto l'arco della giornata e nei giorni successivi, mentre iniziavo a riflettere: mi trovavo allora in uno dei momenti più difficili della mia vita, e quindi necessariamente proiettata su me stessa: sembrava insolita, dunque, tanta preoccupazione per gli altri, che apparentemente non stavano correndo alcun pericolo in quel momento.    

Eppure non era la mia vita ad essere in gioco, in quell'incubo. Le parole pronunciate da Giovanni Paolo II: "Nessuno te li potrà togliere!", sembravano riecheggiare molto da vicino il Vangelo di Giovanni: "Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio" (Giovanni 10,29); mentre il corpo del papa polacco sembrava rimandare a quello di Cristo, di cui la Chiesa è il Corpo mistico: "Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri" (Romani 12,4-5).   

Tuttavia, per lungo tempo, questo sogno sarebbe rimasto per me enigmatico ed insieme bellissimo: un pezzetto di Cielo da ricordare. E con il trascorrere degli anni, sarebbe scivolato in parte nel dimenticatoio; ma da parecchi mesi le parole pronunciate da Karol Wojtyla sono ritornate più volte con forza nella mia mente, come se stessero acquistando sempre più significato. 

Forse perché i gravissimi fatti che si sono susseguiti a partire dall'emergenza CoVID-19, con il conseguente crescere della preoccupazione, mi hanno fatto sentire sempre più intensamente il vuoto lasciato dalla scomparsa di papa Giovanni Paolo II: la gerarchia della Chiesa Cattolica che decide di arrestare la sua perenne Liturgia a causa del propagarsi di un virus, avvenimento mai accaduto prima nella sua storia; le libertà e i diritti costituzionali che verranno sospesi e quindi di fatto negati; l'ormai evidentissima censura ed il totale annichilimento di chi vuol proporre un'interpretazione diversa dei fatti, non coincidente con il pensiero unico dominante.   

Tutto ciò non poteva non riavvicinarmi a Karol Wojtyla, l'uomo ed il pontefice profeticamente e lucidamente cosciente degli enormi ed imminenti pericoli che avrebbero insidiato la Chiesa Cattolica insieme al mondo intero, pericoli ai quali tentò di frapporre tutta la sua persona per fermare quello che l'apostolo Paolo definisce: "il mistero dell'iniquità" (2 Tessalonicesi 2,3-10). 

La scomparsa di papa Giovanni Paolo II aprirà di fatto la strada all'evolversi dei tristi accadimenti odierni: oggi è infatti la sopravvivenza stessa della vera Chiesa di Cristo ad essere in gioco. Ma è in gioco anche quella dell'umanità intera. Se quei documenti rappresentavano davvero coloro che avevo amato, oggi, per estensione, rappresentano tutti i credenti insieme a tutti gli uomini di buona volontà. Credenti e non credenti, purché - e questa costituisce una discriminante essenziale - non abbiano acconsentito al "mistero dell'iniquità".      

A tutti loro, a tutti coloro che oggi sono sull'orlo della disperazione a causa della crisi, a tutti coloro che oggi stanno per essere costretti a chiudere le loro attività, a tutti coloro che non sanno più cosa li attenderà domani e cosa potranno dar da mangiare ai propri figli, a tutti gli uomini che si sentono lacerati e divisi dalle mille nuove barriere di questo tempo, e a tutti coloro che si sentono impotenti di fronte a tutto questo, malgrado vorrebbero soltanto poterlo fermare; a loro, vorrei "regalare" - se mai può essermi possibile - un "pezzetto di Cielo", ricevuto intatto da un vecchio sogno ora divenuto incredibilmente attuale.  

Perché si sentano un po' meno soli, perché continuino a resistere con dignità, e, in particolare per chi crede, perché non smarriscano mai l'integrità della fede: certi che nessuno potrà in ultimo strapparli dalle mani di Colui che ha il potere su tutte le cose, poiché "non si addormenterà, non prenderà sonno, il custode d'Israele" (Salmo 121,4).   

 

 

 

             

 

 

            Alcune manifestazioni di protesta dei lavoratori esasperati di "Io Apro" a Roma, aprile 2021         

 
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Quelle strane coincidenze con il mio articolo su Benedetto XVI

Post n°32 pubblicato il 10 Aprile 2021 da daniela.g0
 

 

Sabato 3 aprile 2021, il giornalista Andrea Cionci ha pubblicato nel suo blog personale - sul quotidiano Libero - un articolo: "Una possibile strategia di Benedetto XVI ispirata allo specchio del Terzo Segreto di Fatima". Personalmente, ho avuto la possibilità di leggere questo articolo soltanto nella giornata dello scorso martedì 6 aprile.    

Ciò che immediatamente balza all'occhio, è una serie di curiose coincidenze con l'articolo pubblicato sul mio blog soltanto la sera innanzi: "Benedetto XVI. Il segreto di Fatima e la via della Croce". Infatti non si può non restare colpiti dal fatto che coincida anzitutto l'accostamento di Benedetto XVI con il terzo segreto di Fatima. Per quanto mi riguarda, questo accostamento aveva già preso vita da tempo e concretamente, quasi come un'illuminazione, da circa un mese. La nomina di un Ambasciatore per la Pace da parte di Benedetto XVI, avvenuta lo scorso 15 marzo, mi aveva indotta poi ad iniziare a scrivere su un avvenimento che ho ritenuto davvero importante, e mentre continuavo a scrivere, ho continuato anche a riflettere.     

Ho attinto degli spunti di riflessione importanti in merito alla decisione presa da papa Benedetto XVI di rassegnare le proprie dimissioni nel 2013, sul recente libro scritto dal giornalista Peter Seewald: "Benedetto XVI, Una vita", che possiedo e ho letto con particolare attenzione, meditandolo in alcuni punti. 
Così ho voluto riportare all'interno del mio articolo dei passi chiave, come la citazione - a conclusione del libro - del filosofo italiano Giorgio Agamben, che di fatto costituisce un concreto antecedente all'ultimo libro dell'avvocatessa colombiana Estefania Acosta: "Benedict XVI: pope emeritus?", più volte citato da Andrea Cionci nei suoi precedenti articoli.     

Trovo curioso che, oltre allo stesso accostamento fra Benedetto XVI e il terzo segreto di Fatima, coincida anche la medesima citazione del filosofo Giorgio Agamben, che Cionci fa nel suo articolo del 3 aprile, a differenza dei suoi articoli immediatamente precedenti nei quali ricorrevano gli stessi argomenti. Ma la serie di coincidenze non finisce qui. Il giornalista di Libero, infatti, menziona anche la stessa citazione delle parole che Benedetto XVI pronunciò nel 2010 in merito al valore profetico del messaggio di Fatima.    

E ancora, Andrea Cionci riporta anche la medesima citazione, menzionata anche da me, delle parole pronunciate da Benedetto XVI quando afferma: "Le resistenze sono venute più dall'esterno che dalla Curia. La mia intenzione non era semplicemente e primariamente fare pulizia nel piccolo mondo della Curia, bensì nella Chiesa nel suo insieme".         

E ancora ricorrono, nei due articoli, le stesse definizioni di "nemici" della Chiesa (fatto abbastanza nuovo nel lessico adoperato da Cionci almeno negli articoli immediatamente precedenti), Chiesa di Cristo e Chiesa dell'Anticristo.     

Coincidono, a questo punto scontatamente, le conclusioni tratte da Andrea Cionci (e anche da altri studiosi) sul fatto che le dimissioni di Benedetto XVI siano state volute per costringere i nemici di Cristo ad uscire allo scoperto e consentire, nel tempo, un'autentica presa di coscienza da parte della vera Chiesa di Cristo.     

Il mio articolo riporta la data del 5 aprile e si potrebbe dunque concludere che le coincidenze siano frutto del fatto che io conoscessi e quindi presupponessi già l'articolo del giornalista di Libero.     

Tuttavia non è così: se si legge con la dovuta attenzione l'articolo, si comprende che esso è frutto di una meditazione protratta nel tempo e non nell'arco limitato di un paio di giorni. Lo attestano le modalità e la precisione con cui è stato redatto. Inoltre, nel momento in cui ho attinto a ciò che non è mio, e quindi agli articoli antecedenti dello stesso Cionci, non ho mai lesinato la citazione del giornalista, non volendomi assolutamente appropriare di contenuti che non mi appartengono.    

Rimane dunque la stranezza di una serie di coincidenze, a partire dal medesimo accostamento al segreto di Fatima; anche se bisogna sottolineare che i punti salienti nei due articoli: l'identità del "Vescovo vestito di Bianco" e il mistero della Croce, abbracciata silenziosamente da Benedetto XVI, divergono profondamente.     

Sembra proprio, in assenza di altre spiegazioni, che ci si trovi di fronte a una illuminazione comune e a una conseguente speculazione sugli stessi, delicati, temi. 

 
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Benedetto XVI. Il segreto di Fatima e la via della Croce

Post n°31 pubblicato il 05 Aprile 2021 da daniela.g0
 

 

 

A marzo inoltrato è stata diffusa a livello nazionale la notizia dell'avvenuta nomina di un Ambasciatore per la Pace da parte di Benedetto XVI, nomina avvenuta per l'esattezza lunedì 15 marzo, nel corso di una rara visita da lui concessa. La notizia, completamente ignorata dalla maggior parte dei media, è tuttavia destinata a lasciare il segno non soltanto perché è un atto pubblico compiuto da un pontefice "emerito" - anche se le mansioni dell'ambasciatore avranno solo carattere spirituale - ma anche perché avviene in un momento storico di importanza cruciale.   

Non molti giorni fa papa Bergoglio aveva dichiarato ad un noto e grande quotidiano che "la crisi non va sprecata, ma usata per creare un nuovo ordine mondiale", procedendo ormai speditamente nella direzione della creazione di un'unica religione mondiale sincretista, contenente tutte le altre religioni ed inconciliabile con la fede cristiana, la quale indica Gesù Cristo come unica via di salvezza.   

E mentre da molte fonti giungono notizie di un intensificarsi degli armamenti da parte della Cina mentre con la presidenza Biden si irrigidiscono i rapporti con la Russia, Benedetto XVI nomina il cav. Lorenzo Festicini "Ambasciatore di Pace in ogni parte del mondo", anche se si tratta di una "una nomina puramente spirituale, di una benedizione per la sua attività umanitaria in Benin".   

Ma come scrive Andrea Cionci sul quotidiano Libero, dando eco nazionale alla notizia ignorata dai media, «il gesto di nominare un ambasciatore o un rappresentante (prerogativa del papa regnante) sebbene simbolico, arriva in un momento bollente: è appena uscito "Benedict XVI: 'Pope Emeritus'?" un testo giuridico della avvocatessa Estefania Acosta che afferma come Benedetto sia l'unico papa perché ha mantenuto il munus, l'incarico spirituale, e che la sua rinuncia (con gravi errori di latino) sia stata scritta volutamente invalida per svelare il gioco dei "golpisti" e annullarli a tempo debito. QUI: E' la tesi anche di autorevoli teologi e latinisti.  

Benedetto, nella Declaratio del 2013, ha infatti rinunciato ad alcune funzioni pratiche (ministerium) ma non all'incarico spirituale (munus). Ora, siccome munus e ministerium, per il papa, sono indivisibili, le dimissioni sarebbero invalide».   

Secondo il diritto canonico infatti il ruolo del pontefice si divide in munus (incarico divino) e ministerium (esercizio pratico). Nella lingua italiana però entrambi i termini vengono tradotti con la parola ministero. Benedetto XVI ha rinunciato al ministero (una delle due funzioni attribuite al termine italiano "ministero"), ovvero al ministerium, che si esercita nell'amministrazione pratica della Chiesa.  

Continua Cionci: «Venerdi scorso abbiamo anche chiesto a 20 canonisti della Sacra Rota, se un atto di rinuncia così dubbio possa essere valido ai sensi del Canone 14, ma NESSUNO di loro ha risposto. Un segnale?  

La "nomina dell'ambasciatore" rientrerebbe dunque in quella velata e perfetta ambiguità mantenuta da Ratzinger fin dal 2013, tanto che incrollabilmente ha sempre dichiarato che "il papa è uno solo", senza mai spiegare quale dei due».   

Secondo il giornalista e scrittore Cionci «ad un primo sguardo superficiale, l'incontro con Festicini potrebbe infatti risultare solo un'innocua benedizione per un fedele benemerito, ma ad una lettura più approfondita soprattutto in questi giorni, può sottolineare ancora una volta come lui nomini - spiritualmente - ambasciatori perché detiene il munus spirituale. Ma se munus e ministerium sono indivisibili e se il papa è uno solo, questi sarebbe Ratzinger.  

Alcuni conservatori si innervosiscono per la costante ambivalenza dei gesti di Benedetto XVI che, se da un lato, per precisione chirurgica non può essere frutto di approssimazione o senilità, dall'altro contrasta con l'adamantina chiarezza del teologo tedesco. A pochi viene in mente che potrebbe essere una velata "richiesta di intervento" da comprendere attraverso il diritto canonico.  

Se infatti - puta caso - Benedetto non si fosse validamente dimesso, la Chiesa cattolica sarebbe finita per sempre perché Francesco sarebbe un antipapa (come sostiene la giurista Estefania Acosta) e il prossimo conclave sarebbe invalido con una maggioranza di 80 "anti-cardinali" invalidi da lui nominati».   

Conclude Cionci: «Ecco perché, dati i rischi non da poco, i vescovi dovrebbero convocare alla svelta un sinodo per chiarire una volta per tutte chi ci sia "al timone" attualmente, tranquillizzando 1.285.000.000 cattolici. Del resto, nulla di nuovo sotto il sole: già nel 1046 fu convocato a Sutri (RM) un concilio per stabilire quale, fra ben tre papi, fosse quello legittimo. E uno dei tre si chiamava pure Benedetto (IX)».      

Ma l'iniziativa di Benedetto XVI assume connotazioni, a mio avviso, ancora più profonde ed anche in tal quadro occorrerebbe rileggerla. Dal 2013 Benedetto XVI ha scelto, dopo una Declaratio (con errori nell'uso del latino) di dimissioni, di ritirarsi nell'ombra. Ciò che sappiamo con certezza è che, mentre Benedetto esclamava nel suo ultimo discorso alla folla che «il Signore mi chiama a "salire sul monte"», le transazioni monetarie internazionali con il Vaticano, sospese durante gli ultimi giorni prima delle sue dimissioni, furono riprese il giorno dopo l'annuncio della Declaratio.   

Da una conversazione epistolare relativa alle dimissioni di Benedetto XVI, e da una serie di domande poste a padre Giovanni Cavalcoli da una delle amiche che parteciparono a quella conversazione, emergono alcuni particolari inquietanti: «[...] Quando, nel febbraio 2013, Papa Benedetto XVI si dimise improvvisamente e inspiegabilmente, lo IOR era appena stato escluso da SWIFT; con ciò, tutti i pagamenti del Vaticano erano resi impossibili, e la Chiesa era trattata alla stregua di uno Stato-terrorista come l'Iran. [...]. 

Pochi sanno che cosa è lo SWIFT (la sigla sta per Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication - Società per le telecomunicazioni finanziarie interbancarie): in teoria, è una "camera di compensazione" (clearing, in gergo) mondiale, che unisce 10.500 banche in 215 paesi. Di fatto, è il più occulto e insindacabile centro del potere finanziario globalista, il bastone di ricatto su cui si basa l'egemonia del dollaro, il mezzo più potente di spionaggio economico e politico e il mezzo più temibile con cui la finanza globale stronca le gambe agli Stati che non obbediscono».     

Benedetto XVI, chiamato a salire sul monte, accetta una vita di ritiro e solitudine, mentre una parte della Chiesa, a lui fedele, tuttavia non accetta il suo gesto, giudicandolo come debole. Se ne rammaricò molto Benedetto XVI nella sua lettera al card. Walter Brandmuller, dove scrisse che il dolore profondo - trasformatosi poi in rabbia - per le sue dimissioni, aveva finito per dare una valutazione negativa sulla sua stessa persona e su tutto il suo pontificato, ma a torto. Benedetto, manifestando una grande preoccupazione «per la situazione attuale della Chiesa», concluse quindi la missiva diretta al cardinale «con la mia benedizione apostolica», prerogativa questa, del pontefice regnante.   

Infatti la decisione di Joseph Ratzinger di rinunciare all'esercizio del ministero petrino fu molto sofferta, come testimoniano le sue stesse parole nel recente libro "Benedetto XVI, Una vita". La "lotta con Dio" (cfr. Gen 32, 23-33) - di cui si scrive a pagina 1130 - è forse la più drammatica e difficile che un uomo possa affrontare in tutto il corso della propria esistenza. Joseph Ratzinger l'ha affrontata e "ha vinto", come avvenne anche nell'indimenticabile lotta biblica tra Dio e Giacobbe. Nella consapevolezza, per Benedetto XVI, di star compiendo la volontà del Padre.    

Certamente il riferimento evangelico di Benedetto XVI a "salire sul monte", rimanda alla propria decisione di ritirarsi in preghiera costante per la Chiesa; ma potrebbe rimandare anche, allo sguardo attento di chi è a conoscenza del terzo segreto di Fatima, al "Vescovo vestito di Bianco" che, "con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena", giunge alla "cima del monte".    

Riporto di seguito il testo del messaggio, reso pubblico dalla Chiesa Cattolica nel 2000: 

«Dopo le due parti che già ho esposto, abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l'Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! E vedemmo ("qualcosa di simile a come si vedono le persone in uno specchio quando vi passano davanti"), in una luce immensa che è Dio, un Vescovo vestito di Bianco ("abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre"), altri Vescovi, Sacerdoti, religiosi e religiose salire una montagna ripida, in cima alla quale c'era una grande Croce di tronchi grezzi, come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre, prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo, con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande Croce, venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i Vescovi, Sacerdoti, religiosi, religiose e varie persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della Croce c'erano due Angeli, ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano il sangue dei Martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio».     

 

                         

Lucia dos Santos (a destra) con la cugina Jacinta Marto,

nel 1917                 

 

Non è detto che la morte del Santo Padre debba necessariamente essere fisica. Così come anche la morte fisiologica dei "cadaveri" che il Santo Padre incontra sul suo cammino. Mentre è un fatto che le persecuzioni dei cristiani oggi abbiano raggiunto livelli intollerabili in moltissime parti del mondo, sotto il diffuso silenzio dei grandi media: basti pensare alle crescenti persecuzioni della Chiesa in Cina.   

Lo stesso Benedetto XVI aveva ricordato queste parole il 13 maggio del 2010 durante la sua omelia a Fatima, dichiarando che «Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima si sia conclusa». Sono molte le interpretazioni del terzo segreto di Fatima, anche molto divergenti fra loro: ma - al di là della possibile attribuzione - resta comunque il fatto che Benedetto abbia scelto in umiltà di caricare su se stesso il fardello di una scelta pesantissima, nell'incomprensione e nelle critiche dei molti; ripercorrendo infine quella che fu la passione stessa di Cristo, non compreso fino in fondo neppure dai suoi.    

Nel suo discorso di commiato in piazza San Pietro, Benedetto XVI aveva detto infatti: «[...] Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi». Stabilendo, per la prima volta nella storia dei papi «che lo stato di un successore di Pietro che si dimetteva volontariamente dalla carica sarebbe stato quello di papa emeritus: "Non c'è un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all'esercizio attivo del ministero non revoca questo.[...] Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell'officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro"» (Peter Seewald, Benedetto XVI, Una vita, Garzanti, Milano 2020, p. 1178).   

Le parole di Benedetto XVI, se lette attentamente, sono chiarissime: lui mantiene il munus (la dimensione spirituale del suo incarico) anche se rinuncia al ministerium (l'esercizio pratico). Ma rimarca anche come stia compiendo una scelta sofferta e difficile, rinnegando se stesso e scegliendo di abbracciare la Croce, avendo come unica meta la salvezza della Chiesa.    

La tesi dell'avvocatessa Acosta, inoltre, trova il suo antecedente originariamente nel pensiero del filosofo italiano Giorgio Agamben. Significativamente, proprio nelle ultime battute del libro "Benedetto XVI, Una vita", lo scrittore ed autore Peter Seewald pone a Benedetto questa domanda: 

«Nel suo libro "Il mistero del male. Benedetto XVI e la fine dei tempi", il filosofo italiano Giorgio Agamben si dice convinto del fatto che la vera ragione delle sue dimissioni sia stata la volontà di risvegliare la coscienza escatologica [che riguarda i tempi ultimi, n.d.a.]. Nel piano divino della salvezza la Chiesa avrebbe anche la funzione di essere insieme "Chiesa di Cristo e Chiesa dell'Anticristo". Le dimissioni sarebbero una prefigurazione della separazione tra "Babilonia" e "Gerusalemme" [con riferimento alla Gerusalemme celeste, alla Chiesa Una, Santa e Immacolata, n.d.a.] nella Chiesa. Invece di impegnarsi nella logica del mantenimento del potere, con la sua rinuncia all'incarico lei ne avrebbe enfatizzato l'autorità spirituale, contribuendo in tal modo al suo rafforzamento».    

Ed ecco la risposta di Benedetto XVI: 

«A proposito delle parabole di Gesù sulla Chiesa, sant'Agostino disse che da un lato molti sono parte della Chiesa in modo solo apparente, mentre in realtà vivono contro di essa, e che, al contrario al di fuori della Chiesa ci sono molti che - senza saperlo - appartengono profondamente al Signore e dunque anche al suo Corpo, la Chiesa. Dobbiamo sempre essere consapevoli di questa misteriosa sovrapposizione di interno ed esterno, una sovrapposizione che il Signore ha esposto in diverse parabole. Sappiamo che nella storia ci sono momenti in cui la vittoria di Dio sulle forze del male è visibile in modo confortante e momenti in cui, invece, le forze del male oscurano tutto. Vorrei infine citare il Vaticano II, che nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium (1,8) espone questo punto di vista rifacendosi ad Agostino: "La Chiesa 'prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio' (Agostino, De civitate Dei, XVIII, 51,2: PL 41,614), annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr. 1 Cor 11,26)» [Benedetto XVI, Una vita, pp. 1208-1209].   

Suona abbastanza evidente la velata conferma di Benedetto XVI, la volontà sottesa del pontefice tedesco di rendere manifesta quella separazione esistente fra Chiesa di Cristo e Chiesa dell'Anticristo, tra Gerusalemme e Babilonia. Il grano e il loglio cresceranno insieme fino alla mietitura (cfr. Mt 13,24-30.37-42), per ricordare una delle parabole richiamate.    

Ed anche il terzo segreto di Fatima, alla luce dello scontro tra Chiesa di Cristo e Chiesa dell'Anticristo, acquista - a mio parere - un significato particolare nel drammatico episodio dove il Santo Padre cade, sotto i colpi di arma da fuoco e frecce sparati dai soldati che allo stesso modo colpiscono anche gli altri membri della Chiesa. Tuttavia, come scrisse fin dall'antichità Tertulliano, il sangue dei Martiri - ma anche di coloro che, scontrandosi con accuse e persecuzioni, muoiono a se stessi offrendo la loro vita per la causa di Cristo e del suo Vangelo - è come una semente, perché la Chiesa continui a perpetuarsi attraverso la storia e rinasca. D'altronde, che la visione del terzo segreto sia simbolica è confermato dalla posizione ufficiale della Chiesa Cattolica, ma anche dalla presenza dei due innaffiatoi di cristallo ove gli Angeli raccolgono il sangue dei Martiri con il quale irrigare le anime che si avvicinano a Dio.    

Benedetto XVI dunque, con la sua scelta, e cedendo il passo, potrebbe aver avuto un intento nascosto: lasciare che il tempo faccia uscire allo scoperto "i nemici di Cristo" che già lo assediavano e che altrimenti non si sarebbero mai resi manifesti. Un'ipotesi avallata anche in ambienti giornalistici e giuridici, come recentemente ha affermato anche l'avvocato Carlo Taormina. Questa ipotesi trova ulteriore rafforzamento nelle parole stesse di Benedetto XVI, quando afferma:  

«Le resistenze sono venute più dall'esterno che dalla Curia. La mia intenzione non era semplicemente e primariamente fare pulizia nel piccolo mondo della Curia, bensì nella Chiesa nel suo insieme. Il papa non è anzitutto il papa della Curia, ma il responsabile della Chiesa nel momento storico in cui cade il suo pontificato [...]» (Benedetto XVI, Una vita, pp. 1201-1202).                        

E gli anni trascorsi hanno fatto emergere inequivocabilmente l'esistenza di una Chiesa "altra", contrapposta alla Chiesa di Cristo (definita anche dall'arcivescovo Viganò come deep church), non più a servizio di Gesù Cristo ma con quell'obiettivo mondialista di una fratellanza universale di cui parla anche papa Francesco, obiettivo sventrato però del suo fondamento teologico essenziale: la figliolanza all'unico Padre celeste, dove solo ogni fratellanza cristiana può davvero esistere e sussistere; e ricordando come Jorge Mario Bergoglio abbia scelto ormai di rinunciare al titolo di Vicario di Cristo.    

Se tutto questo fosse infine confermato, Benedetto XVI potrebbe riuscire nel suo intento purificatore della Chiesa in modo magistrale, con un "colpo da autentico maestro". Starebbe ora alla vera Chiesa, come ha auspicato anche Andrea Cionci, approfittare hic et nunc del momento propizio per far chiarezza sull'identità del vero papa, convocando velocemente un sinodo.   

Comunque sia, Benedetto XVI rivela tutta la sua statura di grande papa, che ha scelto consapevolmente la via della Croce per amore della sua Chiesa:  

«Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione, con quella dedizione al Signore e alla sua Sposa che ho cercato di vivere fino ad ora ogni giorno e che vorrei vivere sempre» (dall'Udienza generale di Benedetto XVI in piazza San Pietro, 27 febbraio 2013).                  

 

 

 

 

 

Nel disegno sopra, da sinistra, la talare indossata dal Romano Pontefice; una talare priva di fascia e mantelletta, detta "pellegrina" (questa è la talare indossata oggi da Benedetto XVI); la talare indossata dai Cardinali. Benedetto XVI indossa questa talare, come ricorda Andrea Cionci, perché sta sempre al chiuso avendo rinunciato al ministerium (esercizio pratico della funzione petrina): è prassi che i prelati non indossino i due accessori al chiuso. Questa talare "menomata" ed insolita, potrebbe corrispondere a quella che videro i tre pastorelli a Fatima, indicando il Vescovo vestito di Bianco e avendo il presentimento che fosse il Santo Padre?

 
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